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Anna Maria Carpi, Quando avrò tempo

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QUANDO AVRÒ TEMPO dico
e so che non l’avrò:
mai l’afferro o lo fermo,
non mi sta in mano il tempo,
palpita stride becca vola via.

E io che intanto
ingombro questa casa come un bimbo
che sparge intorno i giochi
e di far ordine non è mai il momento
e nemmeno è capace, se non viene sua madre.

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NARRAZIONI,
bivacchi,
indugi
che non tollero più,
droga da bimbi che rifiuto,
voglio una droga più forte,
voglio la muta bevanda
di uno sguardo che intende chi sono –
un nido sconosciuto
introvabile dalla morte.

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SCROSCIA L’ACQUA sincera
fredda calda obbediente
e schizza per il bagno fino agli allegri led.
Care mensole colme di sciocchezze,
asciugamani bianchi
dove mi nascondo
a occhi chiusi
e non vedo più niente.

Sono io quel volto nello specchio?
Un sembiante il caso lo dà a ognuno,
ma se lo fissi e pensi “sono io”
ti fa impazzire.

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UN MADIDO ABISSO ci ha tra le mani,
che venga notte che venga giorno
tundra o tajgà,
nei vetri bianchi di ghiaccio
nei vetri imperlati di pioggia
il treno è in fuga.
Si gioca a carte,
fissi volti rosee mani
fisse nel gesto, come frutti sepolti.
L’artico nulla, un brusio senza sonno
il tutto umano,
Oh! lasciali tutti parlare,
sono bolle che scoppiano
in superficie, gorgogliano,
tu taci, taci, se ti lasci andare
lo sai, parli una lingua insopportabile.

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SCENDE LA SERA, volo 48, volo in ritardo,
nessuno ancora alla registrazione,
là fuori al gelo
come cerini accesi due casacche
indaffarate intorno a un camioncino.
Poi non ci sono più, fine del turno.

Qui nel salone
una macchina del caffè che va in pressione,
un’immensa reclame – mele rosse giganti,
e di gioia scintilla e di orologi e whisky
il grande slargo, il duty free,
e da Relay i giornali di tutto il mondo:
“A Fukushima la radioattività
sta scendendo a livelli Centro Europa”.
Un piccolo trifoglio nero in campo giallo.
Dio sia lodato.

A me piace la parola earthquake,
è un gracidio innocente,
magnitudo è un po’ oscuro, è per gli addetti,
e tzunami lo usiamo ogni momento
quando c’è confusione.
Noi qui seduti.
Come fatti
di neon e di linoleum:
ticket, posto assegnato,
solo mille chilometri
lassù nel buio a ottocento all’ora
e siamo a casa con un buon bicchiere,
cena, TV e divano.

Il dottor Sparr della Multicamp –
fresco, rasato,
camicia immacolata,
gemelli d’oro, spillo alla cravatta,
ventiquattrore, tutto il mondo sul tablet,
ogni istante guarda l’orologio:
ma che fa questo volo 48?
Deve partire lui, perché domani torna,
non qui, altrove, poi di nuovo qui,
va da Tokyo a Pechino, da Pechino a Mumbai.
Niente paura. Perché mai dovrebbe?

O piccolo trifoglio nero in campo giallo.
(Berlino 15.3.11)

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POESIA. Serata di poeti,
fuori nel parco è buio, non c’è un’anima,
già le dieci passate.
In sala luci rade, poca gente –
e non poter capire
ciò che vogliono dire questi giovani
o solo mezzi giovani nati ormai nei 70.
È come in una chiesa sconsacrata,
è un rosario
di non credenti, recitano cose proprie e arcane.
Chiedere cos’intendono?
A occhi bassi ascolti
e ti guardi le mani.

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A ME, PERCHÉ? Ho un nome come tanti,
ma alla cieca mi mandano da leggere
editi, inediti. Non sanno
che tormento è per me il giudicare
e in umiltà mi chiedono un parere.
In umiltà? Se obbietto gentilmente
questo verso non va, forse sbaglio, non badi,
i brontosauri levano la cresta
verde rossa celeste,
mormorano un primordiale “io non vengo capito”.

