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Angina d’amour – Giulio Maffii, di Melania Panico

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Angina d’amour è un libro complesso e vivo in cui si intersecano temi fondanti come amore, lutto, memoria, in una struttura che non lascia spazio a equivoci o storture. Un libro che segna un passaggio netto nella produzione dell’autore.
Il titolo è un chiaro riferimento – attraverso una terminologia medica – al rapporto stretto tra eros e thanatos. La prima sezione Venti angine d’amore si apre con Cosimo Ortesta: “la felicità non guarisce ma soltanto sposta il dolore”.
Il dolore non è qualcosa da cui ci si può salvare, è la ferita e dopo la ferita la cicatrice. La poesia – quando autentica come in questo caso – serve ad avallare o a raccontare, poco a dimenticare e di nuovo a inserirci nella vita. La poesia è testimonianza: “ho fatto le ossa/ rapinando il respiro del sasso/ non rispondo e torno/ nel nucleo della sera/ ti lascio con i nodi”.
Angina d’amour è pieno di oggetti e di solitudine, di moltitudini che si incontrano nel “mistero eucaristico del sanguinamento”, un mistero che unisce tutti, una umanità che fatica a trovare una risposta, un senso, eppure lo cerca, nella contraddizione costante e spesso avvilente, per quanto umana, tra ciò che si desidera e ciò che si ha.
“Nessuno sembra lacerato dentro/ sono qui che t’aspetto/ si aspettano i santi/ a chiese aperte e occhi spupillati/ mi benedice la cassiera sudata/ con il sorriso inverso”. A guardarla da fuori sembra una realtà perfetta e onesta. A guardarla da dentro, con gli occhi all’interno, si avverte la deformità del senso e il rumore che fa questa deformità. È un rumore silenzioso. Sono gli oggetti a essere infestati dal silenzio ed è un silenzio infettato quello che gli oggetti stessi ci rimandano indietro.
La seconda sezione del libro, dal titolo Una coazione disperata ha come stella la poesia eliotiana (il titolo della sottosezione è Mr Prufrock non canta più d’amore). Qui si fa spazio il dettato metapoetico: l’autore tenta e riesce una autoanalisi che è allo stesso tempo una riflessione della poesia su se stessa. Gli interventi che potremmo definire metapoetici non hanno solo valore “coscienziale”. Se Mr Prufrock non canta più d’amore – questo non puoi saperlo – ci avverte la Poesia, tuttavia può continuare a porsi la fatidica domanda, the overwhelming question.
“Né tu né io/ sappiamo ancora chi viene e chi va/ nel frattempo Michelangelo è morto”. Come a dire che è morto qualsiasi ideale di bellezza assoluto. Eppure “qui si compie la nostra carne”.
La sezione La mimica del legno è organizzata in tre sottosezioni tra cui spicca a mio avviso Hostis (le sottosezioni hanno la stessa struttura di una parte dell’Apocalisse di Giovanni ovvero 17, 14 e 9 componimenti). “Sei tu dunque l’avversario”, comincia così la sottosezione e si conclude con: “e questo è il segreto/ che porto da bambino/ avere un nascondiglio/ con dentro il mio assassino”. L’hostis è dentro di noi, tanto che “il nostro corpo è fatto d’acqua/ evapora sempre al primo dolore”. Con estremo rimando alla impossibilità della dimenticanza, come a una cementificazione a priori del dolore che rende il tempo un tempo di lutto facile.
Ma raccontare è tutto, la parola è tutto e se non c’è ascolto anche la storia non esiste. E quindi Angina d’amour non è un libro sul disincanto, è un libro sulla consapevolezza, sul ritorno al senso ultimo del corpo che lungi dall’essere un vivere hic et nunc, è memoria: “ci siamo amati una volta sola/ in questa vita e forse in un’altra/ sopra l’abito della domenica/ ci siamo indossati divorati/ baciati e sparati in bocca/ un alfabeto intero/ non toccare più niente/ neanche lo scalmo che ci sorregge”.

© Melania Panico

Sulla tua fronte siedono le stelle
l’odore della pelle e gli origami
In questi versi raccolgo le tue
le mie ossa appannate
la disarmonia dell’universo
Quanti escrementi e botole
precipitano fuori
costruisco rinnego costruisco
distruggo costruisco
Ho derivato qualcosa dall’aria
dai respiri ritmici e dispersi
sciolti nell’aceto e fatti fondamenta
una danza d’amore
una povera danza d’amore
una nera danza d’amore

 

Mi chiudi con le mani il cappotto
non avevo mai visto tanto amore
luccicarmi in fronte o nei paraggi
Poi lo abbiamo fatto davvero l’amore
un amore lungo uno scalpiccio ventricolare
quello dei resuscitati degli eccitati vinti
Non possediamo niente a parte il nome
e la carne fossile di qualche ricordo
Questa poesia non l’ho scritta io
l’ho trovata per caso e decifrata
sopra il tuo petto

 

Restiamo qui
dove la morte non pesa
e se nessuno ascolta
la storia non esiste
Sveliamo la farsa della solitudine
dentro questa vetreria
in cui tutto si vede e odora
in cui tutto passa in una mezza allegria
Qui ogni cosa ci divora e macina
Siamo stati i cinque continenti
e il sesto dei nostri corpi fusi

 

Giulio Maffii, Angina d’amour, Arcipelago Itaca, 2018

 

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