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Di stanza in stanza. Per una lettura di Carlo Tosetti #Wunderkammer

tosetti poetarum
copyright Antonio Lillo

Di stanza in stanza
Per una lettura di Carlo Tosetti, Wunderkammer

a cura di © Paolo Steffan

Premessa
Abito in un luogo percorso da una importante strada statale, che nel dialetto locale viene chiamata però provincial o provinzhal, a seconda della zona o dell’anzianità dei parlanti, e che, per la portata e la velocità dei mezzi, è tutto un cimitero di porcospini, tra rotatoria e altra rotatoria.1 Pochi chilometri a nord del suo tragitto, nella vallata di Pieve di Soligo, viveva Andrea Zanzotto, il poeta più climatico che abbiamo avuto, con la sua meteoropatia che ha condizionato moltissime pagine della sua opera (da Meteo, ai Misteri climatici, a Il vero tema).2 Abito infine a poca strada dalle Prealpi, che mutano di colore al cambiare della vegetazione, con un prevalere del rosso bruciato delle foglie dei castagni, colpiti da un male che sta disseccandone la linfa vitale, fino a una tragica morte cantata nei versi alti e nodosi di Cecchinel (La vozhe del castegnèr cròt).3

Artificialia I: camera delle meraviglie e dei ricordi
Ecco perché, quando ho aperto Wunderkammer di Carlo Tosetti,4 ho sentito di trovarmi in una camera accogliente e famigliare, vicina, malgrado la sua sia poesia colta, che fin dal titolo e dalle due introduzioni in prosa (quella di Antonio Lillo e la sua) ci condiziona nel senso di un allontanamento, verso un mondo antico e nordico: «stanze chiuse, accessibili a cerchie assai ristrette di affiliati che, o per ceto e cultura, o per sensibilità, avrebbero potuto penetrarne l’intimo mistero e condividere la gioia che procurava loro esclusivo possesso».5 La vicinanza cui alludevo è quella del primo testo in versi: La provinciale.

Rotola un riccio sulla provinciale,
balugina sfatta la foglia
macerata nel guazzo
e quest’anno i castagni
li si mormora sterili.
L’umido s’agglutina
dolcemente alle ossa,
il fiato tuo defluisce
in un rivolo fino alla falda
e berremo noi l’inverno,
tutto a primavera.6

Stupenda, l’immagine finale di un’acqua che si accumula in inverno nelle alture, per essere bevuta a primavera, quando sprizza su dagli acquitrini della pianura; in un distico che è erede di un asciugarsi progressivo dell’elegante endecasillabo iniziale, del perfetto novenario foliale, che si fa umida misura di sette nel guazzo e tra i castagni, per anticipare la misura di cinque, proprio lì dove si va alle ossa, per ingrossarsi in decasillabo solo lì dove s’ingrossa la falda. È bello sentire pulsare ancora la vita di uno stile che si preoccupa della misura, della musica, e non solo di raccontare qualcosa: perché la poesia non può essere solo narrativa, solo colloquiale, come si tende a fare oggi, per mascherare la vuota inconsistenza di gran parte di ciò che si pubblica in colonna.
Tosetti invece ci offre una prima pagina snella, nella quale si gode il lavoro di lima, dunque a togliere. E questo ci invita a continuare, nella sorpresa di trovare, come nel mio dialetto, quella provinciale che diventa improvvisamente statale, nel secondo testo della prima sezione: «la statale quando/ fu senza rotatorie». In questo orizzonte, dove anche i fiori delle acacie sembrano inodore, «nemmeno un ricordo/ avulso ci è dato d’avere». E infatti, il paesaggio fluviale è scheletrito, perché anche il centro, per quanto gonfio, con le sue ossute colonne è abbandonato. Davvero notevole è l’uso del paesaggio, conosciuto anche nelle sue più leggendarie pieghe, come l’autore ci racconta in Idoli, alludendo a una piramide sepolta, in un parco lombardo,
7 o visto, vagando tra “oggetti” in quel di Brno o nell’altrove di Bagan, dentro un “quinto regno della natura”, quello macchinato dall’homo faber, vitalizzato dalla prorompenza del caos: ma senza scadere nell’indifferente poeticità di ogni oggetto, bensì selezionandone una certa qualità, che nel suo poco sa animare la poesia di Tosetti di un’anima inquieta e affascinante.8 

