IL MUSCHIO
Quell’anno non eravamo riusciti a trovare abbastanza muschio. Era la Vigilia di Natale e tutto era pronto: le montagne di carta pesta, le cascate di stagnola, i rami, le casette di cartone, l’ovatta bianca. Mancava solo il muschio per il pascolo degli animali e i rifugi dei pastori. Volevamo uscire a cercarne ancora ma mia madre ci fermò ordinandoci di pulire tutto perché presto sarebbe stata pronta la cena.
Mio fratello non rispose, finimmo di sistemare e poi mi disse sottovoce:
– Andiamo.
Lo seguii su per le scale e, senza far rumore, lo vidi aprire la porta della soffitta. Mi faceva paura quella stanza e non ci ero mai entrata. Ci ritrovammo in un luogo freddo e buio, senza pavimento né intonaco, pieno di cianfrusaglie e una finestrella priva di infissi dalla quale entravano il vento e l’ultima luce del giorno.
– Ci scommetto che sul tetto c’è il muschio, – disse mio fratello. Mi indicò il passaggio angusto e poi aggiunse: – Tocca a te andare a prenderlo, io non ci passo.
Cominciò a battermi forte il cuore ma non dissi che avevo paura e che non volevo andarci.
Salii su una vecchia valigia e poi sulle sue spalle. Ero leggera, una bambina di sei anni con le ossa cave come gli uccelli che rischiava di volare via con una folata di vento.
Passai attraverso la finestra facilmente e misi il piede destro fuori. Restai a lungo in quella posizione incerta; poi mio fratello disse muoviti! E allora feci avanzare l’altro piede. Ero fuori, in piedi, sul tetto della casa. Come un funambolo, le braccia allargate, i capelli al vento. Avanzai.
Mio fratello continuava a parlarmi, lo sentivo anche se lui non mi vedeva.
-Allora? Lo vedi?
Non avevo mai visto il mio paese dall’alto: sotto di me i tetti delle case più basse, le strade strette di cui riuscivo a scorgere per la prima volta il disegno tortuoso, le panchine di legno verdi e scrostate, il mosaico al centro della piazza. La rosa dei venti. Scoprivo meravigliosi giardini oltre i muretti, alberi da frutta spogli, giochi inaccessibili e muti di altri bambini: altalene, biciclette, costruzioni.
– Il muschio, c’è o no?
Mi girava la testa, abbassai gli occhi e guardai tra le tegole. A qualche metro da me scorsi del muschio: dovevo solo avanzare ancora un po’, allungare la mano e raccoglierlo.
Con il cuore che martellava e le braccia allargate andai avanti.
Il muschio brillava, nonostante la sera stesse togliendo la luce intorno. Era di un verde smeraldo come un prato d’estate. Quando la mia mano finalmente lo raggiunse mi sembrò di sfiorare un’altra mano, morbida, che si tendeva verso di me per portarmi in salvo. Questo contatto mi rassicurò e mi misi a sedere.
Mio fratello, intanto, continuava a parlarmi
– Quanto ce n’è?
E poi, sempre più preoccupato
– Dobbiamo scendere!
Non riuscivo a fare le due cose insieme. Rispondere e raccogliere il muschio. Cominciai a staccare dalle tegole delle grosse zolle che venivano via facilmente insieme al terriccio. Le riponevo con cura nella busta che avevo legata al polso e che il vento gonfiava come un palloncino bianco.
La riempii piano piano, senza accorgermi del tempo che passava, avendo cura di non rovinare il muschio, mentre il cielo diventava sempre più scuro e l’aria gelida.
Quando alzai di nuovo gli occhi vidi proprio accanto a me una luce. Era una stella così luminosa e vicina che avrei potuto staccarla e portarla a casa per il nostro Presepe.
A quel punto mio fratello era salito sulla valigia e si era affacciato alla finestra.
– Che diavolo ci fai laggiù? È pericoloso, non dovevi andare così avanti. Torna subito indietro!
Ero seduta sul tetto, con le gambe nel vuoto e le mani in avanti. Stavo cercando di afferrare la stella. Mio fratello ebbe paura. Con una voce tremante mi disse:
– Stai calma, non ti muovere, ora vengo a prenderti.
Il cielo era diventato nero, la busta era pesante, piena di muschio. Avremmo fatto un meraviglioso presepe e tutti i pastori avrebbero avuto il loro verde pascolo. Sotto di me nello stesso istante si accesero tante luci violette. I lampioni ci misero un po’ a diventare gialli e, quando alzai di nuovo gli occhi, la stella era piccola e lontana.
In quel momento la mano di mio fratello mi toccò la spalla.
– Andiamo.
Insieme, lentamente, tornammo alla finestra e ci calammo dentro la soffitta buia. Dalla porta socchiusa s’intravedeva un filo di luce e già saliva il profumo della cena della Vigilia di Natale: acre e dolce insieme.
Mio fratello sciolse la busta e ci guardò dentro. Era piena di muschio verdissimo e io mi sentivo speciale.
– Sei stata brava, ma mi hai fatto prendere uno spavento.
Quando mia madre ci vide rientrare con la busta piena disse sorpresa:
– E quel muschio da dove arriva? Dal cielo?
– Sì – rispondemmo insieme.
E un po’ era vero.
4 risposte a “Questo Natale #14: Giovanna Iorio, Il muschio”
che bello, ero un appassionato di soffitte e di tetto, lassù ero il padrone del mondo. il muschio lo trovavi sul versante a nord della casa,dove il sole arrivava poco o niente, era un muschio raso come velluto, diverso da quello che cresce nell’erba e a differenza di questo si stacca col terriccio proprio come raccontato nel racconto.
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Grazie :) sono felice che questo racconto ti abbia riportato alla magia del muschio dei tetti…
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Non avevo più di dieci anni la prima volta che uscii, di nascosto, dal lucernaio sul tetto e ricordo di aver volato sulla città per diversi notti prima di addormentarmi.
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[…] Il muschio di Giovanna Iorio […]
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