Ma questi due di oggi fanno pena,
sono anziani insegnanti,
vive l’uno in Liguria, l’altro nel milanese.
Si fanno avanti:
opera prima l’uno, l’altro
è una vita
che scrive e stampa e non gli danno retta.
“Quanto ci ho lavorato,
mi legga, dica:
non sono meglio io di tanti altri?
Sono o no un poeta?
Già da ragazzo ho scritto,
e sempre poesie.”

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NOTTE PRESAGA l’ultima dell’anno,
la tavolata inneggia al suo futuro
fra giubilo e paura,
e in qualche testa guizza uno sbadato
“Dio, se ci sei…liberaci dal male”.
Un risibile resto d’infanzia e di Natale,
perché male è tutto.

Dove sei Magnificat di Bach,
pura bellezza, fede illimitata
che in te l’umano o qualche umano è salvo?

::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

STORNI nell’aria,
migrano questi figli dell’autunno,
una mano gigante li ha lanciati
su in cielo. Sbandano, ritornano,
nel loro giubilo d’essere nessuno,
i bimbi del creato.
Tutti via, poi il gioco ricomincia,
il gioco in alto, al freddo, senza tempo.

Non c’è gioco per noi, noi giù nel tempo
per le vie del quartiere.
Foglie, una cosa sola, solo qualche fruscio,
un giacere comune, ultimi battiti,
poi una terrea quiete.

::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

IO CON TUTTI mi sono confrontata,
tutti ho invidiato,
ma a quali estremi non sono poi andata
con le raffiche di me stessa
col mio no?
Che farò quando sulla memoria
mi scenderà la nebbia,
non troverò più i nomi delle cose,
non avrò che il desiderio di un abbraccio?
Mi ridurrà la natura
al più povero degli impulsi?

:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

“QUANDO AVRÒ TEMPO
e so che non l’avrò”,
dicevo, e quanto tempo ho perso
in compagnia,
poco o niente importava come fosse:
ha il suo bello non essere se stessi,
passare ogni momento a un’altra cosa,
dire in coro con gli altri non ho tempo.
È la salvezza.

È ora che mi perdo, che mi danno
su quel che scrivo
e non mi piace mai, ma è con questo che anelo
fra mille altri d’essere vista udita
essere amata,
e non andrà così:
sono le scritte incise
da un recluso nel muro della cella,
e non c’è finepena.

 

Anna Maria Carpi, Quando avrò tempo, Transeuropa, 2013

37 risposte a “Anna Maria Carpi, Quando avrò tempo”

  1. Si fa parole e musica il pensiero, guarda in faccia il tempo bimbo sfrontato che pasticcia e sguscia. La voce non demorde, mentre lo sguardo si china sulla mano che scalfisce il muro e obietta.

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  2. mantenere lo stesso livello de L’asso nella neve non era facile ma non impossibile come dimostrano questi testi,e gli altri del libro, che ho avuto la fortuna di leggere.
    Il fatto che Anna Maria Carpi scriva versi è per noi una gran fortuna

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  3. Non mi sembra vero.

    “Dove sei Magnificat di Bach,
    pura bellezza, fede illimitata
    che in te l’umano o qualche umano è salvo?”

    Ho il cuore largo.

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  4. Eccellente costruzione del dettato poetico. Davvero pregnante l’oggetto-immagine dell’autrice che sa organizzare le parti sempre rivolte all’intero. Reificazioni capillari di un destino che mai soddisfa il proprio oggetto. Sembra che Anna Maria Carpi stia dentro la cosa come una scultrice alle prese con la materia. Oggetti-specchio e il tempo-abisso. “O piccolo trifoglio nero in campo giallo.”

