, , , , ,

Giovanni Peli, Onore ai vivi (Nota di Melania Panico)

onore ai vivi

“Questo canto comincia quando tu sei battito, sedici millimetri di Altro, e sei nello stesso tempo ciglia, sei ali, vola tra gli animali (…)”
Si può scrivere una storia nuova ogni volta. Si deve. Quando fare poesia è ricominciare dal suono, cantare. Ricominciare da un battito in cui è racchiusa ogni possibilità: “questa è la beatitudine dei ribelli”.
Onore ai vivi è evidentemente già dal titolo un inno alla possibilità di riscrittura: “dici cantiamo ancora/ abbiamo distrutto a sufficienza/ così la voce torna/ da pulsazioni di roccia”. Ma cosa canteremo? Quando tutto è già stato detto, scrivere poesia che cos’è? Canteremo il desiderio, dopo aver dimenticato tutto, canteremo la parola stessa come ricerca. Ricominceremo da questo.
Onore ai vivi è anche un libro che ha a che fare con la speranza, ma non un inno alla speranza, attenzione: “sono troppe le ore passate a sperare/ siamo quello che facciamo/ faremo canestro con la poesia sperimentale/ vecchia di quarant’anni”. Proprio in un momento in cui si parla molto della morte della poesia, Giovanni Peli ci parla di una nascita, e della libertà, e del canto che sugella.
Il dialogo dell’autore con l’Altro tocca punte veramente alte. A tratti è un dialogo con una entità che solo a parole chiamiamo “altro”. Noi stessi siamo spesso l’altro a cui parlare: “ti voglio rettile, giunco, terra fresca fino alla fine, ti voglio resa, animale notturno, incubo di dio, insetto mangiato, carezza, squallida attrazione, ti voglio risata, danza feroce, e non ti controllerò, là dove ti sentirai simile a qualcuno sarai l’Altro, il pensiero violato e il coraggio”.
Altro come proiezione di un Noi, della possibilità negata all’Io.
“Quello che scrivo esiste da prima”, dice l’autore. Allora fare poesia è trovare una lingua. Solo così il canto resterà per sempre.

© Melania Panico

può scegliere se vivere
o occupare il suo posto nel mondo
può decidere di passare alla storia
come quello che è morto lasciando qualcosa
ma tutti siamo perduti e alla resa dei conti
siamo costretti a definirci noi
noi tutti ci ritroveremo tagliati di netto
con le ossessioni un tempo addomesticate
e amate
la frasi forbite che sfruttano biografie
e altre menzogne
le due parti di noi non sono più conciliabili
una delle due per esempio
pronuncia gli accordi di una chitarra
le corde sono state le nostre vene
da giovani tutto sembra impuro e giusto
ora si avvia nella purezza e nella povertà

 

onoriamo insieme i vivi
gli amici che ci parlano di cose inesistenti
onoriamo anche gli amici spariti lontano
che non abbiamo mai toccato né voluto
sono tutti spariti come zanzare morte di freddo
e sarà la nostra fortuna
consistere di noi stessi
raggruppati come le palline di mercurio
giù per terra sul pavimento di macchiette
nere e bianche e grigie
cullando ogni frutto caduto
come le idee
ha le sue ragioni il sole
aprire le braccia
la vita non dà niente in cambio

 

questo è l’indicibile
il puro e il giusto
l’origami sottile
la lingua che lecca tutto
la cena in cui nulla si tace
questo è il profumo
la fine del cinismo
non sperare nel domani
allevare noia e tumori
abbattere pulpiti
i giornali e le scuole

 

Giovanni Peli, Onore ai vivi, (autoprodotto, 2018)

 

 

 

 

Una replica a “Giovanni Peli, Onore ai vivi (Nota di Melania Panico)”

  1. Si avverte, è vero, il palpito di una qualche speranza – ma esso va fiutato al di sotto della crosta del disincanto, tra le crepe sottili che solcano una immagine dura, coriacea, spietata del mondo; mi sembra che l’Autore creda raggiungibile un qualche spiraglio, un “profumo” epifanicamente inatteso, una chimera di “purezza” e di “giustizia”, ma solo come culmine di una catarsi laboriosa, che passa per l’abbattimento dei “pulpiti”, la lacerazione delle maschere, delle verità di comodo su cui si adagia la coscienza infelice dell’uomo di oggi; contrappeso a tale seppur flebile apertura vitale è la sensazione di una spaccatura, di uno iato: innanzitutto fra il soggetto e gli altri (questi ultimi aggrappati a cose che il poeta e lui solo riconosce “inesistenti”), ma anche interna al soggetto, che si scopre diviso in “due parti non conciliabili”, una delle quali intenta a suonare accordi su cui l’altra non riesce a stabilire una sintonia (e qui c’è forse il conflitto nevrotico fra il desiderio e la sua aspettativa di autenticità, cioè dalla musica delle vene, e la castrante realtà)

    "Mi piace"


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: