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Richard Brautigan, L’autostoppista della Galilea

Richard Brautigan, fonte LitKicks.com
Richard Brautigan, fonte LitKicks.com

L’autostoppista della Galilea, di Richard Brautigan

Introduzione e versione italiana delle poesie di Martino Baldi

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Charles Baudelaire scorrazza per la Galilea  alla guida di una Ford degli anni Venti. Lungo la strada tira su un autostoppista. Si chiama Gesù. Una roba che comincia così non ha bisogno di troppe presentazioni. E infatti L’autostoppista della Galilea è un testo che parla da solo e io mi limiterò a qualche aneddoto per contestualizzarlo. Indicato solitamente nella bibliografia di Brautigan come il suo secondo libro di poesie, in verità non è un libro vero e proprio, ma appena una breve suite di nove brevissimi testi. Né si può dire propriamente che sia il secondo, visto che il cosiddetto primo libro, The Return of the Rivers, di fatto fu ancor meno libro; si trattava infatti della semplice stampa di una singola poesia pubblicata da Leslie Woolf Hedley, il proprietario della Inferno Press (sì, il nome era meraviglioso), come favore personale: cento copie con le copertine e le etichette piegate e incollate a mano dallo stesso Richard con l’aiuto di sua moglie Virginia e di Ron Loewinsohn (l’amico poeta a cui poi dedicherà Pesca alla trota in America).

Lo stesso Leslie Woolf Hedley nel frattempo, a fine 1957, aveva pubblicato anche la plaquette Four new poets, in cui riuniva quattro poesie di Brautigan, insieme a testi di altri tre giovanissimi poeti: Martin Hoberman, Carl Larsen, and James M. Singer. Carl Larsen, a sua volta, aveva pubblicato nell’estate precedente  due poesie di Brautigan sulla rivista Existaria, a Journal of Existant Hysteria. Insomma, era la San Francisco degli anni Cinquanta ed era un gran bel bordello. Per i poeti, un paradiso. È da quel clima comunitario che nasce la pubblicazione dell’Autostoppista.

Andò così: il poeta Jack Spicer (il secondo dedicatario di Pesca alla trota) nella primavera del 1957 iniziò a organizzare in una stanzetta del terzo piano della Biblioteca Pubblica di San Francisco (poi si spostò nei locali del San Francisco State University Poetry Center) un laboratorio di poesia. Era una cosa piuttosto informale. Il workshop ospitava settimanalmente poeti, artisti e studiosi dell’area di San Francisco, e occasionalmente anche qualche ospite della East Coast. Il 9 giugno del 1957 i poeti che vi partecipavano tennero un reading, intitolato Poetry as Magic, e Jack Spicer nei giorni successivi si dovette lasciar sfuggire in compagnia di alcuni dei poeti partecipanti qualcosa del tipo: “Però, cazzo, quanto sarebbe bello pubblicare i testi dei poeti del laboratorio!”. Tra quei poeti c’era Joe Dunn, che doveva essere un tipo piuttosto pratico per essere un poeta e poche settimane dopo si iscrisse a una scuola serale di quattro settimane per imparare a maneggiare una macchina per la stampa (no, non era così facile all’epoca) e cominciò  a lavorare per la litografia della Compagnia degli Autobus di San Francisco. Stampava biglietti, volantini, programmi, orari, ecc. Ora, non è ben chiaro se Joe abbia chiesto il permesso a qualcuno, ma nella litografia della compagnia degli autobus, verosimilmente di notte e durante i fine settimana, Joe Dunn – che nel frattempo aveva fondato la White Rabbit Press – già  a novembre mandava in stampa i primi libretti di poesia e a nell’arco di un anno ne aveva pubblicati già dieci: il primo era di Steve Jonas, il secondo di Jack Spicer, il sesto – nel maggio del 1958 – era L’autostoppista della Galilea di Richard Brautigan.

Diviso in nove parti, ognuna con un titolo, e ognuna con protagonista Baudelaire impegnato in attività in cui solo la mente  di Brautigan poteva porlo (tipo assistere a una partita di baseball o aprire un chiosco di panini), L’autostoppista è una sorta di filiazione psichedelica dello Spleen di Parigi, di cui riscrive in modo decontestualizzato alcune parti, con citazioni anche alla lettera. La libertà stilistica, la semplicità infantile e la sorprendente felicità di invenzione analogica che renderanno Brautigan un’icona della controcultura degli Anni Sessanta e Settanta (un successo eclatante ma anche un declino velocissimo che lo portò al suicidio) sono già tutte in questo testo del Richard ventitreenne. Così come ci sono già la divertita malinconia e la malinconica allegria che ne fecero uno dei più esilaranti e irregolari pessimisti che la letteratura ci abbia dato.

Baudelaire che vagabonda in auto e tira su Gesù che fa l’autostop. Baudelaire che va allo stadio a vedere una partita di baseball. Baudelaire che fa la scimmia per far divertire un bambino che finge di suonare l’organetto con il macinino del caffè. Baudelaire che apre un chiosco di hamburger ma invece della cipolla mette nei panini dei fiori (forse del male? Chissà). Mi sono divertito tanto a scoprire queste poesie di Brautigan. Ho pensato che fosse un peccato che non ne esistesse una versione italiana e allora, ecco, ora c’è.

