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Una frase lunga un libro #6 – Robert McLiam Wilson: Eureka Street

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Robert McLiam Wilson, Eureka Street, Fazi, 2015 (nuova edizione; trad. di Lucia Olivieri) – € 18,50

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Eureka Street. Le dieci di sera. Una soffice oscurità che sembrava dipinta. Al n. 7 il signore e la signora Playfair, al calduccio sotto le coperte, distesi nel loro nuovo letto Sognidoro, acquistato a 99 sterline in un negozio nel quartiere di Sprucefield costretto a svendere tutto e chiudere in seguito a una bomba, mormorarono qualcosa nel sonno. Al n. 12, di fronte, Johnny Murray, nella luce discreta di una piccola abat-jour, stava offrendo allo specchio del proprio guardaroba tutta la gloria della sua erezione. Al n. 22 Edward Carson si beveva una lattina di birra comodamente seduto davanti alla televisione; non gli sembrava vero che i tre figli (Billy, Barry e Rosie) fossero finalmente a letto e l’irritabilità della moglie stesse evaporando grazie a un lungo bagno caldo. Quelle piena beatitudine lo spinse a ridere di una battuta che non trovava affatto comica. Al n. 27, Bellevue, come dichiarava la targhetta rococò in legno appesa accanto al portone, vista l’assenza dei genitori, il signor e la signora Stevens, recatisi in vacanza a Bundoran, Julia stava mostrando entrambi i seni al giovane Robert Cole, il quale fino a quel momento aveva intravisto solo la parte superiore del seno sinistro nel corso di una festa memorabile nella stupefacente Chemical Street. Al n. 34 un uomo fumava fumava in silenzio la sessantacinquesima sigaretta della giornata pensando al figlio poliziotto morto ormai da dieci anni. Al n. 42 Chuckie Lurgan, seduto in una scadente poltrona di seconda mano, guardò l’ora: erano quasi le undici. Non sapeva se fosse il caso di credere all’orologio, gli sembrava anch’esso apatico e inerte. Chuckie era pervaso da una strana, immotivata, sensazione di attesa. Si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra. Guardò fuori. Sfiorò con lo sguardo il n. 7, il n. 12, il n. 22, il n. 27 e il n. 34. Chuckie percepiva in Eureka Street uno strano senso di vastità, un’immensità inconsueta. Non si allarmò. Pensò ne fosse responsabile l’invisibile presenza di Dio e ritornò a sedersi in poltrona.

A volte in mezza pagina si può sentire pulsare il cuore di un libro. Il battito è quasi sempre accompagnato dal silenzio, da momenti in cui la gente sta zitta e sola. La telecamera qui riprende, sfuma, entra nelle case e ne esce, nella pace di prima del sonno, nell’attesa di qualcuno, nella normalità di un altro. Robert McLiam Wilson (siamo nelle prime pagine del libro) ci dice che il romanzo che stiamo leggendo, romanzo che ci sta già catturando, è una storia corale, fatta di tante microstorie, di vite che si incroceranno, di vite cui non si farà cenno, di vite normali. Vite mai del tutto tranquille. Romanzo in cui anche i protagonisti sono persone normali, gente che fa poco più che andare al pub, che si barcamena. Gente noiosa e divertente. Gente inutile. Gente romantica.
Questa però è Eureka Street, a Belfast. Via di un quartiere popolare, i cui residenti sono protestanti. Mc Liam Wilson ci sta dicendo, e lo farà in tutto il libro, che questa è gente normale dentro una situazione eccezionale. Gente che vive quello straordinario come ordinario, perché è impegnata a vivere, difendersi, amare e a odiare.Ci sono libri che ci accompagnano per lunghi tratti della nostra vita, altri libri che rimangono con noi per sempre. Comincio a pensare che Eureka Street appartenga ai “per sempre”. Credo di averlo letto, per la prima volta, dodici o tredici anni fa. In preda a un entusiasmo da fanatico ne regalai molte copie ad amici, che non hanno mai protestato. L’ho letto di nuovo  cinque anni fa, deluso da altri libri di Mc Liam Wilson, cercavo di ritrovare quella magia, che stava ancora lì, intatta. L’occasione per rileggerlo, ancora, me l’hanno data questa rubrica e Fazi editore che ha deciso di ristamparlo. Non sono rimasto deluso, quel misto di stupore, di divertimento e commozione, è ancora lì, si è ripresentato.
Eureka Street, come dicevo, è una storia corale. Al centro di questo coro ci sono due trentenni Chuckie e Jake. Un protestante e un cattolico, a Belfast, nel 1994. Sono amici da molti anni e sono sfigati e divertenti. Jake è il classico eroe romantico (vive a Poetry Street, tra l’altro), è stato abbandonato dal suo grande amore e non ne imbrocca una né con le donne né al lavoro, si innamora perdutamente ogni cinque minuti, per cinque minuti. Si trascina. È intelligente, ironico, ma non basta. Chuckie è grasso e ubriacone, eppure dal nulla creerà un impero economico, strappando finanziamenti ai troppo generosi enti pubblici irlandesi, inventando di sana pianta progetti che mai si realizzeranno. E, a differenza di Jake, si innamorerà, ricambiato di una bellissima donna, Max. Con loro gli amici di sempre. Quasi nessuno di loro si interessa alla politica, o alla finta politica, Irlandese. Sanno, con un certo disincanto e una inconsapevole lucidità, che le lotte religiose, il nazionalismo, le sigle dei gruppi terroristici, gli attentati, le bombe, i morti, sono originati da ciò che nessuno sa bene cosa sia. Un odio profondo per qualcosa che non esiste o che non ha ragione d’essere. Un odio da provare e basta.
L’intento di McLiam Wilson è quello di raccontare le vite delle persone e, siccome ha un grande talento, riesce a inventare una storia meravigliosa, commovente e divertente. In Eureka Street si ride parecchio, ma è la commozione a farla da padrone. La bravura dello scrittore sta nel saper mostrare le cose per come avvengono, generalmente, mentre la gente fa altro. A Belfast i ragazzi si innamorano, marciano, fanno a pugni e si ubriacano. In alcuni quartieri si è poveri e in altri si è molto ricchi. Ai ricchi capita di morire più raramente. Tra le varie sigle delle organizzazioni religiose  e terroristiche, nel romanzo, ne comparirà una, OAG, di cui nessuno capirà il significato, che nessuno rivendicherà, ma che avrà per un certo periodo lo stesso effetto delle altre. Prima desterà curiosità, poi paura, poi di nuovo curiosità verso il misterioso autore delle scritte sui muri, ma a McLiam Wilson serve da monito e da sberleffo. Nessuna sigla significa nulla quando la gente muore e ha dimenticato il perché. Lo scrittore irlandese con una prosa perfetta riuscirà a condurci dalla risata all’orrore. Le pagine che precedono un attentato sono indimenticabili, un capolavoro. Perché prima e dopo ogni devastazione, ogni attentato, ci sono le persone, quelle che non ci saranno più e quelle che rimarranno. Belfast cupa e grigia, eppure certe volte bella. Belfast a cui tutti ritorneranno. Eureka Street è un libro che induce alla commozione, a uno stato di benessere diffuso, che può durare per un po’. Per alcuni anche degli anni. L’incipit del libro è il seguente: «Tutte le storie sono storie d’amore.» Come dargli torto?

© Gianni Montieri

Una replica a “Una frase lunga un libro #6 – Robert McLiam Wilson: Eureka Street”


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