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Le cronache della Leda #5 – Roma non c’entra niente

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Le cronache della Leda #5 – Roma non c’entra niente

Mi è toccato rispiegare alla Luisa, ma soprattutto all’Adriana che l’anno scorso al cinema non c’era venuta, che non è un film su Roma. L’Adriana, come se fosse una che non può uscire di casa si è ridotta a guardare La grande bellezza in televisione, su Canale 5, non oso pensare al tributo patito in spot pubblicitari. Mi immagino uno yogurt bio appena dopo uno stacco sul Colosseo, mi piglia quasi uno spavento, dove dovrebbe esserci lo sgomento, lo stupore, oppure l’indifferenza, ma solo verso il film, e invece lo yogurt, invece l’Adriana.

Il giorno dopo la trasmissione televisiva mi telefona con il tono di chi abbia appena assistito a un’anteprima riservata alla stampa o alle autorità, e quindi con il tono che ancora nessuna recensione, nessun premio conferito, non ancora applausi, non ancora stroncature, e dice cose del tipo Ma un film sulla bellezza di Roma, una cosa come Fellini, una specie di  copia di Fellini, ma poi anche la decadenza, ma un film fatto apposta per gli americani, ecc. Ho dovuto sedermi, ripensare al film e dirle la mia, premettendo che il fatto che il film a me fosse piaciuto e a lei no c’entrava fino a un certo punto, c’entrava, piuttosto, il fatto che lei fosse fuori strada. Le ho detto delle giacche gialle e rosse di Servillo, le ho chiesto se le avesse viste, le aveva viste, e allora le ho detto se quelle giacche così sgargianti ma elegantissime non fossero l’abito perfetto per un uomo solo. Se i colori non servissero a contrastare la solitudine del grigio. Lei, invece, si era focalizzata solo sul Dandy, che pure contava, si capisce, ma mica era l’unica cosa, che cavolo. E poi le ho domandato se per caso le risultasse che ci fosse un altro regista italiano capace di lavorare così con la macchina da presa in esterna, di far parlare le immagini prima ancora delle persone, perché è un film, e al cinema contano pure i silenzi. Basta con questi film italiani pieni di interni, di tavole imbandite, di salotti, bar se va bene, autobus quando si cerca di essere grandiosi.

Lei mi ha detto che è un film vuoto (sono certa che questa l’abbia letta da qualche parte) e io le ho risposto che è un film che rappresenta un certo vuoto ma che quel vuoto non è slegato dalla solitudine dei protagonisti, tutti soli e tutti sconfitti e perduti.  Roma? Fellini? Ma se lo ricorda che nemmeno La dolce vita è un film su Roma? La grandezza di Fellini stava nel fatto che Roma avesse copiato lui, mica il contrario. E comunque se volesse trovare qualche somiglianza o omaggio la andasse a cercare in 8½. Poi le ho chiesto come stavano i suoi nipoti per stemperare e per non sembrare un’esperta di cinema. Dopo, però, le ho detto degli americani, ho usato la teoria di mio figlio che vive lì, in Connecticut e no non ci sono mai stata, le ho detto che esistono due tipi di americani quelli che amano vedere rappresentata l’Italia in una certa maniera, ma quelli sono la minoranza, e poi tutti gli altri, quelli senza passaporto, quelli che l’Italia non la vedranno mai, quelli che si sono consolati guardando Roma come se fosse un sogno e come se quel sogno, pur decadente, si potesse toccare con mano, e lì, mentre pensavo che si stava facendo tardi e che dovevo sbrigarmi per andare in posta, le ho detto: «Ma quando eravamo ragazzine e andavamo al cinema non era quel sogno lì che inseguivamo? Non era quello il cinema?» Della Luisa nemmeno sto a dirvi, che di queste cose con lei abbiamo già discusso più volte, che pesantezza. Ora vi lascio, devo fare un salto in posta a pagare una bolletta, poi tornare indietro e preparare da mangiare che per pranzo viene l’avvocato. È un vecchio amico di mio figlio, una volta a settimana pranziamo insieme, diciamo che adesso è anche amico mio.

Leda

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© Gianni Montieri

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12 risposte a “Le cronache della Leda #5 – Roma non c’entra niente”

  1. Caro Gianni, non ho ancora visto il film di Sorrentino, ma è come per i bestseller: quando tutti ne parlano bene è segno che non fa per me. Aspetterò che passi la sbornia, poi, chissà, forse…Ma qui volevo dirti che la lingua italiana è strana: esige la preposizione IN per andare IN chiesa, ma spesso pretende la A per tutti gli altri “moti a luogo” . Si va AL cinema e non in cinema; si va AL mare e non in mare; si va AL ristorante e poi si va IN montagna, ma da secoli si va ALLA posta, così come si va ALLA stazione.

