, , , , ,

Questo Natale #13: Laura Liberale, Bianco Natale? (Una fiaba)

foto gm
foto gm

 

Bianco Natale?

‑ Lassù! ‑ gridò un bambino sulle spalle del padre, puntando il dito in alto.
‑ È tornato! Ce l’ha fatta!
Poi le parole, i mormorii, i gridolini s’accrebbero e si fusero in un coro di sorpresa e di eccitazione.
La neve aveva smesso di cadere da qualche giorno, così tutti i nasi intirizziti poterono alzarsi verso quella macchia rossa sospesa in aria.
Ma non era Babbo Natale. Nient’affatto.
Si chiamava Torototea, e questa è la sua storia.
‑ Sei proprio sicura che non le abbiano ancora inventate?
‑ Di nuovo! Hai intenzione di farmi innervosire per davvero? Perché, invece, non le inventi tu, così poi le brevettiamo e magari diventiamo ricchi!
‑ Eppure mi sembrava finalmente di averne vista qualcuna!
‑ Per quel che ne so! Forse ne avrai viste da motocicletta. Togliti dalla testa quest’idea delle catene da neve per bici, una volta per tutte! Ci andremo comunque. In corriera. Tutto freddo evitato!
‑ Ma non è la stessa cosa, lo sai! La bicicletta fa parte dello spettacolo.
‑ Comincio a essere stanca di fare tutti quei chilometri ogni santa domenica! Inverno compreso!
‑ Ma Pupi cara, se continui a essere così bella è anche grazie a tutto il movimento che ti ho fatto fare in questi anni!

