
Le cronache della Leda #41- Don DeLillo e la mia famiglia
Rosemary sentiva le donne parlare del sugo, con mariti o figli, e capiva perfettamente cosa volevano dire. Volevano dire, Non azzardarti a tornare a casa tardi. Volevano dire, questa è una cosa seria quindi bada a quello che fai. Era un monito speciale, un richiamo ai doveri di famiglia. Il piacere, d’accordo, il piacere delle pietanze di famiglia, tutta la storia del cibo, la storia del mangiare, col gusto forte dell’aglio. Ma c’era anche un dovere, un obbligo. Stasera la famiglia esige la presenza di ogni membro. Perché la famiglia per questa gente era un’arte e la tavola imbandita per la cena era il luogo in cui quest’arte trovava la sua espressione.
Mi capita spesso di tornare sui vecchi libri, più precisamente: dentro ai vecchi libri. Seguo un metodo quando leggo, lo chiamo il metodo Pollicino. Lascio briciole tra le pagine. Sottolineo i passaggi che più mi piacciono e poi, perché i miei libri amo sporcarli, scrivo – a penna – i numeri delle pagine in cui si trovano, di solito, sotto la seconda di copertina, e quando ne ho voglia, ne avverto il bisogno, me le vado a rileggere. In questi giorni mi è capitato di rileggere alcuni passaggi di Underworld, il capolavoro di Don DeLillo. Il passo di Rosemary, del sugo, della famiglia. Una cosa che sembra, a una lettura superficiale, legata alle famiglie del sud, a quelle che emigravano negli Usa, nel Bronx di DeLillo. Eppure quella serie di frasi, di evocazioni, mi riporta esattamente alle domeniche di quando ero bambina, ai pranzi che facevamo dai miei nonni. Lo stare insieme era la nostra arte, e in quella casa contavano le donne, contavano per i motivi che narra lo scrittore americano. Contavano perché eravamo una strana e consapevole famiglia, dove tutti – anche i bambini – sapevano che nulla sarebbe stato possibile senza gli altri, nemmeno il pranzo della domenica. Perciò i libri dicono quello che il lettore sa trovare, a volte coincide con l’idea che aveva in testa lo scrittore, a volte vanno oltre, quelli sono i libri migliori.
Mia nonna, quelle domeniche si alzava molto presto e preparava il ragù. Lei era emiliana, ma il ragù che faceva era un misto tra quello alla bolognese e qualcosa che sapeva dei ragù napoletani. Mia nonna era una a cui piaceva unire, lo faceva a tavola, lo faceva quando ragionava con i figli e il marito, lo faceva con le amiche. Radunava quelle che andavano a messa e quelle che non ci andavano, lei apparteneva alla seconda categoria, e le portava in pasticceria. Diceva che su Dio e la politica avrebbero vinto i dolci. Adorava i bignè. Noi adoravamo lei. Si chiamava Duilia, raccontava che non sapeva perché i suoi l’avessero chiamata così. Era un bel nome e questo era quello che contava. Duilia apparecchiava lasciando liberi i posti a capotavola. Diceva che a casa sua non c’erano capi, mio nonno sorrideva e mi diceva: «È lei il capo.» Non lo pensava. A volte mi pare che tutte le cose che ho imparato arrivino da quelle domeniche. Lo so io e lo sa Don DeLillo. Quei pranzi erano una cosa seria, si rideva moltissimo.
Leda
Nota: Il libro di Don DeLillo – Underworld è edito in Italia da Einaudi, la traduzione è di Delfina Vezzoli