Epiplèttein
L’odore del mirto
difficilmente si dimentica,
se pietrificato nel cuore
che credevo da Medusa colpito.
Il vento cementificato
nella spiaggia del possesso
– il tuo, il vostro: ché mio
è il tempo di dirti vuoto
e Vita darti –
ulula e impreca.
Conto le pietre sulla schiena
verso me schierata
senz’armi e senza orgoglio
offertami,
per poi cambiare
il corso del Mondo
(la sinonimia dell’ardito ardore
fiammeggia nell’antico flusso
di concetti che trovan stallo in Te)
e attraversare litri di vita
infiggendo il pianto estremo
nel tempio votato a chiamarmi.
Finché sarò grano
volerò per la piana
dal morbido fulmine:
il ricordo; il rintocco; l’artistico
volteggio della caccia al già
posseduto.
Le mie labbra affannate
sullo squarcio del sipario
restano l’Inesprimibile
più compreso.
Pausa pranzo
Affissi come vestiti in saldo
occhi cisposi frugate, fuggite
per finta per finta deviate
percorso da lei
poetessa e poesia insieme
lei che vi ha gelati
perché di fuoco vi mostraste.
Sempre gl’idoli tradiscono
se ne fregano dei piccoli
gl’idoli e piccoli
saremmo davvero
se solo disposti a misurarci
fossero gl’idoli.
Basta però vederli mangiare
un panino che minaccia
macchie sulla sciarpa
basta scoprirl’in lotta
con l’insalatitano
o a mandare affanculo il barista
che il resto sbaglia apposta
per sorridere:
per capire che la carta è pesta
per le botte subite
dagl’idoli loro d’un tempo
non-morto.
Occhi, da adulti guardaste bambini
e speraste in qualcuno
con cui giocare sul serio
dimentichi della grandezza
di un assolo da soli con tutti.
Ecco
Scrivere poesia è scrivere d’altro.
La sera può dare
più luce del fuoco
se libera e profanata in parola;
ricordare per dimenticare
di averlo fatto.
L’oblio è il modo migliore
– più vitale, vorrei dire –
per fissare la verità,
né realtà né mondo.
In fondo, rivelare vuol dire
coprire di nuovo,
e il manto del cielo che fu
è il ciò-che-sarà,
ché l’è muore
per la troppa bramosia di vita.
Ecco: vorrei solo passare,
incendiarti l’anima.
Vorremmo solo dimenticarci
per dire di esserci conosciuti davvero.
…
Amore militante
In me mora
e sì mortale – ma sta a me deciderlo
incedi su scale
di sangue
con gambe in festa
(la mia)
su tacchi tuoi stiletti
stilemi miei.
Fugo
gl’anacronismi di un’ideale
stantia
balestrando l’amore
fuori da noi: ché siamo
Sociali
e una stanza e gli umori che svela
e gli scoli dagli occhi
dai cuori
dai corpi
non sono più
nostri.
Ma ci sono giorni
in cui ’l mio sentirmi bello
non ha più importanza
se non puoi goderne,
se non puoi guardarmi.
…
© Sacha Piersanti, da Pagine in corpo, Empiria 2015