Giorgia Meriggi, Riparare il viola (Marco Saya Edizioni, 2017)
Recensione di Ilaria Grasso
Riparare il viola è l’intrigante titolo della raccolta di Giorgia Meriggi, finalista al Premio Internazionale di Letteratura della città di Como.
Prima di leggere queste poesie mi sono interrogata sulla natura di questo colore viola e mi erano venuti in mente solo i raggi ultravioletti e ammalanti del sole o a versi impregnati di un femminismo un po’ agé. Immaginate lo stupore che ho provato ascoltando l’io lirico della Meriggi che mi cantava di un mondo vegetale dotato di una grande capacità evocativa. In passato l’unica cosa di vagamente affine era stata per me Fiori fantasma di Ronald Fraser, edito qui in Italia da Edizioni di Atlantide.
La bellissima prosa del libro di Fraser ci racconta di Judy, una giovane botanica “insofferente delle regole della società maschile in cui vive e di un fidanzamento che le sta troppo stretto”. Insomma una fanciulla tutto pepe che reagisce a questo genere di costrizioni attraverso l’atto di immaginare i fiori come esseri dotati di interazione anche erotica con gli uomini che la fa approdare persino a una dimensione mistico-spirituale.
Cominciò a perdersi in lunghe riflessioni, i suoi occhi fissi sulle verdi aste acuminate della thalia genicolata al bordo dell’acqua, pennellate accese nel mezzo di quel mondo smeraldo […] la sua immaginazione si allontanò mentre lei riposava e cominciò a vagare nel mondo delle piante, ma senza troppa audacia, perché la sua anima era diventata troppo sensibile alla percezione di presenze che la osservavano e la studiavano. L’atmosfera umida si era fatta opprimente con il suo carico di essere invisibili. E l’immaginazione dei fiori? Era possibile che anch’essa fuoriuscisse da loro per entrare in comunicazione con una qualche parte di lei, liberata in un anomalo sonno del corpo o della mente?
Nell’io lirico della Meriggi trovo qualcosa di diverso rispetto al personaggio di Judy. Nei testi della Meriggi sono infatti presenti riferimenti culturali e filosofici ben precisi. D’altronde ha studiato filosofia e si percepisce in maniera forte la speculazione che sottende ai suoi versi. La parola usata dalla Meriggi non appartiene a una descrizione bucolica e ingenua del mondo vegetale, anzi ciò che incontriamo nei suoi versi è sì nominato utilizzando il linguaggio del botanico e dell’entomologo ma anche arricchito di un significato nuovo:
So di due coleotteri smarriti
che non sanno niente del vetro.Di calligrafie rigorose, quiete
di pioppi, risaie fatte a maglia,
no.
La poeta sviluppa, tramite i fiori, i grandi temi del femminile partendo proprio dalla calla, fiore simbolo del fascino femminile che con eleganza essenziale e forza delicata esprime tutta la sua solida bellezza. Alla calla appartiene inoltre una iconica bellezza (viene da kalos cioè bellezza) e una purezza divina. È infatti un fiore utilizzato sia nei bouquet delle spose sia nelle corone funebri dei giovanissimi. Ma la calla era associata, nella mitologia romana, a Venere, la quale si sarebbe risentita della bellezza del fiore, della sua fertilità e del suo ardore e gli fece nascere un lungo e vistoso spadice per abbruttire quel fiore. Di questa leggenda si respira la traccia in questa bellissima poesia:
Recidiva la notte chiude il palmo
fino a combaciare interno delle linee.Si dischiude la calla, si abbevera
la raganella.La fortuna è nel contegno del cuore
quando si corica di lato al buio.
Dicevamo della sagacia e della struttura, direi anche dell’intenzionalità delle parole. La Meriggi è ben consapevole del loro valore simbolico e dell’importanza della disposizione delle poesie all’interno della raccolta. Spontaneo e immediato pensare alla “parola trasformante” di Iguana di Anna Maria Ortese che nel denominare il sauro in svariati modi (ad esempio “bestiola”, “vecchietta”, “ragazza” ed “Esterellita”) incarna il cambiamento.
Ne trovo conferma quando più avanti nelle pagine la parola “raganella” diventa “ranuncoli” e “piccole rane infami” e solo alla fine “rane”. Anche il passare dal singolare al plurale ne amplia il senso e in definitiva l’interpretazione. La Meriggi gioca con le parole e tanto con una dotta ironia (il cavolo, nei suoi versi è “crucifere di seta cruda/ sotto il nostro alibi”) ma anche con i luoghi comuni (“tu sei una castagna/ e ho già troppi stampi per le pentole”).
Di sangue o lembi non ne vediamo molti nella raccolta (e finalmente!), ma la Meriggi comunque li evoca in maniera squisita e con un fare ugualmente incisivo utilizzando la metafora del fiore di ippocastano che produce fiori bianchi macchiati di rosso, in alcune varianti, proprio come negli amori:
Aprile apre una faglia di mandorla
amara, il velenoso spande fino
all’ipogeo.L’etica del disamore: vietato
trasognare all’ippocastano in fiore.
Ma per noi uomini che abitiamo nelle città metropoli piene di smog e palazzoni ha ancora senso parlare di natura e animali e fiori? Io direi di sì, se non altro per ricordarci da dove veniamo e rileggerci. Anche su questo tema la poesia della Meriggi ci invita a fare una riflessione.
Vedi, al sole gli insetti diventano
di vetro e poi spariscono sedotti
dall’incantevole caramellare
delle rane.Guarda la malvarosa, domandati
perché non è più di moda negli orti
di campagna.Ma chi parla, se neanche nei giardini
ornamentali oramai siamo reali.
Perché è anche con le metafore (comprese quelle bucoliche) che “si sutura”. Non ho mai fatto mistero di quanto sia sottovalutata e bistrattata la funzione della poesia come cura per la mente e l’animo umano per cui il mio pensiero si rinfranca in questi versi che per me hanno rappresentato una accogliente e piacevole culla:
È un lento riparare le fratture
di questi muri, riempire le crepe
con ciò che è andato in pezzi: erbacce, vezzi,
ossa di teiere, sillabe avanzate
dai versi, resti di macelleria.Con le metafore poi si sutura,
sono emostatiche.
In conclusione vi invito ad attribuire al colore viola della raccolta di Meriggi molti significati e a vederlo declinato nel coro di voci che la Meriggi ha composto e inserito nell’ultima sezione della raccolta perché il viola non sia più solo la sfumatura di un ematoma sulla pelle delle donne.
© Ilaria Grasso
Una replica a “Giorgia Meriggi, “Riparare il viola” (di I. Grasso)”
L’ha ribloggato su poesiaoggi.
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