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Rileggere Antonio Delfini

Antonio Delfini - Toccafondo
© Gianluigi Toccafondo

 

PRIMA DELLA FINE DEL MONDO

da Poesie giovanili

Non ho volontà

Potessi un giorno
camminare da solo
ma solo solo
non come vado adesso
solo
ma solo solo
senza me stesso

 

È bene scrivere sempre
così si dice,
ma è tanto bello dormire
così mi pare

29 gennaio 1935.

 

da Poesie di mezzo

Radicale

Giagegigiogiù per presidente
il radicale ha per segretario
giugiogigé senza un dente
ma tiene il miliardario
che vuole latte cagliato
a Bologna, a Modena, a Milano
e c’è l’illustre castrato
generale avvocato di culano
che quando parla tiene in mano
un finto cazzo levigato

 

Ai Socialisti-democristiani

Era l’anno quarantasei
demopercentocristiani: trentasei
…….

Un fascista convincuto
mi diceva: «Son fottuto».

E me a’g’giva: «Mo a t’ si matt?
A’ gh’è sémper Saragàt»

Sarà gatto o sarà cane
piacque molto alle puttane.

Di mandar Nenni alla morte
lui voleva forte forte.

A pensieri troppo belli
lo ridussero i piselli.

Gli restò quei possidenti
ch’oggi son nulla tenenti,

arricchendo quei porcari
ch’alla banca fan da bari.

Prese il voto dei banditi
e pur anco dei Gesuiti

Fu prete a testa rapa
(trentatre per il suo Papa)
nelle ultime elezioni
dell’Italia Corbelloni.

Con il Papa perse i voti
dei social-comun idioti...

Convinse i suoi adepti
che l’Italia è in antisepti.….

Ebbe voti quarantotto
nell’Italia ’58…..

Socialisti d’una volta
con la chioma tanto folta,
vi conviene di morire
lasciar Nenni qui a squittire!

 

POESIE DALLA FINE DEL MONDO

Per andare in paradiso col mio cuore

Per andare in paradiso col mio cuore
vado in cerca di belle signore.
È la mia voce che muore.
Perché Tu non ascolti, o Signore?
Vorrei tu mi armassi la mano
per incendiare il piano padano.

Modena, 12 novembre 1958.

 

Vi voglio un bene terribile

Vi voglio un bene terribile
un bene risoluto e costante!

Deh!, ricevete il figliolo che è amante,
il bambino che fu un tempo galante!

Deh!, ridate, coi semi salati,
il ricordo dei tempi più cari che, andati,
sono rimasti nel cuore per sempre.

Non tradite l’ultima attesa
non tradite la grande ripresa!

Un sospiro per voi, un grande bacio infinito,
sono Antonio Delfini, imperiale tradito.

Se Modena, Parma e Piacenza ci hanno fregato,
che importa? Guardiamo insieme, piangendo,
il mondo disperso dei vani sogni di un tempo.

Hanno tutti tradito i mali dell’Emilia!
Maria, Gesù Cristo e il grande Creatore.
Che importa? – Siamo sempre cristiani
oltre il tempo e gli scienziati più strani.
Guardiamoci intorno, mia mamma,
guardiamoci ancora; se il mondo è finito
una cosa è pur certa: sei tu la mia mamma,
sei tu mia sorella. Noi siamo al di sopra del dramma.

Livorno, 12 settembre 1959.

 

DOPO LA FINE DEL MONDO

Poesie escluse

 

Fatale emme

Come concluse ormai nel tempo le fontane
e nel color disfatte andar le cose vane
io qui ricordo di te fatale merda
il tempo che mi occorse a cancellar la frode
che i tuoi compari e te col capitale
senza spender soldo – ma rubando – voleste
rovinarmi il cuore, la mamma, la casa ed il bestiame.
Io lo ricordo! Io qui ricordo e mai non mi rimordo.
Dio mi esaudisce – tutto il mondo mi capisce.

Roma, 2 luglio 1960.

 

Poesie sopravvissute

 

Quanto salva la memoria
nella storia
Quanto salva la memoria
nella civiltà
Tu questo non lo sai
bene ti sta.

2 giugno 1960.

 

A me stesso

Già il tempo che passa
non è un tempo che viene
è un tempo che va.
Il tempo non ci trattiene
ma un giorno ritorna
e quando torna è un tempo che avvera
un tempo che avvera il passato
che nell’istante che torna
tu sai caro vecchio che mai
mai non c’è stato.
Eppure c’è
e il cuor ti ha gonfiato.

Roma, 9 novembre 1960.