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  5. Non sono qua per offendere gratuitamente, non me ne vogliate, ma leggendo i versi della Carpi, e soprattutto i mielosi commenti a cui devo questo principio di carie, non ho saputo trattenermi. Mi pare che ci si trovi davanti ai pensieri che la casalinga non ha saputo trattenere con il risultato, ahinoi, di riuscire a renderli organici e vederli qua pubblicati. Non c’è invenzione, non c’è ricerca, non c’è, nemmeno, una verticalità che ci si potrebbe aspettare da un certo lirismo. Ripeto, non voglio offendere, voglio solo dire la mia. Del resto non faccio altro che condividere il pensiero espresso da Anna Maria nell’ultimo testo qui proposto: …mi danno/su quel che scrivo/e non mi piace mai. Non si preoccupi la Carpi, non piace neanche a noi.

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    • cosa parla al plurale majestatis moretti? “non piace neanche a noi? Non piacerà a lei e questo può andar bene, succede. Non capisco molto delle sue motivazioni. Non vedo miele nei commenti tra le altre cose. buona serata

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  6. Be’ potremmo incidentalmente notare che forse una determinata scelta stilistica non verticale potrebbe essere voluta. Forse il mondo verticale, a furia di oscillare compiaciuto fra verticalità e vertigini immobili di barocco, si è stancato ed è franato (e attorno si vede). Forse esiste una poetica minimalista alternativa a vertici verticismi vertigini e frane che si potrebbe ascoltare, magari.

    Potremmo anche notare che la struttura ritmica basata sull’assemblaggio libero delle unità metriche tradizionali appare dotata di una sua sonorità anch’essa naturale, forse, al limite, un po’ troppo compiaciuta del suo naturalismo, ma questi sono gusti e percetti idiosincratici.

    Se il giudizio di Ermanno Moretti si limitasse a estrinsecare, magari con virulenza, l’estremizzazione di questi concetti idiosincratici, stigmatizzando la mancanza presunta di verticalismo e lirismo, o di invenzione -ma dopo cinquanta secoli di letteratura, per tacere di quello che fu cantato prima, è difficilotto inventare davvero, forse impossibile -si potrebbe anche credere alla non volontà di offendere.

    Forse quella boutade sui pensieri che la casalinga non ha saputo trattenere, forse quella tradisce una volontà fin troppo filo-verticistica di attaccare per attaccare (poco conta che il commento venga da uno che con i vertici non ha magari nulla a che vedere -il modo offende).

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  7. Parliamone. C’è dell’immenso qui sopra. C’è della incredulità. Almeno sapere perché, sapere per come: sarà troppo o troppo poco?

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    • L’incredulità è la mia reazione istintiva quando un giro di frase mi fa schiudere la bocca. Credo abbia a che fare con il sistema nervoso simpatico. Non riesco ancora a rassegnarmi al fatto che il linguaggio possa operare, in determinate condizioni, dei cambiamenti all’assetto psicofisico di una persona. Da qui l’incredulità; diversa dallo stupore, in quanto un filo di abitudine, bazzicando poesia e poeti, la si fa, ma si spera sempre (almeno nel mio caso) di mantenere quel fondo naif che permette di godere la gioia pura delle cose.

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  8. Si legge poesia per questo. Per portarsi dentro quella meraviglia, quell’acqua di parole che in prosa o nel discorsivo comune seccherebbe al sole. Il tema è che qui siamo nel discorsivo comune. Chi sostiene che manchi la scintilla, l’invenzione poetica, ha ragione. Io per me dico con invidia beato chi invece riesce a vederla, costruendosela da solo. Perché suo è il regno dell’immaginazione. Amen.

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    • Qui l’invenzione poetica non manca affatto Gianluca, non manca affatto. Allarghiamo un po’ il campo della definizione di “invenzione poetica”. Chi la vede qui non è beato e non possiede alcun regno dell’immaginazione. Vive, invece, nel ragionamento, nella capacità di osservare le cose, nella bellezza della sintesi, nell’umiltà di riconoscere chi è bravo e chi no. Questo è tutto oggettivo.

      Incollo a caso:

      “QUANDO AVRO’ TEMPO
      e so che non l’avrò”,
      dicevo, e quanto tempo ho perso
      in compagnia,
      poco o niente importava come fosse:
      ha il suo bello non essere se stessi,
      passare ogni momento a un’altra cosa,
      dire in coro con gli altri non ho tempo.
      E’ la salvezza.

