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Inediti di Giulia Annecca

Tutto ciò che voglio

Perorare il nitore e il nitrito,
l’essere minotauri sperduti tra la normalità sgualcita degli altri,
le nostre sessioni incrinate di sguardi al cardiopalma:

è tutto ciò che voglio

 

E quando girasti le spalle senza guardarmi negli occhi

E quando girasti le spalle senza guardarmi negli occhi
per me fu chiaro lo schiudersi di una vita diversa,
il chiudersi dell’altra:
era un prodigio.

Diramati nella tua retta parallela alla mia,
prosegui perché puoi solo andare avanti;
come unica compagna di viaggio hai un’indifferenza assassina.

Eppure chiedo ancora il tuo occhio che sventra e ricuce,
voltati a osservare le conseguenze del tuo egoismo truce.

 

Tremarie

Tu
marcia in questa orgasmatica bluastra luce inquinata
e schiva il tramestio dei bar vegani che scoprono ora
l’ape
di miele viscoso che ti copre le mani
quando ti arraffi per agguantare e distruggere problemi
meneghini
come il panettone Tremarie
tremare d’impotenza umana ad ogni scorcio di madunina,
l’è picolina come Brera di fiori chiari e fiori oscuri
da baluginio nero nel tuo petto
che fa male, ma le colpe non sono tue;

per essere vivi
ci vuole la memoria di trucioli persi
sul fondo della Darsena di sera
mentre il filippino alla cassa spera di svoltarci la settimana
col coraggio liquido di zio Baffo a 2 euro
greci come la crisi nel vespero migrar.

Tu cambia
mentre Milano resta la stessa depressa
ingorda di ambizione e amore
voluta da tutti amata da nessuno

C’è un sottile compromesso fra un uomo e una città

Tonfo sordo
Estingue l’istinto
come un tonfo sordo nei calanchi e provoca
lo stesso tremore attempato
del vecchio che traslucida la cataratta
al mondo che inciampa e diviene divenire.

Sulla sedia di vimini s’assesta
e nelle narici serpeggia lo Ionio
mentre in lui riverbera la domanda
antica su quanto avrebbe speso per la frutta di oggi col vecchio conio.
Permea il dubbio con l’espressione corrucciata
di chi è stato catapultato nell’impossibile,
anche la distesa di grano gli è ora invivibile
costretto all’aiuto della dipendenza
vorrebbe sentire le gambe affondare nell’erba
e le braccia falciare
e l’unico movimento, invece, è il sudore

.

Abitudine

Povero in canna
per abitudine

ciò che più mi fa specie
…….– quando miro la mia inconsistenza sbilenca nelle maglie dello specchio –
è la mia incapacità di cambiare;

i miei giorni sono cappotti impilati
in armadi mai spalancati
e nelle tasche la naftalina
è l’unico segno del tempo che tasto con le dita

.

Senape

Entro nella tua stanza che sa di senape e
polvere
e mi accascio tra il buio del tuo lascito;

se scosto la cortina posso ancora
varcare i tuoi spiragli di risposte

ma io ne sono spoglia
come un ramo d’inverno
che resiste perché si conosce
in attesa della primavera.

Lascia che ti spieghi perché ti ho a cuore,
perché creo storie
perché tesso legami:
sono i segni del tuo calore ruvido
cui mi appendo come ami.

.

© Giulia Annecca

Giulia Annecca, classe 1996, è originaria di Grassano, provincia di Matera. Studia Lettere moderne all’Università degli Studi di Milano e scrive di letteratura per la rivista online edita da Antonio Tombolini Editore Il Colophon. Precedentemente ha collaborato con Il Foglio recensendo libri.


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