    Quello che noi scriviamo qui, su e in queste pagine digitali, viene letto e imitato, quindi la nostra responsabilità per ciò che scriviamo e per come lo scriviamo deve essere estesa e assai viva. Quando mi arrivano testi di esordienti che scrivono “Ci vediamo in università” , scusami, è più forte di me -è un mio perverso purismo, lo so!- sbatto i pugni sul tavolo e mi metto, come un imbecille, a invocare Alberto Manzi perché faccia loro la corretta grazia.

    Grazie a te per l’ascolto e per aver puntualizzato concetti cinematograficamente validi, anche per me, sull’ultimo film premiato con l’Oscar. Buona giornata.

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    • Caro rbm2013, intanto ti ringrazio per la lettura e l’attenzione. Questa non è una recensione ma il racconto che ne fa la signora Leda che racconta come se parlasse. La Leda sarebbe sicuramente d’accordo con te circa l’uso corretto dell’italiano, ma francamente, in un discorso rapido, come quello che stava facendo, ha usato un modo di dire non perfetto ma assolutamente usuale, che nell’economia del discorso ci sta, secondo me.
      grazie ancora

      g.

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      • Oh Gianni, non è questa la risposta che mi aspetto dalla tua ricca sensibilità! Ma figurati se non ho ben capito il tuo riportare il discorso parlato. L’errore della preposizione, lo sintetizzo in questo modo, non è contestualizzato: quali altri “errori” commettono le amiche che parlalo?
        Mia madre ha la terza elementare, ma se gli chiedo: “Ma’ dove sei stata?” mi risponde senza tentennamenti: “Alla posta” o “Al cimitero”. Perché seconde me le preposizioni non si imparano a scuola ma si succhiano col latte materno, per questo per noi è così difficile imparare quelle di un’altra lingua.

        La risposta che mi attendo da te che scrivi, me l’aspetto in sintonia col tema del film: la decadenza! Prima ancora di arrivare sul set cinematografico serpeggia con largo anticipo nella lingua che parliamo e scriviamo, venendo a mancare le autorità che sanzionano, i maestri che controllano, i professori che non correggono più. Gli scrittori che riportano il parlato senza più quella sottile ironia un po’ canzonatoria che avvisa il lettore di non imitare.

        È su questo che rischiamo la tua attenzione di Autore di testi.Il pensiero interiore della tua protagonista è troppo “alto” per giustificare l’errore: non ci sta, non è logico, non è usuale, perché non sbaglia nient’altro e nemmeno s’intende che sta italianizzando un condizionamento linguistico dialettale. Solo su un aspetto posso darti ragione: dagli inediti che mi arrivano, quest’uso “illogico” della preposizione IN per il moto a luogo non la osservo mai da Roma in giù. Dev’essere molto “milanese”, nordica ed è probabile che abbia un’antica origine dialettale (o letteraria?).

        Un amichevole e cordialissimo saluto, Gianni.

        Renato Bruno

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        • Caro Renato, abbi pazienza ma non posso darti le risposte che tu ti aspetti ma quelle che ritengo giusto dare. Stabilito che esistono delle regole e su questo sono d’accordo con te, esistono delle eccezioni che anche i linguisti ammettono. Intanto, probabilmente, il modo corretto di scrivere sarebbe “alle poste” o “all’ufficio postale”, d’accordo con te sul dialettale, i miei stanno a Napoli e dicono “vac’ a post’” al nord quasi sempre dicono “in posta”, che è un po’ come andare “in banca” che è una delle eccezioni ufficiali, come andare “in pizzeria” a differenza di “al ristorante”. Diciamo che la Leda si è concessa l’eccezione che si manifesta insieme alla fretta di svolgere l’azione. Del resto anche l’articolo davanti al nome è un errore, anche il titolo della rubrica lo è. Ti ringrazio e ti aspetto, anzi la Leda ti aspetta anche le prossime settimane.

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  2. In posta …..in posta….imposta a bella posta …la cara Leda ne soffrirà ne sono certo…e chiedo ad Antonio Scavone di definire la diatriba : quale film dovessimo, dovettero, dovranno, dovremmo,
    guardare :.. “La grande….?

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  3. Potreste chiedere alla Leda, per mio conto, se anche lei pensa che Servillo è un figo?
    Su molte cose concordiamo, sapere se andiamo d’accordo anche su questa mi farebbe sorridere. Grazie. :)

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    • Abbiamo domandato alla Leda, Silvia. Ha sorriso e ha detto che una signora della sua età può dire soltanto che è un bell’uomo. Ha aggiunto che gli piacciono le camminate di Servillo, lui nei film fa spesso delle camminate e ogni camminata è come il personaggio, ogni camminata è diversa

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      • È proprio quando cammina, infatti, più che in quei primi piani stretti. E anche un po’ quando si siede in penombra, ai margini dei coni di luce.

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