      E’ ora che mi perdo, che mi danno
      su quel che scrivo
      e non mi piace mai, ma è con questo che anelo
      fra mille altri d’essere vista udita
      essere amata,
      e non andrà così:
      sono le scritte incise
      da un recluso nel muro della cella,
      e non c’è finepena.

      “discorsivo comune”? ma dài

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  9. mi manca sempre quel manuale della giusta poesia, però amo la Carpi, così, come si ama De Moraes, come si ama chi ti sa indicare e dire qualcosa che rimane.

    Samba delle benedizioni

    Meglio essere allegro che esser triste
    Allegria è la miglior cosa che esiste
    E’ così come un sole dentro il cuore
    Ma se vuoi dare a un samba la bellezza
    Hai bisogno di un poco di tristezza
    Se, non è bello un samba, no

    Se no, è come amare una donna solo bella e beh! Una
    donna deve avere qualche cosa in più della bellezza.
    Qualche cosa che piange, qualche cosa che ha malinconia
    un’aria di amore tribolato; una bellezza che viene dalla
    tristezza di sapersi donna fatta per amare, per soffrire
    d’amore e per essere solo perdono

    Fare un samba non è una barzelletta
    Chi fa un samba così non è poeta
    Il samba è preghiera, se lo vuoi
    Samba è la tristezza fatta danza
    Tristezza che ha sempre la speranza
    Di non essere triste prima o poi.

    Prendi tutti quelli che vanno in giro e scherzano con la
    vita. Attento, amico! La vita è una cosa seria e non ti
    sbagliare, eh? Ce n’è una sola!
    Due, che sarebbe meglio, nessuno mi convincerà che ci
    sono senza provarmelo con prove definitive, cioé:
    certificato rilasciato dal Notaio del Cielo e sottoscritto:
    Dio (e con la firma autenticata).
    La vita, amico, è l’arte dell’incontro, malgrado ci siano
    tanti disaccordi nella vita. C’è sempre per te una donna
    in attesa, gli occhi pieni d’amore, le mani piene di
    perdono: metti un poco d’amore nella tua vita, come nel
    tuo samba

    Metti un poco d’amore dentro un ritmo
    E vedrai che nessuno al mondo vince
    La bellezza che c’é in un samba, no
    Perché il samba è venuto da Bahia
    E se è bianco di pelle in poesia
    E’ nero nell’anima e nel cuore.

    Io, per esempio, il Capitano delle Indie Vinicius de
    Moraes, il bianco più negro del Brasile, diretto
    discendente del re Xangò
    Saravà, cioé salve!
    Benedizioni, grandi sambisti del mio Brasile bianco, nero,
    mulatto, bello e liscio come la pelle della dea Oxum
    Benedizione Antonio Carlos Jobim, compagno di canzoni
    e caro amico che tanti samba hai viaggiato con me e
    ancora tanto viaggerai!

    Benedizione, Baden Powell, compagno nuovo amico
    nuovo che hai fatto questo samba come me: benedizione a te!
    Benedizione, Chico Buarque de Hollanda
    Tu che non chiedi, comandi
    Tu che hai nel cuore una banda
    Tu che appena parti, già sei arrivato!
    Il samba ti guardi, compare mio.
    E ora, tornando al portoghese, la mia
    lingua, voglio salutare i grandi amici del samba, in Italia, gli
    uomini che hanno portato il samba in Italia, gli
    uomini e le donne che amano il samba in Italia
    Benedizione, Endrigo, tu che sei e sei stato tanto amico e
    canti questo disco con me: benedizione, amico!
    Benedizione ai bambini che hanno inciso questo disco
    con me, io li benedico!
    Benedizione, Ungaretti, che quando ti penso
    M’illumino d’immenso
    Tu che sei immenso, tu che sei denso, tu che sei intenso,
    Benedizione, Ungaretti, mio paparino e fratello!
    Benedizione, Ungaretti, che sto partendo
    E devo dirti addio.

