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Intorno a uno sguardo. Su “Per ogni frazione” di Davide Castiglione

castiglione

Già Giacomo Cerrai in una recensione risalente al 2011 evidenziava come in Per ogni frazione (Campanotto, 2010) l’opera di Davide Castiglione scegliesse di farsi illuminare dalla lunga luce del Novecento. Ha senso riprendere da questo punto, per tornare a parlare, a distanza di tempo, di questa raccolta.
Il tema dello sguardo, nel riconoscimento dei suoi limiti e nell’accorata richiesta di corresponsione di un altro sguardo, si conferma l’aspetto più interessante. Lo spiazzamento dello sguardo dell’artista, in particolare, che Stefanelli nella postfazione riprende giustamente da un Marc Augé impegnato a indagare il primo dei Quadri parigini di Baudelaire, con quel paesaggio che finisce “svuotato di senso”, tanto l’occhio del poeta da motore di osservazione si rende oggetto di paesaggio esso stesso. Lo sguardo quindi giunge a non essere più spazialmente contenuto in sé, va altrove, diventa altro.
Paradossalmente – se pensiamo all’idea di surmodernité di Augé – quanto esposto ci restituisce invece, grande e intatta, proprio la forza del moderno. Ed è da questa che Castiglione vuole farsi aiutare per vivere frazioni, ossia divisioni di tempo e di spazio, luoghi fisici e mentali, scampoli situazionali d’incontro o di smarrimento.
La notiamo bene, la natura di questo suo sguardo dunque nuovamente moderno, anche solo ritagliando locuzioni e termini dai titoli delle sezioni del libro: “Di qua”, “Nel due”, “Sensi”, “Umore”, “Attraverso”. Si suggerisce difatti un posizionamento dell’osservatore mai in linea esatta con il bersaglio: si ferma prima, dubitante e malfermo com’è, o si appoggia a un doppio, all’altro da sé (gli altri, che tanto il poeta vorrebbe ricomprendere in sé, fino a scrivere: “siete questo acceso, tenace, quasi ingiusto / vostro essere in me”). Ma non può che fermarsi, lo sguardo, limitandosi alla soglia del sensoriale, dell’umorale, attraversandolo quindi e non cogliendolo, infine, il bersaglio.
È dunque chiarissima, in questa direzione, la scelta del Fortini di Paesaggio con serpente, che appare in esergo alla seconda poesia del libro: “Lo sguardo è là ma non vede una storia / di sé o di altri. Non sa più chi sia / l’ostinato che a notte annera carte / coi segni di una lingua non più sua / e replica il suo errore”. Tutto sta nel trovarsi “intimo straniero – familiare distante”, prosegue Castiglione nel verso finale di questa stessa poesia, dal titolo Assedio senza finestre. Come chiarissimi, d’altronde, sono questi altri versi, favoriti da un uso sapiente dell’enjambement: “Un io-altri / – ancora. Se penso a scisma penso / a una vena fondata nell’occhio / dall’occidente, da secoli.” Ripetuti passaggi, lungo il libro, tornano del resto a testimoniare la frammentarietà e l’indeterminatezza (necessariamente, un bene a favore del lettore) insite nel nostro vedere e nella ricerca dell’altro da noi: “mi sporgo da me / a quel qualcuno”, ad esempio, oppure: “Queste e altre perdite. L’occhio non è nuovo / a chiamarsi fuori”. E non c’è corresponsione che si cerchi senza il tentativo di un dialogo: in molte pagine della raccolta, l’autore ne mette in scena i contorni, ne disegna le forme e, una volta di più, i limiti: si tratta, in sostanza, del dialogo dell’io con materie vive che si vorrebbero sempre ricondurre a sé.
In tema di sguardo è impossibile poi non considerare lo stile, se ammettiamo, parafrasando Proust, che lo stile per lo scrittore non è questione di tecnica, ma di visione. È in fondo una prova di esistenza dello sguardo stesso, lo stile: ecco, Castiglione dimostra di conoscerne la posta in gioco e soprattutto dimostra di sapere, a questo proposito, da dove vuole venire. I suoi sono amori poetici dichiarati: Fortini, certo – anche perché Castiglione, da studioso, muove passi importanti nell’ambito della critica – ma si pensi allo Stevens per esempio di Metaphors of a Magnifico; poi c’è senz’altro il dialogare di Sereni e senz’altro il “cumulo d’immagini infrante” di Eliot.
Tornando a verificare alcuni aspetti stilistici, già si è accennato all’enjambement. Da notare poi l’uso dell’allitterazione, come si evidenzia in questo passaggio: “piene gutturali, ululi, urli a guglia, / grado a grado defluiscono / in mugugni…” o la capacità di improntare un ritmo ben definito, come in quest’altro momento: “passato e futuro, lontano. Son tre anni, / in fila all’incirca: iniziati su una fila / di sedie, e in mano a ciascuno un responso”. E ancora l’uso, spesso, di un lessico “povero”, ma teso sempre a scolpirsi in poesia, a farsi respiro che sia ogni volta personale, originale. Perché ogni occasione di poesia dev’essere istruita dall’esperienza e ogni esperienza è prima un’interrogazione dell’esserci e poi, forse, scrittura.
Evidente, da tutto quanto si è detto, come misura e riserbo siano cari all’autore: da Sereni, in particolare, Castiglione trae anche e soprattutto questo.
Lo manifesta, in chiusura, la meraviglia di questi versi: “Ti si vorrebbe radice, terra musicata, / verbo coniugato alla terra / e invece / ti svesti in un dissidio inerte, / poesia; e io troppo presto / sono dalla parte loro, da una parte comunque”.

Cristiano Poletti

4 risposte a “Intorno a uno sguardo. Su “Per ogni frazione” di Davide Castiglione”

  1. La poesia di Castiglione ci riserverà grandi sorprese, grazie Cristiano per l’attenzione riservata a questo autore.

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  2. Per sguardo per umore e per ritmo mi è parso uno dei libri più concreti apparsi negli ultimi anni. Certamente un lavoro che non passa inosservato perché il lettore sente chiamata in causa la propria acribia sollecitata dalla sensibilità e dall’intelligenza.
    leopoldo attolico –

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  3. Il mio più sentito grazie a Cristiano Poletti, che ho avuto il piacere di conoscere (sia pur per poco tempo) a Treviglio, nell’ambito del festival di poesia, e poi di leggere, nel suo bellissimo “Porta a ognuno”, sui cui certamente ritornerò.

    Cristiano secondo me ha colto molto bene l’essenza del libro, la spinta che lo muove: “si tratta, in sostanza, del dialogo dell’io con materie vive che si vorrebbero sempre ricondurre a sé”. E’ questa voracità di fondo, anche egocentrica e adolescenziale se vogliamo, che ha mosso la mia scrittura in quegli anni, e che per fortuna ha trovato maestri di riserbo, come Sereni, per non scadere (spero) nell’esibizione sfrontata di sé. E non avevo pensato, in effetti, che sguardo e dialogo fossero due entità così vicine, perché non si può parlare senza guardare, e guardare attentamente è anche questa una forma di dialogo (ricordo parole molto belle sullo “sguardo” pronunciate anni fa da Pusterla).

    Ringrazio anche Gianluca e Leopoldo per la loro costante e affettuosa attenzione nei miei confronti, e chi eventualmente dovesse passare di qui e lasciare un proprio segno.

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