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Annalisa Ciampalini, Le distrazioni del viaggio: intervista di Gianluca Garrapa

Annalisa Ciampalini, Le distrazioni del viaggio, Samuele editore, 2018

 Intervista di Gianluca Garrapa

1

Amo le ragazze che studiano nell’oscurità
e smaniano per una soluzione,
per il numero giusto che riempie la pagina.
Amo le loro case che le guardano
e le coperte di lana variopinta.
Ripassano l’esperimento mentale
con la testa sprofondata nel cuscino.
Hanno lineamenti che seguono il pensiero
la bellezza indeterminata dell’universo.

G.G.: Il tuo libro, che ho riletto tante volte, per assecondare una musica interiore, e non per comprenderne l’essenza, ché quella è Cosa inconscia e si tradisce nei gesti, nelle posture della poetessa, nella voce, nello sguardo, L’oscurità marina è una macchia impura / dello sguardo, e è affatto limite che non si può varcare, a meno di snaturare la poesia e sfarla in critica prosastica, in spezzettamento metrico e retorico, in esercizio che affina di volta in volta la terminologia dell’esperto letterato, io mi pongo nella dimensione del lettore, dell’ascolto, dunque, semmai dell’amante della Cosa, di lacaniana memoria, di ascendenza freudiana, di ineffabile proprietà di ogni poeta, quando si trova sulla soglia del dire quello che del mondo, oscuro, lo attraversa: Devi imparare a vedere la notte / i sentieri sepolti privi di orme /chi si muove con l’oscurità del mondo.
Colpisce della tua poesia, a mio parere, l’idea che la bellezza non possa essere scissa dal pensiero e che il pensare non possa essere assoluto dal sentire. È facile scorgere l’unisono del cosmo e il gesto della materia pulsante, la testa sprofondata nel cuscino che evoca il marmo che pare pelle, i lineamenti che seguono il pensiero e la bellezza dell’Universo: come si colloca la poesia, l’arte rispetto alla tua vocazione matematica?

A.C.: La domanda che mi poni, collocata alla fine di un tuo pensiero tanto articolato e profondo, mi ha fatto ripensare al modo in cui matematica e poesia entrano in relazione, e ho scoperto che si tratta, almeno per me, di una modalità affatto dinamica, nel senso che cambia e si evolve a seconda di quale parte della mia mente viene sollecitata. Tanto per cominciare hai messo in luce un fatto che finora non avevo ben considerato, e che mi pare vero: per me, in ultima analisi, non vi è un limite netto tra sentire e pensare. Direi che i due processi sono l’uno il prolungamento dell’altro, e questo soprattutto nei momenti di calma, quando si sfiora uno stato di concentrazione che consente di aprire la mente, di vedere oltre i confini entro cui vengono relegate le cose, il sapere, il sentire. Coltivare la passione per la poesia e studiare matematica sono azioni che conducono a risultati differenti e che a volte esigono un impiego di facoltà diverse, ma l’atteggiamento mentale che ci porta a conoscerle, a praticarle e soprattutto ad amarle può essere molto simile. Sebbene per motivi differenti, la matematica e la poesia si sono insediate nella parte profonda della mia mente, e adesso sono entrambe diventate lenti attraverso le quali guardo il mondo. Forse è per questo che colloco matematica e poesia in luoghi assai vicini, con alcune parti che si sovrappongono. All’interno di questa intersezione metterei tutto ciò che produce la mente mentre pensa e sente, mentre pensa e sente che occorre immaginare, andare oltre la semplice descrizione della realtà. Non è detto che la mente produca versi o riesca a dimostrare un teorema, la bellezza sta nel pensare, nel sentire, nell’immaginare.

2

Se l’infinito è qui, se pensiamo
sia qui, nello spazio del finito,
sono morti i viaggi in treno
quelli che portavano verso amori lontani.
Morto è il pensiero di una terra diversa
che non si sa collocare. La soglia
dell’attesa oltre le mura.

G.G.: La soglia è tema ricorrente, filo rosso, bussola del viaggio: La soglia di casa è la cesura,/ l’attimo del passo che si ferma. Il posto di passaggio che ci riguarda, come umani, e come esseri pensanti. Il posto della mente è il titolo della seconda sezione, il luogo della mente non è però quello del ruminare ossessivo, non è pensiero, il tuo, che stringa il dubbio irrisolvibile e angosciante del nevrotico in perenne stato di ricerca che si ostina a non completare, al contrario, mi sembra qui che il posto del pensiero sia un rassicurante lido cui attraccare, un passaggio, un transito. Come in una fotografia si riescono a rivelare aspetti che non scorgevamo nella realtà fuor d’obiettivo. Ci serve la poesia per attendere, per tendere verso la nostra conclusione personale. La parola ferma, fa chiarezza, calcolare il perimetro e la giusta area in cui collocare il mistero che mistero è solo in proporzione al conoscibile che lo contiene, allo stesso modo l’infinito non opposto e lontano dal finito, l’infinito è qui e ora e allora non serve andare lontano dal proprio abitare per trovare l’inesplicabile. Forse è questione di tempo, allora, più che di spazio. Andare oltre lo steccato dell’abitudine e della credenza, ricreare la propria soggettività e attendere, qui, sulla soglia dell’attesa che l’infinito avvenga. E allora qual è il posto della mente quando nasce una poesia?