    Perché il samba è venuto da Bahia
    E se è bianco di pelle in poesia
    E’ negro nell’anima e nel cuore.

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  10. ma sai Gianni, l’invenzione poetica non esclude la sintesi nè la sintesi deve essere automaticamente traguardata ad invenzione poetica. Però Natalia ha ragione: nessuno in lo possiede il manuale della giusta poesia. Non esiste, e se esistesse sarebbe in continua evoluzione, perchè cambierebbe col sentire di chi ogni volta sbircia sul foglio. Mi sembra fuori discussione.
    A me incuriosiva la meraviglia perchè era una meraviglia che io non riuscivo ad avvertire, un sentire così diverso dal mio sentire. Era qualcosa di cui avvertivo la mancanza, un vuoto che dovevo trasformare in pieno: ecco perchè curioso ho chiesto ed ogni volta chiedo spiegazioni, non certo per polemizzare. Ed ero serio quando indicavo come beato chi riuscisse ad avvertirla in questi versi, perchè io non riuscivo ed ancora non riesco, purtroppo.
    Sono troppo concentrato su questa:

    STORNI nell’aria,
    migrano questi figli dell’autunno,
    una mano gigante li ha lanciati
    su in cielo. Sbandano, ritornano,
    nel loro giubilo d’essere nessuno,
    i bimbi del creato.
    Tutti via, poi il gioco ricomincia,
    il gioco in alto, al freddo, senza tempo.

    Non c’è gioco per noi, noi giù nel tempo
    per le vie del quartiere.
    Foglie, una cosa sola, solo qualche fruscio,
    un giacere comune, ultimi battiti,
    poi una terrea quiete.

    (dove insiste in controluce la delicatezza della poetica pascoliana ma anche tutta la misura piatta del suo limite ( che Anna Maria Curci in qualche modo inquadra definendolo tempo bimbo) oche viene adattato nelle forme e nelle scaglie del nostro tempo veloce e nel quale quell’ ‘in’ cielo’ del verso quattro viene inserito quasi a deviare dalla pericolosa deriva del verso precedente

    ma anche sul passaggio evocato da Giovanna:

    Dove sei Magnificat di Bach,
    pura bellezza, fede illimitata
    che in te l’umano o qualche umano è salvo?

    dove il salto di livello invocato dal Magnificat, reso assoluto nel richiamo ad una bellezza pura e ad una fede illimitata, poi scade e nell’ultimo verso appare vanificato da una scelta metrica e stilistica fuori campo, fuori inquadratura.

    Non risolvo il rebus neanche stasera però son contento perchè c’ho guadagnato un bel de moraes

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  11. Gianluca, ti avviso: sei a un passo dal tirare fuori Quasimodo in un tuo commento! perciò fermati qui prima di essere bannato a vita dal sottoscritto ;)

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    • confesso che la stretta parentela esistente tra gli storni e la gazza che ride nera sugli aranci per un attimo stava portandomi alla deriva verso la citazione di un paio di versi del nostro innominabile. Ma ho imparato a controllare gli istinti..;-)

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  12. dovrei essere del tutto scemo, Gianluca!
    intendo più del normale ;)

    comunque qui, più che altrove, di lui non è il caso proprio di parlare: la scarnificazione della lingua della Carpi è una scelta precisa, come è già stato detto più volte e in più sedi.
    la sua apparente semplicità ha radici lontane e soprattutto è l’esito di un lavoro che attraversa un’intera tradizione poetica.
    e così torniamo a parlare di lei.

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  13. Va bene la storia della scelta precisa, dell’uso di un linguaggio scarnificato e di un parlato basso che viene da lontano, ma non è questo il nodo della vicenda, il nodo è il punto di atterraggio, è la parola che non si solleva dal foglio. faccio un esempio preciso:

    Per caso mentre tu dormi
    per un involontario movimento delle dita
    ti faccio il solletico e tu ridi
    ridi senza svegliarti
    così soddisfatta del tuo corpo ridi
    approvi la vita anche nel sonno
    come quel giorno che mi hai detto:
    lasciami dormire, devo finire un sogno

    Non c’è in Antonio Porta, almeno in questo testo, la stessa intenzione, la stessa ricerca di un linguaggio chiaro e piano e così lontano dalle sperimentazioni e dagli artifici?

