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Monica Guerra, Sulla soglia (Nota di Melania Panico)

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Monica Guerra, Sulla soglia (On the threshold; traduzione di Monica Guerra e Patrick Williamson), Samuele editore, 2017

Si resta sulla soglia per vari motivi. Si resta per guardare con occhio attento e quasi distante, tra il sospettoso e il pauroso.
Si resta per attendere una risposta, perché non ce la si fa a stare completamente dentro una situazione che fa male.
Si resta sulla soglia per segnare il confine tra questa e quella parte, tra noi e noi, quando il confine diventa un modo per riflettere anche su se stessi: ciò che siamo stati, ciò che non siamo più, ciò che siamo diventati.
Il libro di Monica Guerra è tutto questo. È un libro che riflette sulla questione del restare. Come se restare, il compito di chi resta, chi non va via, fosse una responsabilità. La responsabilità della vita: «la catena che non spezzo», nonostante tutto perché «morire è un’isola/ perché morire/ non è come dirlo».
Restare è anche una prova. Infatti il libro è un viaggio (anche cronologico) a ritroso, a ripercorrere il perché e il come del saluto (che è il titolo della prima sezione). Monica Guerra parla del tempo come ripetizione del gesto e in alcuni punti diventa esplicito il suo riferimento al “ciclico”: «morire è un gesto/a ripetizione […] la separazione non esiste».
Come a dire che nulla è definitivo, tranne l’amore come motore e pena, non soltanto ricordo ma stella fissa sempre splendente – quando effettivamente resta in alto come punto a cui guardare – per trovare una direzione. L’estrema sezione del libro si intitola proprio Il ricordo: tutto si è già compiuto, anche l’elaborazione della distanza, anche la fermezza e il commiato, la vita che non mi fa dormire e poi l’epilogo: «pensare che sondavo il morire/ dov’è ora il mare». Qualcosa che somiglia alla grandezza.

© Melania Panico

6 Luglio 2016

la lacrima lungo l’angolo
sinistro il passaggio, ogni
giorno riscorre il tuo andare
nel mio occhio in prestito
che poi cosa vuoi che sia,
la vita non è tutto.

 

30 Maggio 2016

qui è un andare piano
invischiare la direzione
l’ombra lunga del cipresso
è il mio non sentire l’anello
la catena che non spezzo.

 

17 Maggio 2016

sfogliavamo insieme
le stelle una dozzina
di cieli stralunati tu smistavi
una costellazione
e poi d’un tratto
scorrere o il solco di un nonamore

la sorgente a rovescio
poggiasti il bicchiere

perché morire
morire è un’isola

perché morire
non è come dirlo.

 

Monica Guerra è nata a Faenza il 4 ottobre 1972. La sua penultima pubblicazione Sotto Vuoto (Il Vicolo, 2016) ha vinto il Premio Letterario Giovane Holden 2017. Nello stesso anno l’autrice ha ottenuto il Premio Gutenberg intitolato a Luciana Notari, categoria inediti. Semi di sé (Il Ponte Vecchio, 2015) seguiva la precedente pubblicazione Raggi di Luce nel Sottosuolo – primo classificato al Premio Letterario Biennale dei Monti Lepini – e il saggio intitolato Il respiro dei luoghi, scritto a quattro mani con il sociologo Daniele Callini (Il Vicolo 2014). L’autrice ha ottenuto negli anni diversi riconoscimenti e menzioni speciali – Premio Dino Campana, San Domenichino, Salvatore Quasimodo, Città di Martinsicuro – i suoi testi sono presenti all’interno di antologie e collabora con alcune riviste letterarie. Si occupa di formazione e apprendimento presso istituti pubblici e privati ed è fervente promotrice di eventi culturali e letterari sul territorio, tra i quali #POETRY a Faenza.

Una replica a “Monica Guerra, Sulla soglia (Nota di Melania Panico)”

  1. Ringrazio di cuore Melania Panico per queste parole così precise. Ritrovo, nell’essenzialità di questa nota, tutte le mie intenzioni, colte sensibilmente e in modo estremamente lucido. Grazie. Monica Guerra

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