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Guido Mazzoni, La pura superficie (recensione di Claudia Crocco)

La prima cosa che colpisce di La pura superficie (Donzelli, 2017) è che sembra non rientrare nelle categorie più diffuse per parlare della poesia contemporanea italiana: non è un libro di poesia lirica come buona parte degli altri pubblicati nella stessa collana di Donzelli, né fa parte della schiera di libri che si autoproclamano «di ricerca» e pubblicano esclusivamente su case editrici indipendenti milanesi e romane.
Da un punto di vista strutturale, il terzo libro di Mazzoni (dopo La scomparsa del respiro dopo la caduta, 1992, e I mondi, 2010) è piuttosto compatto: comprende cinque sezioni, ciascuna composta da sei testi, sia in versi sia in prosa; tra una sezione e l’altra si trovano quattro prose più lunghe; in ognuna si trova almeno un rifacimento di poesie di Wallace Stevens; in tre su cinque c’è un testo intitolato Essere con gli altri. Come ne I mondi, sulla prima pagina si trovano due citazioni da Kafka. Nulla è lasciato al caso, insomma; prevalgono criteri di simmetria ed equilibrio. Tuttavia La pura superficie è anche un libro sperimentale: è lirico, narrativo e saggistico insieme; iperassertivo e impersonale. Forse è proprio la soggettività l’aspetto più interessante. In questa nuova raccolta di Mazzoni la prima persona è presente in modo ancora più definito rispetto alle precedenti. Talvolta compaiono toponimi o nomi di persona, che riconducono alla vita concreta di chi firma il libro (ad esempio in Quattro superfici, Genova, Angola). Non solo: in alcune poesie, ad esempio Terzo ciclo, ci troviamo davanti a una soggettività quasi classicamente lirica, con la prima persona che racconta un’esperienza personale o compie una analisi interiore. Altri testi, però, vanno in direzione molto diversa: l’autore si ritrae e lascia spazio a personaggi che rimangono anonimi, come nella prima delle poesie intitolate Essere con gli altri. Qui il punto di vista è indefinibile: l’esordio è in terza persona, ma contiene una invocazione a un generico “voi” («L’opacità degli altri mentre vi vengono incontro/ per porre dei limiti, per definirvi, letteralmente»); quindi si passa alla prima persona plurale («Siamo a disagio con loro,/ usiamo le frasi per nascondere o mediare»), infine c’è un’allusione alla scrittura in corso («le parole,/ tutte le parole, sono un appello o un’aggressione, anche queste»). La seconda strofa è interamente occupata dal personaggio di una donna che porta la figlia al parco e incontra un’altra madre; proprio quando sembra che stia iniziando un monologo interiore, e che la donna stia per fare un bilancio della propria esistenza, il discorso si interrompe con la frase «non ricorda».
Mazzoni non ricorre mai a formule teatrali; la voce lirica viene scomposta attraverso un incrocio fra la voce dell’autore e quella della donna, e con la continua oscillazione fra prima, seconda e terza persona. L’elemento più sperimentale di questo libro, d’altronde, non è la scissione della persona poetica. Molti poeti italiani degli ultimi decenni (Mazzoni compreso, nei libri precedenti) hanno cercato di scrivere senza usare mai la prima persona, come se avessero interiorizzato uno degli imperativi della Neoavanguardia; ne sono derivate diverse strategie che evitavano o giustificavano l’uso dell’io. Nella Pura superficie questa preoccupazione è assente. L’autobiografia, in versi e in prosa, è intrecciata a riflessioni filosofiche, che raramente si trovano in un libro di poesia italiana; esporre se stessi serve a costruire una riflessione sul mondo contemporaneo e sulla condizione umana. Come nei Mondi, viene sviluppata l’idea che le persone costituiscano monadi inaccessibili e separate («Porta dentro di sé un avversario interno. Succede a molti/ […] Una volta ho fatto una specie di escursione in campagna/ fra persone che non conoscevo./ Non parlavamo di nulla, raccontavamo aneddoti,/ descrivevamo i rapporti nei nostri/ luoghi di lavoro, le immagini inconsce, i desideri di facciata»). L’essenza di noi stessi rimane incomunicabile, perché la comunicazione sociale è sempre opaca. Ma il discorso di Mazzoni, più esplicitamente rispetto a quanto accadeva nei Mondi, è anche politico. La passione politica contemporanea viene definita un fenomeno di superficie, «uno dei tanti dada di cui è fatta la vita umana» (Angola); anche quando si ha l’impressione di essere parte di un movimento, gli uomini sono «soli e incomprensibili» (Genova). Il rapporto fra individuo e storia generale – come già nei Destini generali – può risolversi soltanto in due possibilità: l’illusione o la consapevolezza della marginalità. La pura superficie è un libro difficile, perché esprime anche una tesi sulla storia; questo è uno degli aspetti che più ha dato adito a critiche.
In un’intervista con Gianluigi Simonetti pubblicata su «Officina poesia – Nuovi argomenti» poco dopo l’uscita del libro, Mazzoni ha spiegato di aver voluto imitare le associazioni che ci sono solitamente in una seduta psicoanalitica, per costruire «un’opera che alternasse analisi e sogni, saggistica e biografia». In realtà La pura superficie ha poco della dimensione onirica o allucinata: è un libro estremamente lucido, che sembra sfruttare, piuttosto, l’alternanza fra impersonalità e soggettivismo. La sperimentazione più evidente c’è nelle prose lunghe, ad esempio Sedici soldati siriani e Barely legal. Barely legal è un monologo sulla pornografia, ma anche una riflessione sul confine fra realtà vissuta e virtuale (l’espressione «dentro il computer» viene ripetuta varie volte al centro della prosa) e sulla percezione della violenza. Il porno diventa un modo per parlare della realtà («La consideri umana. È un video violento. Per questo ti interessa»; «Lei si lascia picchiare o sodomizzare senza problemi: è la grammatica del presente, è uno standard. Dov’è il conflitto allora, dov’è la resistenza?»). In Sedici soldati siriani si parla di un video dell’Isis: «È un video orribile. È un video molto bello. Significa molte cose – per esempio che lo avete visto, che avete desiderato vederlo, che uccidere un nemico è un gesto umano e vi appartiene, e chi sa compierlo è forte, più forte di chi lo guarda mentre fa colazione in una società esteriormente pacifica, occultamente crudele. Mette via il computer, finisce di mangiare». Lo schermo permette di rimanere sulla superficie delle cose, di passare dal video di una decapitazione ai riti mattutini di una persona comune. Di nuovo (come nella prima Essere con gli altri) c’è una cesura nel testo: alla fine della prima pagina la scena si sposta dal mattino alla serata, che il protagonista del testo – del quale si continua a parlare in terza persona – continua a descrivere come dall’esterno, non mostrando né narrando i dialoghi fra i commensali, ma traducendoli per ciò che realmente significano, per la violenza che sottendono. Nell’ultima parte la voce torna ad essere più chiaramente quella dell’autore: «Comincia un dialogo dove le parole significano altro, un discorso obliquo e pieno di rancore che ogni coppia conosce e che non vi descrivo».
Diverso dai suoi contemporanei, La pura superficie è fra i libri più interessanti usciti in Italia nell’ultimo anno: innanzitutto perché è una riflessione sulla condizione umana che parte dal contemporaneo, ma diventa più generale; inoltre perché dimostra che la poesia può essere ancora impiegata in modo non manieristico né repertoriale. E questo, oggi, non è affatto scontato.

© Claudia Crocco