Torototea sapeva sempre prendere sua moglie per il verso giusto. Ma non era un adulatore. Credeva davvero in quel che diceva e, cosa ancor più importante, amava Pupi moltissimo. Ora, si sa ‑ lo sanno tutti ‑ che la bellezza sta sempre e soltanto dove si ama, in chi si ama e in ciò che si ama. Così, che Pupi pesasse quasi cento chili anziché i sessanta circa che avrebbe dovuto, non significava proprio nulla agli occhi, e soprattutto al cuore, del buon Torototea, il clown, la cui moglie gli faceva da ‘assistente’.
Forse perché per sua natura era candido e sincero, preferiva fra tutti i colori il bianco. Così, durante i suoi spettacoli si vestiva sempre nella stessa maniera, aumentando o diminuendo soltanto, a seconda della stagione e del tempo, gli strati di indumenti da portare sotto la sua ‘divisa’: una specie di lenzuolo munito delle classiche stecche interne all’altezza della vita, quelle che servono a rendere buffo e, ahimè, goffo e impacciato qualsiasi clown. Un lenzuolo bianco, ovviamente, ma di una stoffa lucida e smagliante. E bianchi erano anche il fiocco attorno al collo, la bombetta, i guanti e le scarpone. A volte un fiore ‑ vero o finto, chissà? ‑ ornava il cappello e, naturalmente, era una margherita bianca oppure un giglio. Qualcuno avrebbe potuto pensare, sbagliandosi, che lo facesse per fare risaltare i grandi occhi grigi come due palline d’argento, o la bocca dipinta di vermiglio. E, in effetti, un clown così monocolore era piuttosto bizzarro, il che, manco a farlo apposta, faceva aumentare la curiosità della gente nei suoi confronti (e, ciò che più importava, nei confronti dei suoi spettacoli). Ma, com’è già stato detto, non si trattava di una strategia. Torototea era bianco fuori perché lo era dentro.
E che dire di Pupi? È una prerogativa delle persone che si amano davvero quella di sentirsi e far sentire libere. Così Pupi, d’animo vivace e più mutevole, non era affatto condizionata da tanta bianchezza e si abbigliava con ogni sorta di colore, in base all’estro del momento. I tutù erano i suoi preferiti. Ne aveva di ogni tinta e foggia, confezionati con le sue stesse mani (anche qualcuno di pile e di flanella per l’inverno).
Ora, è facile immaginare cosa dovessero essere quei viaggi in bicicletta! E quali acrobazie per non perdere l’equilibrio così conciati! Ovviamente le biciclette erano state modificate e adattate ai due proprietari.
‑ Prima o poi la polizia ci fermerà e ci multerà per queste bici truccate, vedrai! ‑ ripeteva spesso Pupi, preoccupata. Ma non era mai successo.
Il manubrio di quella di Torototea era stato alzato quasi a livello degli occhi e allargato in modo da permettergli di impugnarlo, dato che la sua circonferenza vita tutta steccata gli oscillava pericolosamente sotto le ascelle (visto da lontano sembrava un budino alla panna a cavallo di una Harley-Davidson), e i pedali erano oversize come le scarpe che vi poggiavano.
C’è bisogno di specificare qual era il colore di quel trabiccolo?
Quella di Pupi era tutta striata e senza particolari modifiche, eccezion fatta per quello che avrebbe dovuto essere un sellino e che invece sembrava la gomma di una macchina.
Ogni domenica, forniti di una larga fascia gialla fosforescente a tracolla, per evitare di essere investiti (‟Così ci vedono”, diceva Pupi, come se fosse la cosa più normale della terra per un automobilista rischiare di non accorgersi di un budino ‘in moto’ inseguito da un krapfen vestito da ballerina!), partivano alla volta di qualche paese vicino, dove avrebbero tenuto il loro spettacolo.
Improvvisavano sempre, a seconda del pubblico, ma i palloncini gonfiati ai bambini non mancavano mai. Solitamente, Torototea inscenava il corteggiamento di Pupi e la gente finiva per seguire con vero interesse, come se sentisse che, al di là della farsa, dei capitomboli, degli schiaffoni, dei fiori (bianchi, ovvio), delle serenate stonate, dei baci con lo schiocco, c’era qualcosa di profondamente serio: un amore che si rinnovava di continuo, proprio nel dichiararsi in quel modo così comico e plateale.
Lo scenario ideale era, naturalmente, quello delle sagre estive, quando i paesi si trasformavano di colpo in grandi giostre luminose e tutti si aprivano alla leggerezza e al divertimento. Ma era bello anche col freddo, quando bisognava impegnarsi un po’ di più per fare fermare la gente frettolosa (e freddolosa). Ogni anno, però, con l’arrivo della neve e del gelo, Torototea attaccava con la solita solfa delle catene, perché proprio non riusciva a mandar giù di dover rinunciare alla sua comparsa in scena di grand’effetto: strombazzando con tutti gli infernali aggeggi sonori che aveva fatto montare sulla bicicletta. Sperava sempre che qualche cervello fine avesse provveduto a inventarle.