    Ma il foglio su cui la parola tocca terra diventa un cerchio nel grano.

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  14. Oh Gianni, ho appena finito di rileggere Giuseppe Conte e sapessi che fogli leggeri, e la parola che salti possa compiere, e quali meravigliose parabole. Perchè mai dovrei a questo punto arrendermi all’evidenza del contrario? ‘Chi ci assicura che tanta brama domani dura’? Tornando alla Carpi, il sospetto che ho è che in ogni cassetto ci sia un diario, e in ciascuno di questi diari un lunedì qualunque di ottobre in cui qualcuno abbia annotato le parole di storni. Magari non è così, può darsi che mi stia sbagliando di grosso, magari erano le parole di un martedì. Scherzo ciascuno conservi la sua idea. Si ha bisogno di tutte le idee.

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    • Cose lampanti. Basta un minimo di distacco. Non avete sul foglio il canto generale. E poi giacobbo è un eroe. Non firmate la petizione.

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  15. … a me viene da dire una cosa, insomma: leggo “A me, perché”, e me lo chiedo, il perché, una persona con la storia e l’impegno culturale della Carpi, con tutto quello che si legge in giro, scelga di pubblicare testi come questo. Non ci sarebbe bisogno, con tutto quello che sappiamo circola in giro, di dare l’esempio, in più pubblicando con un nome simile? di far sentire al di fuori della cerchia di chi qui la ama (“immensa” è molto impegnativo) che la poesia dovrebbe essere un luogo speciale, diverso dalla prosa per i suoni e i rapporti fra le parole, e non un semplice luogo di pensieri in ordine sparso, chiedo ancora scusa, andando a capo? E poi, davvero: “umile” per dare dei brontosauri a due persone rispettabili che chiedono umanamente di essere lette, e fanno anche pena, ma a chi? Perché fanno pena? “Quando avrò tempo” che giustamente è ripresa nei post a me pare abbia già un passo diverso. Un saluto e mi sia perdonata la franchezza.

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    • Credo ci sia un grosso fraintendimento “A me, perché” ….e “pensieri in ordine sparso […] andando a capo” mi pare un’esagerazione e una sottovalutazione poetica non da poco.
      cordialità

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  16. La ringrazio per la sua risposta, Gianni Montieri. Mi permetta di osservare che la seconda parte del suo intervento può servire per iniziare una possibile conversazione, un po’ meno la prima. Lei è convinto che io abbia frainteso, cioè che esista una verità e qualcuno, fraintendendo, non la capisce. Io invece non credo che lei fraintenda, solo che abbia un’opinione diversa dalla mia. E la rispetto, confermando una volta di più quel che ho scritto su un testo come questo. Non dico tanto per lo stile, ma sinceramente, fare i falsi umili dando dei poveretti a chi chiede di farsi leggere è un peccato d’infantile presunzione, per me. Un caro saluto a lei.

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    • Il fatto è che non credo si tratti di “falsa umiltà” ma proprio di umiltà e non dimentichiamo l’ironia e l’autoironia sempre presenti nei testi della Carpi. E poi poveretti perché? Non certo perché vogliono farsi leggere ma perché spesso scrivono cose orribili e, ancora più spesso, non accettano un parere negativo dopo averlo chiesto. Questo è quello che leggo in quel testo. Nessuna verità, per carità. La saluto e le chiedo, se avesse voglia, di dirmi qualcosa in più sulla questione dei pensieri in ordine sparso e degli a capo.
      grazie e buon pomeriggio