Artificialia II: Elvira e Tiresia
L’ispirazione prosaica di questa raccolta, che difatti si inserisce con dignità nella tradizione del prosimetro, è dichiarata anche, per contrasto in Passione, quando Tosetti ricorda Parise, i suoi Sillabari (forse a suo modo volendo commemorare l’importante anniversario dello scrittore veneto) e, da qui, prende il via per una lapidaria dichiarazione di poetica: «m’incrosto ‒ solo ‒/ nell’esistenza appassionata».9 Non c’è da meravigliarsi, allora, di imbattersi nell’Ardore, durante un nuovo viaggio, stavolta a oriente, tra Samarcanda e Gordio, toponimi che ci riportano nel mondo classico, come il nome di Publio Quinto Marcello, protagonista fantomatico di Vuoto, ma più concreto del concreto, “oggetto” anche lui ‒ forse statuario, se capace di affermare, con la concretezza di un avambraccio mozzato, che «il vuoto contiene».10 Ed è tutta concretezza la concezione degli dèi che, nelle sue divagazioni in prosa sul mito, Tosetti ci propone, definendoli «pregni e grondanti di materia e natura», e ammettendo che «rifarsi al mito è una via breve: è attingere al deposito della sintesi e del senso “palpitante” di ogni evento e fenomeno».11 Un discorso, che porta in sé il germe di una consapevolezza di quanto la letteratura e l’arte in generale, ma persino la scienza, debbano al mito, a quello stratificarsi di archetipi che noi siamo: così, anche quando meno ce lo si aspetta, un Pan esiliato, dato per morto, e ora foriero solo di malattie terribili della nostra psiche, può fare capolino in uno pseudo-haiku di Zanzotto, o un Apollo sempre vigoroso e totalizzante può impossessarsi di Hölderlin, oramai cittadino onorario del Parnaso; o, ancora, Dioniso rivivere in Nietzsche e fargli scrivere sotto dettato versi di incredibile dirompenza, e la saggezza di un centauro materializzarsi nell’anima inquieta e franta del genio pasoliniano.12 Il resto dei versi della sezione (come d’altronde il titolo già faceva intuire) è un viaggio nel mito, ma anche nel Novecento interpretato alla luce di motivi ovidiani e platonici, di impressioni filmiche o pittoriche; bellissima Atropo, dedicata a una delle moire e tutta giocata su versi brevi, settenari e loro dismisure:

Ciarlano le Moire,
di sgarbi e tradimenti,
di stupri e di turgori
e dei goffi ruzzoloni
di centauri morenti,
ché tessendo monta
l’uggia e chi soppesa
il tempo, già l’inganna
con ardente cicalare,
sì che Atropo annoiata
s’ha da circuire,
per averlo ben rotondo
il pennacchio e poi pregare
che l’impingui di straforo.13

Naturalia I: esemplari sommersi
Il piglio mitico su cui approdano gli Artificialia, ci conduce sensatamente a trovare come primo interesse dei Naturalia l’intelligenza misteriosa e grande delle creature marine, tra guizzi evolutivi e crudeltà. Ma nella prosa sapienziale che appone alla sezione, Tosetti dichiara un sentimento della natura che ci ricorda le pagine scientifiche di Leopardi, nonché i condizionamenti che quel bacino di studi del recanatese ha comportato nei Canti (e non è un caso che l’autore assimili il suo crostaceo prediletto, il Talirus saltator, alla ginestra).14 Il gusto salino di questa sezione si dipana già in Sussistenza, un testo resistenziale, che ci riporta negli abissi e nella classicità, tra relitti lignei di navi perdute; per arrivare in Glabri fino a far trasparire, sprofondate negli abissi, le architetture delle gloriose civiltà marinare: i «fondachi dei mari», alternativa mercantile al più comune fondale, come vuole il sempre ricercato lessico di Wunderkammer, che apre a nuovi mirabilia a ogni accostamento verbale, con un interessante lavoro anche sul significante. Dopo l’illusione dei fondachi, non ci sorprende, in Espada, ritrovarci nel mercato agricolo dell’antica Madeira, tra «lugubri cataste»; ma le antichità non precludono un sogno futurista e, dacché di pesce si parla, che sia di genere culinario, con le sue Trote immortali:

Marinetti al mito
l’occhio strizzò
infarcendo le trote di noci
e passandole al fuoco,
le parò appresso con vesti
intrecciate di rabbia e valore,
le rese immortali,
ne fece guizzanti titani.15

Naturalia II: esemplari ibernati
Anticipato dall’ultimo testo della sezione precedente, intitolato Artico, il nuovo nucleo naturale è tutto solcato dal gelo e sarà capace di condurci in un giro del mondo, dalle cave di Carrara (attraverso Michelangelo) alle Dolomiti, da Trafalgar al mondo russo. Ma sarà perché amo l’inverno e mi affascina guardare verso le montagne, che stavolta mi voglio limitare a citare Nord, testo che apre la sezione, incarnandone il senso e la fascinazione:

Nei micromondi di pianura,
aduggiati dal Nord,
ramificano i muschi
e si pasce l’onisco;
sono essi piccoli
mondi sormontati
da immani muri
sbiancati vanamente,
madidi e gibbosi,
poiché il sole
lambisce l’oscuro
e percorre altre sue rette.