E anche quell’inverno era restato deluso. Soprattutto quella domenica di quell’inverno, perché nel paese di Musonio si teneva la prima fiera della Salsiccia Natalizia, fiera che prometteva di richiamare una gran folla.
Scesero dalla corriera come un re e una regina, tanto erano stati acclamati dai passeggeri che la riempivano. Bambini soprattutto. Che andavano a riversarsi nell’immenso fiume di coetanei lungo le strade del paese.
Avanzarono fra ripetuti strombazzamenti (anche se appiedato, Torototea era riuscito a portarsi dietro qualcuno dei suoi aggeggi), fino a raggiungere quello che doveva essere (diciamo doveva perché era la loro prima volta a Musonio) il centro. Di sicuro lo era della festa. Pupi, pur abituata da un pezzo agli addobbi, ai lumi e alle magie natalizie, non poté evitare di sgranare più e più volte i suoi occhioni.
Un’immensa salsiccia illuminata dall’interno campeggiava nello spiazzo pieno di tende e padiglioni, di luci a intermittenza, di Babbi Natale in cartapesta. Il suo fascio di luce era proiettato, come quello di certe discoteche estive, sul cielo chiaro ancora per poco, e cambiava continuamente direzione.
Dai megafoni si diffondevano delle canzoncine natalizie, ogni tanto sovrastate dalla voce roboante di qualche venditore o da uno di quei trillosquilli fischiosi tipici delle fiere.
C’era così tanta gente che non sentiva più il freddo e cominciava a dar segni d’insofferenza, strizzata com’era nel suo tutù a pois gialli e nelle calze arancioni. Torototea, invece, sembrava non accorgersi di nulla. Sorrideva e faceva grandi inchini, ma con gli occhi andava in cerca del posto più adatto per lo spettacolo.
Dagli stand gastronomici si levavano dei girotondi di profumi, ma fra tutti uno solo sgomitava per imporsi sugli altri: quello della salsiccia cotta nell’olio sfrigolante.
‑ Laggiù, Pupi. Esattamente là. La luce è perfetta. È come essere sul palco. Vieni, mia leggiadra musa, seguimi!
E, in effetti, se posto doveva esserci, uno di migliore Torototea non poteva trovarne. C’era quel tanto di spazio vuoto, lasciato da quanti ci giravano intorno, che serviva per un’esibizione davvero coi fiocchi.
Pupi la sfiorò e le scappò un sorriso nello scoprire che il rivestimento esterno era di gomma, così da renderla più verosimile. Non si era mai esibita all’ombra di una salsiccia gigante. Ma nella vita, si sa – lo sanno tutti – mai dire mai.
Torototea, in una fontana di lacrime finte, s’era appena rotolato sul materassino gonfiato a terra (va forse ripetuto che ci teneva al bianco della sua divisa?), davanti a un capannello di bambini che squittivano per il divertimento, quando due vigili gli si avvicinarono con un certo cipiglio.
‑ Si alzi, per cortesia.
Pupi s’avvicinò immediatamente a Torototea, che continuava a sgambettare sul materassino.
‑ Dite agenti, dite, in cosa posso servirvi? ‑ se ne uscì con una comica vocetta servizievole, sdraiato sul suo giaciglio.
‑ Intanto si alzi.
‑ Oh! Ma non posso! L’amore mi ha tolto le forze. Guardatela, signori ufficiali! È lei la causa della mia rovina.
Sbraitò indicando Pupi e si rotolò di nuovo a terra.
I bambini erano decisamente interessati all’evolversi della scenetta e ridevano di gusto.
Pupi sorrideva, pietrificata come la salsiccia che incombeva su di loro, e indecisa sul da farsi.
‑ Glielo ripeto, si alzi e ci mostri la ricevuta di pagamento della tassa per l’occupazione del suolo pubblico!
A Torototea si dipinse sulla faccia già dipinta un’espressione di autentica sorpresa e, forse accortosi d’essere inginocchiato come un supplice, fece per rialzarsi, ma perse l’equilibrio e cadde all’indietro.
Il suo pubblico si sganasciò dalle risate e applaudì quella che credeva fosse una splendida simulazione di caduta.
Pupi gli si gettò praticamente addosso, nel tentativo di soccorrerlo e la cosa non fece che aumentare il divertimento generale.
‑ Siete fortissimi! ‑ gridò un papà i cui capelli facevano da briglie al bimbo cavallerizzo che aveva sulle spalle.
‑ L’avverto che se non mi mostra quella ricevuta, sarò costretto a farvi sgomberare! ‑ intimò uno dei due agenti.
A Torototea, che s’agitava cercando di spostare Pupi – la quale aveva sempre una certa difficoltà ad alzarsi in piedi, anche in situazioni più normali – parve di sentir dire da qualcuno: “Bravi! Chiamate il carro attrezzi!” e sperò con tutto il cuore che lei non avesse sentito.
Riuscì a scostarla quel che bastava per guardare i due in faccia e, tutto affannato, cercò di rispondere: “Ho la licenza! Non devo pagare niente! Ho la mia licenza!”.