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  17. Sì, Montieri, mi rendo conto che non è una cosa seria; nel senso che non si dovrebbe mai semplificare in questo modo, come ho fatto io. “Pensieri sparsi con l’a capo” non ha molto capo né coda. Faccio ammenda, quindi, anche per rispetto alla signora Carpi, che forse ho maltrattato con un po’ di supponenza. Io resto dell’idea che il verso libero ha sempre un obbligo di firma con la tradizione, insomma una libertà sempre un po’ condizionata, ma è un’idea mia. C’è anche chi abbraccia l’anarchia più totale, ma nel caos fa rifulgere pepite, perché dice cose che solo nel contenitore della poesia prendono luce, e se ne frega del metro. Io ho usato quell’espressione imprecisa, me ne accorgo ora, perché non si può mollare le briglie della forma e dire cose, in quel testo, che non creano nulla di poeticamente rilevante, emozionante, degno di nota, anzi: dietro quel che lei chiama ironia rivelano una supponenza che mi è suonata come insopportabile. Mi scuserà la Carpi. Ecco, il motivo del fastidio. Vede, da che mondo è mondo si fa poesia sulla poesia. E chi lo fa di solito apre la prospettiva, si spoglia di ogni posizione centrale, magari fa un inno alla relatività di ogni scrittura. Carpi “non sa perché” si rivolgono a lei, ma i consigli su come aggiustare i versi li dà volentieri, ai brontosauri. La relatività è nel mistero della moltitudine degli scriventi, poveretti che fanno pena, rispetto all’umile ruolo di normografo che lei si attribuisce per intero. Mi deve scusare, e con lei la signora Carpi, ma chi arriva a scrivere un verso come, per dire: “e schizza per il bagno fino agli allegri led.”, dovrebbe spiegare su che metro, o ritmo, o suono, o calco si permette di dare consigli ai poveri brontosauri. Cui esprimo, non me ne voglia, la mia più incondizionata solidarietà, e un augurio a che si esprimano in armonica coerenza al loro puro sentire, senza “umili” maestri. Un caro saluto.

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  18. scusi Adriana, ma rispettare il ritmo naturale dell’endecasillabo o del settenario, versi fondanti la tradizione italiana (soprattutto il primo), non è mantenere di per sé un legame con la stessa?
    ironizzare sulla rima grammaticale non è irridere senza deridere la tradizione?

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  19. Buongiorno Fabio, leggo solo ora la sua nota; pone una questione non da poco. Non vorrei però fraintendere la sua prima osservazione; lei sta dicendo, mi sembra, che il legame con la tradizione in Carpi è assicurato dal rispetto del ritmo naturale dell’endecasillabo e del settenario. E’ così? Più che “rispetto”, però, a me sembrano al massimo echi in ordine sparso. In “Narrazioni” ho provato a contarle:

    NARRAZIONI, 4
    bivacchi, 3
    indugi 3
    che non tollero più, 7
    droga da bimbi che rifiuto, 9
    voglio una droga più forte, 8
    voglio la muta bevanda 8
    di uno sguardo che intende chi sono – 10
    un nido sconosciuto 7
    introvabile dalla morte. 9

    L’endecasillabo qui non c’è. E i settenari orfani mi pare che galleggino per conto loro, in una solitudine di naufraghi.

    Sulla seconda sua nota, la rima grammaticale come forma di “irrisione” senza deridere, mi vien da chiederle: è proprio sicuro? Ho provato a scovare queste rime, nel testo, e con le rime la funzione che lei dice; io non l’ho trovata. Forse la vera domanda è un’altra: la rinuncia alla cura per la forma, il registro di prosa spezzettata che annoda pensieri, può essere considerato scelta poetica che irride, sorride (non)deride o quel che si vuole, oppure semplicemente mediocre poesia? Ci sono persone, e forse la Carpi è fra queste, circondate da un’aura meritoria, per quello che fanno e il loro impegno culturale anche al di fuori della pagina scritta, che a un certo punto non resistono alla tentazione di seguire un modello “rasoterra” che pure esiste, è tradizione eccome, Così la poesia, anziché il banco di prova più alto per la penna, diventa tasto telegrafico per un contatto, Luogo dove tutto è concesso, legittimato da mille modelli. Diario minimalista a voce alta. Come centomila diari nascosti nei cassetti, compilati da sconosciuti. La poesia ha bisogno di questo esempio, oggi? Non mi prenda per presuntuosa, ma credo di no. La ringrazio.

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