Ogni episodio di Twin Peaks (in attesa dei nuovi, annunciati per quest’anno) è introdotto da un monologo di Margaret Lanterman, conosciuta da tutti come la Signora Ceppo perché gira abbracciando un ciocco di legno con cui si confida e dal quale ottiene rivelazioni. Potrebbe essere la pazza del paese, se a scarseggiare a Twin Peaks non fosse proprio la normalità. Quei monologhi, scritti dallo stesso Lynch, sono in definitiva una successione di poemetti in prosa, misteriosi, surreali, bellissimi. Hanno un valore poetico autonomo, e al tempo stesso sono una chiave di accesso al mondo immaginato dal regista e dai suoi collaboratori (Mark Frost, co-ideatore, su tutti). Dalle parole cercherò ogni volta di andare alla storia e ai personaggi, senza però svelare troppo per chi ancora ha la fortuna di non aver visto la serie. E tuttavia ogni spiegazione sarà solo l’inizio di qualcosa: nel linguaggio di Lynch, sia verbale che cinematografico, permane un residuo di non significato, un nodo di oscurità, un ceppo che non brucia e che parla.
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[Episodio Ventitré – La donna condannata]
A hotel. A nightstand. A drawer pull on the drawer. A drawer pull of a nightstand in the room of a hotel. What could possibly be happening on or in this drawer pull? How many drawer pulls exist in this world? Thousands, maybe millions? What is a drawer pull? This drawer pull – why is it featured so prominently in a life or in a death of one woman who was caught in a web of power?
Un hotel. Un comodino. Una maniglia su un cassetto. Una maniglia di un comodino nella stanza di un hotel. Che cosa potrebbe potenzialmente avvenire in questo momento su o dentro questa maniglia? Quante maniglie esistono in questo mondo? Migliaia, forse milioni? Cos’è una maniglia? Questa maniglia – perché ha un ruolo così importante nella vita o nella morte di una donna che è stata presa in una rete di potere? (trad. di Andrea Accardi e Alessandra Zarcone)
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Josie muore in modo misterioso, e la sua anima resta imprigionata nella maniglia di un comodino al Great Northern Hotel (un’anima imprigionata nel legno, che poi è anche l’ultima folle speranza della vedova Margaret stretta al suo ciocco). Che tipo di oggetto è una maniglia? Sempre e solo un tramite, un modo per andare oltre, per guardare dentro, per superare una soglia o una chiusura. E mai un pensiero a quello che invece si nasconde proprio lì, in quel contorno che stringiamo senza guardare, distrattamente, anche al buio. Ogni drawer pull che abbiamo ignorato è come un angolo di casa dove non abbiamo mai messo piede, come un’anima che abbiamo mancato. Thousand, millions nel mondo, ad ogni istante, maniglie afferrate, strattonate, sfiorate, ben manovrate, ma comunque pensando già ad altro, interni domestici, strade caotiche o paesaggi di campagna, tesori rubati, sogni nel cassetto. Temporeggiare invece, prolungare all’infinito quell’istante, non aspettarsi nulla, sentire con la mano le striature del legno o il freddo del metallo, il cigolio e il lamento del momento di passaggio, del nulla in attesa di farsi qualcosa, del vuoto prima che ritorni pieno. Pietà per il limite timido sorvegliato dalle maniglie, se non fa niente per fermarci non per questo dobbiamo oltrepassarlo incuranti, fingere di non sentire Josie che si dispera dalla maniglia di un nightstand (un mobile che vigila sul nostro sonno ingrato), dentro un hotel a sua volta di passaggio.
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@Andrea Accardi
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Una replica a “Ciò che disse il legno: Twin Peaks attraverso i monologhi della Signora Ceppo #24”
L’ha ribloggato su A proposito di un cane in livrea.
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