I vigili si rivolsero uno sguardo d’intesa e si chinarono contemporaneamente verso di loro. Nel tentativo di sollevare Pupi, uno dei due le strappò il tulle del tutù. L’altro afferrò Torototea per un braccio, lo trascinò giù dal materassino, sul terreno, e lo alzò di forza. Il clown si ritrovò per un attimo a guardare il cielo che s’era ormai scurito. Chiarissimo fu, invece, il pensiero che gli passò fulmineo per la testa. Pensò che, a causa di una salsiccia sparaluce, anche le stelle potevano vederlo col suo abito di scena tutto imbrattato. Un pensiero stupido, forse, ma che lo riempì di rabbia e di tristezza. Pupi s’era portata le mani al viso e, da come sussultava il suo ingombrante petto, era evidente che piangeva.
E il pubblico?
I vigili erano intenti a far sgomberare e ancora scrosciavano gli applausi e i fischi, echeggiavano i “Bravissimi!”, gli “Ancora!”, i “Bis!”.
Degli adulti, soprattutto. Perché la maggioranza dei bambini s’era accorta che qualcosa non funzionava.
Il piccolo cavallerizzo smontò dal suo ottuso cavallo paterno e s’avvicinò a Torototea. Quello che gli mormorò tutto d’un fiato illuminò al clown il buio, più di quanto avrebbe mai potuto fare il Salsiccione Laser. Proprio come una rivelazione.
‑ Se ti tocca pagare per stare a terra, allora dovresti fare l’acrobata, così col cavolo che paghi!
‑ Torna domani sera e vedrai ‑ gli aveva risposto emozionato.
E l’indomani sera mancavano due giorni a Natale.
‑ Non ci torno! Non ci torno! Non ci torno! Non provare neanche a insistere!
Povera Pupi! Non aveva mai ricevuto un’umiliazione simile. Ma si sa ‑ lo sanno tutti ‑ mai dire mai.
E si sa pure, ormai lo si dovrebbe sapere, che Torototea, con la sua dolcezza, anche quella volta riuscì a convincerla.
‑ Vedrai, mio bel tesoro! Sarà un trionfo. Nessuno ci potrà più trattare da persone disoneste. Tu preoccupati soltanto d’indossare il tuo tutù migliore.
‑ Ma non sarà pericoloso?
‑ Meraviglioso, Pupi. Sarà soltanto meraviglioso!
Le grandi idee richiedono sempre la fiducia e la collaborazione di qualcuno. Così Torototea si mise all’opera dal mattino stesso. Si presentò nei suoi abiti normali alle due famiglie che avrebbero dovuto aiutarlo e spiegò loro tutto quanto. Grazie al cielo, quasi in ogni famiglia ci sono dei bambini pronti a sostenere gli idealisti e i temerari, così nessuno poté negare il proprio aiuto. D’altronde, di che si trattava mai! Concedere l’apertura di due finestre dirimpettaie e lasciare che venissero collegate da una trave di legno.
Alle cinque del pomeriggio, quando ormai già faceva buio, tutto era pronto.
Si deve sapere che quelle finestre al quinto piano, che s’aprivano una di fronte all’altra, appartenevano a due palazzi vicini, e i due palazzi affacciavano sulla piazza della Salsiccia.
E si deve sapere anche che il cugino di uno dei due padroni di casa (di finestra, verrebbe da dire) era l’elettricista che aveva trasformato una semplice Salsiccia gigante in una Salsiccia sparaluce.
Torototea non aveva mai fatto il funambolo e il suo senso dell’equilibrio non era né migliore né peggiore di quello di tanti altri. Ma aveva fantasia e gli piaceva far divertire le persone. Quanto alla paura… Un po’ ce n’era, inutile negarlo, ma aveva fatto le cose per bene, la trave era sufficientemente larga e solida, nonché ben assicurata, grazie alle numerose braccia che se ne sarebbero occupate all’interno dei due appartamenti. E poi è cosa nota che il coraggio senza paura non è vero coraggio.
Accadde allora quel che doveva accadere.
Quando, al momento opportuno, la luce del Salsiccione venne rivolta in direzione dei due palazzi, la scena che s’illuminò fu davvero sorprendente: una fanciulla (va bene, una fanciullona), che indossava un tutù più bianco della più bianca delle nevi (con una bianca imbracatura di sicurezza), era sospesa in aria, seduta su una trave, e stringeva un grosso mazzo di fiori bianchi. Verso di lei, dalla parte opposta, avanzava carponi un omino completamente vestito di rosso che, con un megafono, le declamava una poesia d’amore di sua composizione.
‑ Le tasse si pagano al suolo, i cieli son fatti per il volo! Buon Natale a tutti! Arrivederci alla prossima Salsiccia! ‑ fu quanto aggiunse al termine dei versi. E allora tantissimi palloncini colorati presero il volo dalle due finestre aperte.
Qualcuno, dopo, giurò perfino che non c’era nessuna trave a sostenere quella strana coppia aerea.

*
© Laura Liberale

Una replica a “Questo Natale #13: Laura Liberale, Bianco Natale? (Una fiaba)”


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: