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Una frase lunga un libro #47: Catherine Lacey, Nessuno scompare davvero

Lacey

Una frase lunga un libro #47: Catherine Lacey, Nessuno scompare davvero, Sur, 2016, trad. Teresa Ciuffoletti, € 16,50; ebook € 9,99

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Ripiegai il mio letto improvvisato, riposi asciugamano e maglietta nello zaino e mi trascinai fuori dal capanno e scoprii che il rumore sconosciuto altro non era che il fruscio delle pecore nell’erba, ma quelle scapparono via, perché le pecore sono abbastanza furbe da non fidarsi di nessuno, tantomeno di chi dorme nei capanni e ne rispunta fuori carponi, e io non potevo certo biasimarle perché anch’io sarei fuggita se fossi stata una pecora invece che me stessa, e anzi alcune mattine, pur essendo me stessa, vorrei comunque essere una cosa che fugge lontano da me piuttosto che quella cosa cucita dentro di me per sempre.

Durante la lettura di Nessuno scompare davvero mi tornava spesso in mente, anzi si ripeteva e rimbalzava come una mantra, una frase di David Foster Wallace, da Infinity Jest (Einaudi, trad. Nesi, Giua, Villoresi) non perché Lacey mi ricordi il compianto Foster Wallace, ma perché quella frase è perfetta per descrivere Elyria, la protagonista del romanzo; la frase è questa: “Tra coloro che hanno un nucleo incrinato e gli altri, è come tra poveri e ricchi, è come la lotta di classe, si sa che ci sono dei poveri che ce la fanno ma la maggior parte no, non ce la fa, e dire a un malinconico che la felicità è una decisione, è come dire a un affamato che può sempre mangiare brioche.”

Elyria ha 28 anni, è sposata e vive a New York, un giorno senza dire niente a nessuno prende un volo per la Nuova Zelanda. Elyria ha un nucleo incrinato, ha dentro qualcosa che non va, uno squilibrio, una microfrattura, un solco interno che si allarga e poi si chiude, e poi si riallarga, o un bufalo, come lo chiama lei stessa, che spinge e la trascina via, e le fa respingere se stessa ancor prima del mondo. La protagonista di Lacey è perfetta per spiegare quel malessere che è quasi mai chiaro, nemmeno a chi di quel malessere è vittima. La cosa che non si spiega, la cosa che farebbe dire anche a chi ti conosce benissimo: “Se ne è andata, non lo avrei mai detto”. L’istante prima di andarsene via Elyria è sposata con un professore di matematica, lavora per la tv, non ha problemi economici, è figlia di una madre alcolizzata che ha l’aria di essere stata poco presente, una sorella adottiva che si è suicidata. La morte della sorella ha fatto sì che Elyria e suo marito si conoscessero e poi si amassero, anche lui ha una frattura interna, ma ci sono fratture e fratture.

Elyria parte, un biglietto e uno zaino, non dice niente e arriva in Nuova Zelanda, la girerà più o meno tutta, tra autostop, incontri divertenti e strani, persone conosciute e dimenticate, persone con cui riesce a interagire poco, non cerca lo scambio, cerca se stessa e nemmeno sempre, perché mentre si cerca vuole anche sfuggirsi. Vivrà presso un poeta, poi da una coppia di  agricoltori biologici, si affezionerà almeno un po’ solo a chi le rivolgerà un piccolo gesto, meno di una parola. Cerca e trova una speranza nell’attimo del nuovo incontro, speranza che si trasformerà in fastidio appena l’interlocutore vorrà comunicare qualcosa in più del minimo indispensabile. La ragazza starà bene e starà male, più che altro non starà, questo viaggio è come un fluttuare, ma il vero movimento è ciò che succederà dentro. Lacey con una prosa bella e originale e divertente, con l’utilizzo della prima persona lascerà che Elyria parli, che Elyria taccia e poi balbetti, che Elyria tenti di ricostruirsi senza farcela, che provi a spiegarsi se stessa e il mondo, che creda ogni tanto di aver scacciato il bufalo. Salutato dalla critica americana come uno degli esordi più interessanti degli ultimi mesi, Nessuno scompare davvero, è un romanzo “nuovo” in un certo senso. Nuovo perché c’entra uno dei grandi temi di questi anni, la difficoltà di stare al mondo, di relazionarsi, di scampare a se stessi. Lacey mette sul piatto l’impossibilità di raccapezzarsi in questo presente, lo fa con una scrittura empatica e commovente. Difficile riuscire a scordarsi di questa ragazza che consuma scarpe e che dorme in spiaggia e nei capanni, difficile non commuoversi quando dialoga col suo cuore e col suo casino, o quando comporrà – più volte – il numero di casa sua a New York quasi convinta di qualcosa, di una scelta, che svanirà nel momento esatto in cui dall’altra parte una voce dirà “Pronto?”. La frattura di Elyria, si ha l’impressione, ha a che fare con la sua natura, viene prima di una relazione d’amore, prima di una madre poco presente, di un padre sparito, di una sorella perduta, ha a che fare soprattutto con lei, per come è, e quindi ha a che fare con tutti noi.  No, la felicità non è una decisione, così come non lo è andarsene, figuriamoci tornare.

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© Gianni Montieri su Twitter @giannimontieri

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