A.C.: Tu dici: “La soglia è tema ricorrente, filo rosso, bussola del viaggio”, e ancora: ”Il posto di passaggio che ci riguarda, come umani, e come esseri pensanti”. E direi che il posto della mente, in questa raccolta, è proprio quella soglia che tu stesso definisci “posto”. La mente sta sulla soglia, o nei paraggi, analizza, vive quel che viene prima della soglia, e cerca di vedere quello che sta oltre. Se non può vedere, allora immagina, poi pensa a ciò che ha immaginato. E non rimugina, ma crea una realtà più grande. La soglia è dinamica, si sposta, e questo perché il mistero non è un’entità che mantiene sempre la stessa forma, ma si modifica appena qualcosa viene alla luce e cessa di essere mistero. Per fortuna, nel momento in cui vi è un disvelamento, una nuova indecifrabile entità si delinea, e il mistero non cessa mai di accompagnarci.

3

Pensiamo alla luce che verrà,
a come tutto già contiene
e si dipanerà.
Sarebbe altro a voler esistere
in una cecità senza fine.
Altri i momenti, nulle le direzioni.
Impossibile starne fuori.

G.G.: Un altro tema interessante e ricorrente è la luce, lo sguardo, il vedere e, per contrappunto, l’oscurità e la cecità e il non voler vedere. La luce come informazione, ‘quanta’ organizzati in pacchetti di energia. Informazione da cui non si può sfuggire e da cui non si può stare fuori. La tua poesia esplicita un realismo che non è angoscia e che non dispera: pensiamo alla luce che verrà. Il pensare, ancora una volta, è àncora che ci salva ma non opprimente macigno che soffoca e snerva. La bellezza, sempre la bellezza: la bellezza indeterminata dell’universo, l’arte, la sensorialità dei corpi, degli sguardi e della pelle, è quel pieno, o quel vuoto, che permette l’esistere di quell’altro vuoto, o quell’altro pieno. L’armonia, prima di tutto, regge i tuoi versi e la tua concezione poetica, forse ideale, o davvero reale, della tua poesia. Noi ci collochiamo, come isole, nel mare immenso, Il mare è un’immensità volubile / riposta da una parte,  vastità che pure possiamo dominare, oscurità nella quale sciogliere un punto di sguardo. Come isole, le tue poesie, si collocano nel bianco della gabbia tipografica, nel luogo visibile dove si estende la psiche invisibile. Il posto intorno a noi è invece qualcosa che a volte non si sa dominare, ci occupa la mente e il cuore, ci soffoca e ci distrugge, a volte però ci salva e ci ama, ci fa comprendere: cosa c’è intorno a noi, secondo lo sguardo della tua poesia?

A.C.: Intorno a noi c’è la realtà, ossia tutto quello che non possiamo permetterci di ignorare. C’è la vita, le leggi fisiche e chimiche, la gravità che ci fa cadere e il desiderio di volare. Fuori c’è il tempo, la sua freccia puntata verso il futuro e gli esseri viventi assoggettati al tempo e ai processi silenziosi delle cellule. Ci sono i sentimenti che ci salvano e quelli che ci distruggono. La parte di mondo che rivela i propri contorni, gli squilibri, i momenti di odio e l’impossibilità di sognare, i momenti di grazia e condivisione, e la prospettiva del sogno. Intorno a noi sorgono paesaggi incontaminati e metropoli, forme, linee da vedere, da ricordare, da pensare nel ricordo e così via. Intorno a noi c’è quindi la realtà che ci è data ma che molto velocemente viene trasformata dal singolo essere umano il quale non può viverla così come è, ma deve farne una rappresentazione. La poesia potenzia tale rappresentazione, e allo stesso tempo vorrebbe catturare una realtà, incontaminata, primigenia, come se non fosse mai stata osservata da nessuno.

4

Il canto che tiene insieme il tempo
arde lassù. Tu chiami mente
l’alto che le mani non arrivano a bucare.
Aspetti in questa casa rasoterra
una benedizione dal mattino,
un miracolo semplice di corpi caldi.

