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Cesare Zavattini, È Natale – 25 dicembre 1962

È Natale. Che cosa auguro al mondo per il 1963? Forse un anno di silenzio, e per un anno non dico che speriamo ma si cerchino i mezzi per cominciare a sperare. Sono le cinque e mezzo pomeridiane e le campane di S. Agnese hanno in mano la situazione. Una mezza bronchite me la sono presa andando l’altra notte dopo l’una a Porta Portese, dai napoletani che espongono la mercanzia fino alla mezzanotte, erano là intorno a un fuoco di cartacce che spandeva odore di ceralacca; qualcuno batteva i piedi per il freddo in mezzo a teste di santi e specchiere dell’800, curvi per il freddo noi compratori e loro venditori, discutevamo sui prezzi. Di Gianni si portò via con tremila lire un dannato riverso tra fiamme rosse di gesso che poi in automobile scoprimmo che era un diavolo per due cornini fatti quasi scomparire nel tempo. Lasciammo gente con le mani tese intorno al fuoco in aspettativa dell’alba e dei clienti. Al bar uno biondo alto forte e brillo domandò un fiammifero a Mario Carbone che gliene regalò una scatola e quello in cambio ordinò due grappe. “Sono di Trieste, so tutto delle grappe.” Ne assaggiò un sorsetto, accese un fiammifero davanti alla sua bocca e intanto buttava fuori il fiato come un mantice; ma il fiammifero non divampò, perciò ai baristi disse che era grappa di patata e con disprezzo mandò giù d’un fiato tutto il bicchierino. Restò immobile qualche secondo con gli occhi stralunati e la bocca che non si chiudeva. Lo guardavamo in attesa di qualche cosa, tutto in lui implorava aria e finalmente urlò: vado a fogo, vado a fogo, e corse fuori dal caffé a vomitare sui marmi della Galleria di piazza Colonna.

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© Cesare Zavattini, in Straparole, Bompiani 1967

2 risposte a “Cesare Zavattini, È Natale – 25 dicembre 1962”


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