– Nie wieder Zensur in der Kunst –
Pubblicato il 15 dicembre 2019 da redazionepoetarum
La Bonne Chanson XVI
Le bruit des cabarets, la fange des trottoirs,
Les platanes déchus s’effeuillant dans l’air noir,
L’omnibus, ouragan de ferraille et de boues,
Qui grince, mal assis entre ses quatre roues,
Et roule ses yeux verts et rouges lentement,
Les ouvriers allant au club, tout en fumant
Leur brûle-gueule au nez des agents de police,
Toits qui dégouttent, murs suintants, pavé qui glisse,
Bitume défoncé, ruisseaux comblant l’égout,
Voilà ma route – avec le paradis au bout.
La Buona Canzone XVI
Il chiasso dei caffè, il fango della strada,
i platani che perdono foglie nell’aria scura,
l’omnibus, uragano di ferraglia e di melma,
che stride sobbalzando sulle sue quattro ruote
e rotea gli occhi rossi e verdi lentamente,
gli operai che vanno al club fumando pipe
sotto il naso di agenti di polizia, tetti
gocciolanti, selciati sdrucciolevoli, muri
umidi, traboccanti fogne, bitume rotto:
il mio percorso è questo – e il paradiso è in fondo.
Paul Verlaine, Poèmes saturniens, IV; Poesie saturnine in Poesie d’amore, a cura di Giancarlo Pontiggia, traduzione di Alessandro Quattrone, Demetra 2018.
Categoria: I poeti della domenica, letteratura francese, poesia francese, redazione, Rubriche, TraduzioniTag: I poeti della domenica, Paul Verlaine, rubriche, Traduzioni
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Il presente blog collettivo non è da ritenersi testata giornalistica, fondando la sua attività solo sulla libertà d’espressione creativa, che da sempre ha animato il progredire del pensiero universale.
L’ha ripubblicato su Matteo Mario Vecchio.
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Il chiasso dei caffè, il rumore del mondo che sdrucciola e scorre senza coscienza e senza avvedersene. ll fluire della vita che scivola lungo i rami degli alberi e si appiglia a questi, perché il suo moto è senza freno o indugio, l’ultima volta prima di staccarsene per sempre, prima che la soluzione di continuità sia definitiva.
Il punctum è costituito dalle foglie di platano che lasciano il loro albero mentre l’aria della sera si scurisce.
E’ questo un impercettibile, minimo, definitivo addio.
La melma e la ferraglia, il rumore straziante degli ingranaggi e il visionario, animato, malevolo sguardo dell’omnibus che rotea gli occhi verdi e rossi. Non è più solo lirico, autobiografico e naturalistico Verlaine, in questa come in altre composizioni. Riesce, infatti, nell’intento simbolista di conferire verità animata, attitudine umana, significati sottesi, temperature emotive che attraversano, secano anche foneticamente il verso. Un senso altro, quasi metafisico, è dato al contesto urbano, al pantano, al selciato rotto, allo stillare piangente dei tetti mentre solo in fondo, forse, e solo alla conclusione di questo percorso c’è la salvezza, il riscatto, il paradiso, il non soffrire più per la contraddizione interna e connaturata alla condizione umana.
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