 

A.DELFINIAntonio Delfini (1907-1963) non è un autore che si legge facilmente, non è tra quelle voci ‘liriche’ che, spesso, ho invitato a leggere o rileggere sul nostro blog.
Il post di oggi ne richiama un altro del 2013 di Luciano Mazziotta (lo trovate qui), che entra con completezza nella poetica dell’autore modenese.
Ho scelto di pubblicare prima una selezione di testi e poi questo breve commento, per entrare nelle parole e poi nel contesto in cui sono state scritte, considerando quindi la direzione (o anti-direzione) che l’Opera ha preso nel momento della scrittura e ponendo solo alcune delle questioni di cui l’Opera si fa portatrice.
Delfini è stato un poeta «totalmente sliricizzato», dalla «disperata ilarità […] che ha fatto della sua vita un oggetto di parodia» secondo Roberto Galaverni e Alberto Bertoni (qui). Un poeta che ha vissuto il suo ambiente, la sua città, la sua Modena, appunto, nei rapporti sociali, politici e civili del suo tempo, come un uomo con un probabile timore del fraintendimento perenne. Un letterato fuori-tempo, calato sì nella realtà e in grado di interpretarla (con un punto di vista del tutto personale, anche nella prosa), ma sempre audace, fortemente provocatorio nel restituirla in versi; un poeta «al di fuori di tutto» (Bertoni) che, alla direttrice di ‘lettore del suo tempo’, accosta quella del disprezzo per la donna amata (la selezione di testi di oggi predilige la prima).
L’io poetico di Delfini non è un ‘io lirico’, perciò, è un ‘io-altro’, e tuttavia la sua (e soltanto sua) ironia vitale e tagliente, entrano prepotentemente nella poesia che ci ha lasciato, quella «mala poesia» di cui, proprio lui stesso, sentiva d’essere interprete.
Le poesie che oggi propongo sono tratte proprio dal volume che Mazziotta già ci presentò: quel Poesie della fine del mondo, del prima e del dopo, edito da Einaudi nel 2013 (terza edizione) con una selezione di inediti più completa. La prefazione è di Marcello Fois, mentre la curatela è di Irene Babboni, che pone un’evidenza da cui partire: «la poesia di Delfini, senza voler azzardare nessun giudizio di valore, è stata nel tempo manierista, lirica, romantica, crepuscolare, sghemba, sgrammaticata, scombinata, bettoliera, offensiva, innamorata. Ha tentato di volta in volta di rincorrere i poeti antichi, gli stranieri, i surrealisti. Non sempre ci è riuscita, certo.» La molteplicità di stili toccati da Delfini non è, tuttavia, espressione di un esercizio di stile (o forse lo è in parte), bensì il suo solo tentativo di ‘dirsi’ come autore in un momento molto particolare della storia italiana, ricorda Babboni, quello che va dagli anni del Fascismo sino al Boom economico (che «per lui è già sboom», Fois). E quello è il suo linguaggio, quello «della letteratura italiana degli anni Trenta e Quaranta» (Bertoni), che ha fatto di quest’autore «fra i più fulminei e dinamici, e solipsisti, scrittori del dopoguerra» (Fois). Quel suo linguaggio è del tutto personale, unico, e il gusto per la rima – tutt’altro che facile –, lo aiuta, spinge sul suo essere e dimostrarsi autore tranchant.
«Delfini scrive spesso poesie perché anche la poesia è un’unità di misura del tempo delfiniano, un ettaro o più della sua terra. La poesia è paese, è sposa, è mondo» (Babboni). Rileggere Antonio Delfini oggi, dunque, non per ricordare ma per leggere quel passato, quel ‘quando’ che ‘non è più’ ma che «il cuor t’ha gonfiato».

Il volume Einaudi è articolato in quattro sezioni: le poesia che precedono la raccolta Feltrinelli 1961 (ulteriormente ripartita in due breve sezioni); la stessa; le Poesie escluse dalla stessa e pubblicate nel «Caffè» in quegli anni; le Poesie sopravvissute, riemerse dalle carte d’archivio, mai pubblicate prima. Infine, la sezione Poesie della fine dell’anno, che fa eccezione alla precedente sezione. Ho scelto pochi testi da ciascuna di queste, cercando di restituire un percorso parziale all’interno dell’opera dell’autore.
Alcune poesie piuttosto famose vengono lette nei due filmati proposti oggi. Altre, oltre che nel post di Mazziotta, si trovano su: «alfabeta2», in un approfondito articolo a cura di Andrea Cortellessa (qui) e su «La presenza di Erato» in un post a cura di Maria Grazia Trivigno (qui).

La prima immagine è di Gianluigi Toccafondo.

7 risposte a “Rileggere Antonio Delfini”

  1. “Vorrei tu mi armassi la mano
    per incendiare il piano padano”.
    Bello e singolare ritrovare in questo autore così affilato due versi che incendieranno, negli anni Ottanta dell’italico declivio economico-politico, uno delle più bei delirii dei CCCP. Comunque, una doverosa rilettura, grazie.
    mdp

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  2. non è la grande regia occulta della peosia italiana, spiace deludere (mi piacerebbe conoscerla, quella). è il commento d’una persona molto cara e molto modenese : )

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