
Quando
Quando dalla vergogna e dall’orgoglio
::Avremo lavate queste nostre parole.
Quando ci fiorirà nella luce del sole
::Quel passo che in sonno si sogna
(Fortini)
Ricordo troppe cose dell’Italia.
Ricordo Pasolini
quando parlava di quant’era bella
ai tempi del fascismo.
Cercavo di capirlo, e qualche volta
(impazzava, ricordo,
il devastante ballo del miracolo)
mi è sembrato persino di riuscirci.
In fondo, io che ero più giovane
d’una decina d’anni,
avrei provato qualcosa di simile
tornando dopo anni
sui devastati luoghi del delitto
per la Spagna del ’51, forse
per la Russia di Breznev…
Ma ricordo anche lo sgomento,
l’amarezza, il disgusto
nella voce di Paolo Volponi
appena si seppero i risultati
delle elezioni del ’94.
Era molto malato,
sapeva di averne ancora per poco
e di lì a poco, infatti, se n’è andato.
Di Paolo sono stato molto amico,
di Pasolini molto meno,
ma il punto non è questo. Il punto
è che è tanto più facile
immaginare d’essere felici
all’ombra d’un potere ripugnante
che pensare di doverci morire.
(Raboni)
Italia 1942
Ora m’accorgo d’amarti
Italia, di salutarti
Necessaria prigione.
Non per le vie dolenti, per le città
Rigate come visi umani
Non per la cenere di passione
Delle chiese, non per la voce
Dei tuoi libri lontani
Ma per queste parole
Tessute di plebi, che battono
A martello nella mente,
Per questa pena presente
Che in te m’avvolge straniero.
Per questa mia lingua che dico
A gravi uomini ardenti avvenire
Liberi in fermo dolore compagni.
Ora non basta nemmeno morire
Per quel tuo vano nome antico.
(Fortini)
19**
Certo, è il momento di parlare
come c’è stato quello di tacere
con tutti (perfino con gli amici), attenti
a non fare mai la stessa strada,
e non lasciare in giro taccuini
stracciati, indirizzi di streghe. E il tempo aiuta,
eh? non è vero? (Anche troppo.) Ma se uno
è appena astuto, sa che non bisogna
lasciarsi andare. E così niente abbracci
al baritono negro, allo scienziato
ebreo per parte di madre, niente fiori
sulle fosse o rimproveri sgarbati
agli aguzzini. Quando più te l’aspetti
torna a tirare un’aria di cappucci.
(Raboni)
Canto degli ultimi partigiani
Sulla spalletta del ponte
Le teste degli impiccati
Nell’acqua della fonte
La bava degli impiccati
Sul lastrico del mercato
Le unghie dei fucilati
Sull’erba secca del prato
I denti dei fucilati.
Mordere l’aria mordere i sassi
La nostra carne non è più d’uomini
Mordere l’aria mordere i sassi
Il nostro cuore non è più d’uomini.
Ma noi s’è letta negli occhi dei morti
E sulla terra faremo libertà
Ma l’hanno stretta i pugni dei morti
La giustizia che si farà.
(Fortini)
L’hanno picchiato a sangue, non a morte
il figlio mezzo scimunito
della fiorista del paese
che girava fischiando «Giovinezza»
due, al massimo tre giorni
prima del 25 aprile.
Era fascista? Certo – come quelli
che l’hanno preso a pugni
erano uno di Masnago, gli altri
di Induno: per esserci nati.
Mai più saremmo stati, lì da noi,
così atrocemente innocenti.
(Raboni)
Complicità
Per ognuno di noi che dimentica
c’è un operaio della Ruhr che cancella
lentamente se stesso e le cifre
che gli incisero sul braccio
i suoi signori e nostri.
Per ognuno di noi che rinuncia
un minatore delle Asturie dovrà cedere
a una sete di viola e d’argento
e una donna d’Algeri sognerà
d’essere vile e felice.
Per ognuno di noi che acconsente
vive un ragazzo triste che ancora non sa
quanto odierà di esistere.
(Fortini)
Le luci di Milano – poca cosa,
lo so, in quel primissimo dopoguerra
con più macerie che case, più scheletri
che armadi per nasconderli,
ma sfolgoranti e come ai fievoli occhi
del ragazzo fatto si campagna
in tre anni d’esilio, quando il viale
che portava al cancello
scompariva crudelmente ogni sera
nell’osceno incantesimo del buio
e ai tanti pollicini della terra
il fiato bastava sì e no a sperare
che alla fine dell’infausta trasferta
nel labirinto dell’anestesia
le cose sarebbero state ancora
lì ad aspettarli- Ah niente più paura,
adesso! la città restava sveglia
per tutti, la città non scompariva
mai! proprio come avevo immaginato
di Parigi, di Londra, di New York
sugli amati romanzi… Cominciava
così, prendendo (quasi alla lettera)
lucciole per lanterne,
da capo o per sempre la vita.
(Raboni)
Franco Fortini, Tutte le poesie, Mondadori 2014
Giovanni Raboni, Tutte le poesie, Einaudi 2014
2 risposte a “Sponda tra Fortini e Raboni (buon 25 aprile)”
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