G.G.: La notte. È il titolo della sezione che chiude il tuo viaggio, il viaggio che ci ha condotti al termine di una lunga riflessione, di un riflesso, nostro, nel tuo luccicante ritmo. La tua poesia privilegia il verso libero, ma non tralascia una sottile musicalità di immagini che si contrappongono. Numeri. E finalmente capiamo cosa sia ‘mente’: Tu chiami mente / l’alto che le mani non arrivano a bucare.  Si vede che la luce delle stelle è il corpo degli astri come erano miliardi di anni fa, non ora, non qui. Osservare il tempo che si allittera al canto. Rimane, in questa delicata leggenda l’idea che il tutto poi ci sfugga, la notte diverrà alba, il ciclo si ripete, all’infinito, irraggiungibile e periodico, la radice di un numero immaginario negativo è questa esistenza, il corpo che via via si approssima al nulla-tutto: Se ne andranno le albe disadorne / se ne andranno in una finzione remota. Spettacolo meraviglioso, la natura umana e minerale. I frattali che regolano girasoli, Fibonacci che traduce in numero il fantasioso rivolgersi di una conchiglia: Continueremo a non vedere lo spazio / che s’incurva a non credere la conchiglia / possa raccogliere il mare. Poesia è e matematica.
La matematica precisa delle cose e l’infinito oltremondano convivono, si intrecciano e tracciano un percorso che tu sei riuscita a svelare con la calma di chi aspetta la soluzione e la riconosce. Eppure nelle tue poesie non nomini mai la matematica, e nemmeno la poesia: traduci in ritmo e immagine la meraviglia del tuo dono: Certe persone chiedono riposo eterno / tu, invece, vivi nelle trasparenze. Cosa chiedi alla poesia, e cosa chiedi alla matematica?

A.C.: Chiedo molto ad entrambe. A questo punto della mia vita credo di invocarle sempre insieme sperando, in tal modo, di essere consolata.
Come tu dici: “La matematica precisa delle cose e l’infinito oltremondano convivono”. All’interno della matematica e della poesia possono essere creati mondi alternativi i quali, anche se per motivi diversi, hanno una loro consistenza. Un testo poetico non può cambiare la realtà che ci circonda, non può renderci immuni alle avversità, ma può aprirci la mente, spingerci oltre la soglia, oppure farci sostare sempre nell’attimo dell’attraversamento. La lettura di un testo poetico che davvero ci tocca sa anche donarci, per qualche istante, la vita del poeta che scrive. E noi siamo spesso avidi di vita.
Studiando la matematica ci si accorge che è possibile costruire teorie consistenti e non contraddittorie anche quando esse non rappresentano il mondo che vediamo: a tal proposito le geometrie non euclidee possono essere un valido esempio. A volte, per rendere più comprensibili queste geometrie, si ricorre a modelli. Il fatto che tali teorie possano essere modellizzate e visualizzate, e non siano contraddittorie, mi affascina nella stessa misura in cui può farlo un testo poetico che amo. In entrambi i casi si avverte la sorprendente capacità creativa della mente umana. Quindi, alla poesia e alla matematica, chiedo che ci mostrino, con esempi tangibili, la possibilità di creare mondi alternativi e la pienezza di vita che ne segue. Voglio concludere ricordando che poesia e matematica hanno in comune la vocazione per l’infinito.
Ennio De Giorgi, insigne matematico scomparso nel 1996 e uomo di grande sapienza, affermava che spesso in matematica non riusciamo a vedere o a studiare qualcosa se prima non lo consideriamo immerso in una cornice infinita. Visto nel finito, l’oggetto del nostro studio ci può apparire disarmonico, incompleto. Quindi c’è bisogno dell’infinito. Credo che in poesia, all’interno dei versi scritti e nel silenzio del non detto, avvenga una cosa simile. Ecco: alla poesia e alla matematica chiedo immaginazione, rigore e la vertigine dell’infinito.

5

G.G.: Le distrazioni del viaggio: come è nato questo tuo viaggio e cosa sono, in definitiva, le distrazioni?

A.C.: Il termine viaggio è stato usato per indicare la traiettoria che compie un essere umano per il solo fatto di stare al mondo. La traiettoria di questo viaggio particolare, così immagino, è sviluppata giorno dopo giorno, dalla mente e da tutti i processi che riguardano la vita del singolo individuo. Essa è una specie di traccia che ogni essere umano possiede, se vogliamo è un’impronta dinamica strettamente personale. Le distrazioni sono i momenti, di solito molto brevi, in cui l’individuo si distrae dalla sua esistenza. Queste distrazioni sono i tratti mancanti nel disegno della traiettoria, i momenti in cui l’individuo si perde, vuole un’altra mente, desidera oltrepassare la soglia, sogna di toccare l’infinito.

2 risposte a “Annalisa Ciampalini, Le distrazioni del viaggio: intervista di Gianluca Garrapa”

  1. Qualche bella speranza. Era ora! Possibile, altrimenti, tutto codesto pessimismo, esasperato la sua parte, presente ossessivamente nel panorama della ‘ giovin’ poesia contemporanea? Ecco Annalisa Ciampalini, che ci riserva una bella sorpresa. Lo scorrere del verso sembra discorsivo, raso alla nudità pura e semplice della parola che, poi, esploderà nella propria capacità energetica. Buon inizio, mi pare. Da incoraggiare ché il percorso poetico è, per sua natura, lungo e faticoso, poiché c’é da incontrare la musa, la quale, prima di concedersi è molto, ma molto restia ed esigente, soprattutto. Come tutte le ragazze del resto.( Almeno così sono rimaste nel mio ricordo trapassato). Dunque, coraggio, insistenza ” et ad maiora, semper”.

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