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Richard Brautigan, foto Jim Marshall
Richard Brautigan, foto Jim Marshall

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L’AUTOSTOPPISTA DELLA GALILEA (parte 1)

Baudelaire era
alla guida di una Ford “Model A”
in giro per la Galilea.
Tirò su un
autostoppista di nome
Gesù che
se ne stava tra
un branco di pesci
e li nutriva
con pezzi di pane.
“Dov’è che
te ne vai?” chiese
Gesù, mettendosi
comodo sul sedile
anteriore.
“Ovunque! Ovunque
purché fuori da questo mondo!”
urlò
Baudelaire.
“Verrò con te
fino al
Golgota”
disse Gesù.
“Ho un
biglietto
per il carnevale
lì, e
devo essere
in ritardo”

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L’AMERICAN HOTEL (parte 2)

Baudelaire era seduto
in un portone con un ubriaco
nei sobborghi di San Francisco.
L’ubriaco aveva un milione
di anni e poteva ricordare
i dinosauri.
Baudelaire e l’ubriaco
bevevano un moscato di Petri
“Bisogna sempre essere ubriachi”
disse Baudelaire.
“Io vivo all’American Hotel”
disse l’ubriacone. “E posso
ricordarmi i dinosauri”
“Che tu sia ubriaco senza tregua!”
disse Baudelaire

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1993 (parte 3)

Baudelaire era solito venire
a trovarci e osservarmi
macinare il caffè.
Era il 1939
e noi vivevamo nei bassifondi
di Tacoma.
Mia mamma metteva
i chicchi di caffè nel macinino.
Io ero un bambino
e giravo la maniglia
fingendo che fosse
:::un organetto a manovella,
e Baudelaire fingeva
di essere una scimmia
e saltava su e giù
tenendo in mano
una tazza di latta.

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I FLOWERBURGER (parte 4)

Baudelaire aprì
un chiosco di hamburger
a San Francisco,
ma metteva i fiori
nei panini.
La gente veniva
e diceva: “Dammi un
hamburger con un bel po’
di cipolla”
Baudelaire invece
gli dava
un flowerburger
e la gente
diceva “Ma che
chiosco di hamburger
è mai questo?”

*

L’ORA DELL’ETERNITÀ (parte 5)

“I cinesi
leggono l’ora
nell’occhio
dei gatti”
disse Baudelaire
ed entrò
in una gioielleria
in Market Street.
Se ne uscì
poco dopo
con un gatto
siamese
a ventun carati
che indossava
pendente
a una catena d’oro.

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SALVADOR DALÍ (parte 6)

“Te la mangi
o no
codesta zuppa,
maledetto vecchio
mercante di nuvole?”
Gridò
Jeanne Duval,
colpendo Baudelaire
sulla schiena
mentre era seduto
trasognato
alla finestra.
Baudelaire fu
spaventato.
Poi rise
come all’inferno,
agitò il suo cucchiaio
nell’aria
come una bacchetta
trasformando la stanza
in un quadro
di Salvador
Dalí, trasformando
la stanza
in un quadro
di Van Gogh.

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UNA PARTITA DI BASEBALL (parte 7)

Baudelaire andò
a una partita di baseball
e comprò un hot dog
e si accese una pipa
di oppio.
I New York Yankees
giocavano contro
i Detroit Tigers.
Nel quarto inning
un angelo
si suicidò
gettandosi da una nube bassa.
L’angelo toccò terra
in seconda base
e tutto il diamante
si incrinò come
un enorme specchio.
La partita fu
sospesa
per lo spavento.

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MANICOMIO (parte 8)

Baudelaire andò
al manicomio
mascherato da
psichiatra.
Rimase lì
per due mesi
e quando venne via
il manicomio
lo amava così tanto
che lo seguì
per tutta
la California,
e Baudelaire
rideva quando il
manicomio
si strofinava
contro la sua
gamba come uno
strano gatto.

*

IL MIO FUNERALE DEGLI INSETTI (parte 9)

Quando ero un bambino
avevo un cimitero
dove seppellivo insetti
e uccelli morti sotto
un arbusto di rosa.
Seppellivo gli insetti
in carta stagnola e scatole di fiammiferi.
Seppellivo gli uccelli
in pezzi di stoffa rossa.
Era tutto molto triste
e volevo piangere
mentre raccoglievo lo sporco
nelle loro piccole tombe
con un cucchiaio.
Baudelaire veniva
a partecipare
ai miei funerali degli insetti
dicendo piccole preghiere
della dimensione
degli uccelli morti.

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Nota:

I testi e le notizie critiche usate per la redazione e la traduzione sono tratti dall’Archivio Brautigan.net
Altri quattro testi di Brautigan inediti in Italia sono stati tradotti e introdotti da Martino Baldi su Crapula Club, qui: http://www.crapula.it/la-musica-dei-pesci-brautigan/

 

 


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