Naturalia III: esemplari impagliati
Nell’ultima sezione, dall’abisso toccato nella terza, si parte in uno slancio di volatilità, con un trittico dedicato ai passeri. Qui Tosetti sembra mettersi in dialogo con il poeta-ornitologo per eccellenza, Pier Franco Uliana, che nelle Poesie uccelline presta orecchio al passero ‒ «stormi di parole che litigano» ‒ per poi sciogliersi nell’intensità di uno sguardo: «ma tu ti sei posata fin dentro al ballatoio/ dello sguardo e hai beccato ogni briciola/ che lasciava cadere il mangiare dei miei occhi».16 E così, in Wunderkammer, i passeri «nemmanco indugiano/ sul mio sguardo mite/ e conosciuto, ch’esplodono/  in volo e vanno dispersi», poi «tutti presi a becchettare»; ma poco dopo li troviamo morti: un passero stecchito, forse per quella malattia crudele che li sta decimando, e che ancora Uliana ricorda nel suo ultimo lavoro, Ornitologie.17 C’è poi spazio per folaghe in dialogo con Artusi, per i grilli dell’Ascensione, per il sorcio, per i torcedores di Dumas… Ma a me, che così tanto ho scritto di pioppi, che così tanto per le loro sofferenze ho pianto nei paesaggi del Veneto, piace terminare questo scritto in ascolto della stupenda quartina di Pioppi, che sembra anche integrare un sonetto cecchineliano in cui «franti pioppi» soffrono, triste presagio di un lutto («sotto i salici e i pioppi/ piegati verso il mondo/ in cui sognò e ne ebbe strazio»):18

Dello strazio del pioppo
nessuno mai si cura,
trèmulo fino in bonaccia,
ci allerta di tragedie minori.19

Conclusione
Insomma, dentro queste Wunderkammer, queste camere delle meraviglie, è tutto un divagare di stanza in stanza, come se le cinque sezioni fossero anche l’indicazione di un muro che fa da separé tra le stanze ‒ stavolta in senso metrico-stilistico ‒ di altrettante canzoni “alle cose”, ma a cose quotidiane e mirabili, se animate dalla vita o dal caos non importa, e che sorprendono come la qualità fine della poesia di questo autore, della cui biografia nulla so (e questo per un esegeta può essere il più prezioso privilegio), se non il talento scrittorio comprovato dalla lettura della raccolta in “oggetto”. E, se non fossi stato tanto prolisso, spenderei qualche altra parola per le illustrazioni di Ale+Ale che accompagnano il testo, ma mi debbo limitare a segnalarne il tratto sopraffino di cui ‒ da illustratore dilettante ‒ mi complimento.

© Paolo Steffan

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Note

La mia scansione in paragrafi è condizionata dalle sezioni della raccolta, di cui ripropone i titoli.

1 La strada statale 13 Pontebbana.
2 Cfr. rispettivamente A. Zanzotto, Meteo, con venti disegni di G. Fiorono, Roma, Donzelli, 1996; Id., Conglomerati, Milano, Mondadori, 2009, p. 48; Id., Il vero tema [plaquette], Venezia, Cento amici del libro, 2011.
3 L. Cecchinel, Sanjut de stran, prefazione di C. Segre, Venezia, Marsilio, 2011, pp. 39-44.
4 C. Tosetti, Wunderkammer, Locorotondo, Pietre Vive, 2016, illustrazioni di Ale+Ale.
5 A. Lillo, in Ivi, p. 5.
6 Ivi, p. 15.
7 Ivi, p. 18.
8 Ivi, pp. 20, 21-22.
9 Ivi, p. 25.
10 Ivi, p. 27.
11 Ivi, pp. 28-29.
12 Si vedano: per Zanzotto, la sezione Palù di Sovrimpressioni (Mondadori, 2001); per Hölderlin, una qualunque edizione delle sue poesie, e così per Nietzsche, un’edizione dei suo Ditirambi di Dioniso; per Pasolini il riferimento è principalmente al film Medea, ma anche al libro-intervista Il sogno del centauro (Ed. Riuniti, 1981). Il pensiero va anche a due altri libri stupendi, Saggio su Pan di James Hillman (Adelphi, 1977) e La letteratura e gli dèi di Roberto Calasso (Adelphi, 2001).
13 Tosetti, op. cit., p. 32.
14 Ivi, p. 39.
15 Ivi, p. 42.
16 P. F. Uliana, Poesie uccelline, cansiglio.it, 2003.
17 Tosetti, op. cit., pp. 55-57; Uliana, Ornitologie, Osimo, Arcipelago itaca, 2016 (per cui rimando anche alla bella recensione di O. Ciurnelli apparsa tempo fa qui su «Poetarum Silva» qui).
18 L. Cecchinel, In silenzioso affiorare, prefazione di S. Ramat, con sei acquerelli di D. Casagrande, Cornuda, TIF, 2015, pp. 55-56 (anche qui rimando a una recensione, stavolta mia, apparsa su queste pagine lo scorso anno).
19 Tosetti, op. cit., p. 59.