, , , ,

Illusioni ritrovate: ‘La parte della memoria’, l’esordio di Stefania Marongiu  (una rubrica a cura di Omar Suboh)

In un panorama editoriale saturo di pubblicazioni, che per eccesso di titoli in uscita rischiano di soffocare la qualità a discapito della quantità, esistono ancora isole felici. 
Scritture radicali, che non hanno paura di guardare in faccia l’abisso, e che si consegnano volentieri agli artigli dei propri demoni: perché la scrittura non è mai terapeutica, come scrive Michele Mari: alcuni scrittori «hanno nell’ossessione non solo il tema principale ma l’ispirazione stessa» e scrivendo «finiscono di consegnarsi inermi agli artigli dei demoni che li signoreggiano».
Questo è lo spirito che anima la nascita di questa rubrica, dal titolo che rimanda al celebre romanzo di Balzac Illusioni perdute: le vicende di Lucien, aspirante scrittore nella Parigi della prima metà dell’Ottocento, sono lo specchio di una società in cui le aspirazioni di ognuno fanno a pugni con i giochi di potere, gli inganni e le sopraffazioni per svettare sopra gli altri.
La ricerca di nuove voci capaci di sorprendere, di raccontare le metamorfosi del tempo in cui viviamo abbagliati da uno schermo luminoso qualunque, perennemente acceso come un faro sulla notte del mondo: gli esordienti e la scrittura, questo è l’ordine del discorso.
– Omar Suboh

La classe, di Amira Suboh

La parte della memoria. Storia privata di Saverio Tutino (Agenzia Alcatraz, 2023), l’esordio di Stefania Marongiu.

 

«Si sceglie una storia per se stessi così da passare dall’altra parte, per fendere la propria vita con il colpo di una rivoluzione», scrive nelle pagine conclusive del suo esordio Stefania Marongiu: scrittrice ossessionata dalla Storia, e dalle storie che si diramano come molteplici sentieri che si biforcano, alla ricerca della verità, della sua purezza abbacinante. Se ogni racconto celato tra le pagine di questo ibrido letterario rimanda a qualcosa di non detto, occultato tra le fessure delle voci che si alternano come un coro greco che accompagna le vicende sulla scena del teatro – a metà tra un memoir, un saggio appena accennato su uno dei periodi più frequentati dalla letteratura italiana, ovvero, quello relativo agli anni della resistenza al nazifascismo, passando alla stagione stragista di fine anni Sessanta fino agli anni Ottanta, biografia e romanzo tout court –, La parte della memoria. Storia privata di Saverio Tutino (Agenzia Alcatraz, 2023) è un’ottima prova di come sia possibile coniugare una certa idea di impegno e vocazione civile, con la finzione più squisitamente letteraria.
Trascorsa la stagione per cui, secondo Alberto Arbasino, leggere romanzi sul terrorismo sarebbe stato difficile e improbabile, il recupero del realismo da parte degli scrittori interessati a investire su una complessiva notificazione di realtà, capace di collegare il testo con ciò che gli è esterno, si è fatto sempre più visibile.

 


Chi è Saverio Tutino? Partigiano, giornalista per «l’Unità» prima e «la Repubblica» dopo, scrittore per «Linus» di cui cura una rubrica, autore di libri, instancabile idealista iscrittosi al PCI negli anni d’oro della sua ascesa, e in perenne contrasto con i suoi quadri dirigenziali; corrispondente da Cuba, dove segue con travolgimento ardimentoso gli anni della rivoluzione castrista, incontra Fidel, e una rete di personaggi che sembrano muoversi nell’oscurità tramando contro il potere costituito; in Bolivia, per chiedere la scarcerazione del filosofo Jules Régis Debray: attivista al fianco di Enesto Guevara, arrestato e poi scarcerato nel settanta; in Cile, sono gli anni di Salvador Allende, e poi del colpo di stato ordito dal generale Augusto Pinochet: l’undici settembre del settantatré.
Marongiu insegue le persone che lo hanno conosciuto, che si sono rapportati a lui negli anni in cui, come posseduto da una febbrile tensione protesa nel raccontare quello che stava vivendo – come la ricostruzione dei diari tenuti da Tutino testimonia, e riscritti attraverso l’espediente della rielaborazione formale dalla scrittrice (la cui fonte principale è da ricondurre alla autobiografia scritta da Saverio stesso: L’occhio del barracuda. Autobiografia di un comunista) –, e attraversando i luoghi vissuti dal suo protagonista: Aosta – dove incontra la figlia Barbara, nata dall’unione con Orsetta Elter: sorella del partigiano Giorgio, ucciso dai fascisti nel quarantaquattro –, Roma – gli anni in cui «Gli pare che le Brigate Rosse si siano abissate in una voragine profonda a scandagliare la possibilità della morte, la loro o quella del nemico. Coloro che prendono la strada più estrema non sono qualcosa di altro rispetto al corposo esercito di giovani percorso da sussulti», scrive Marongiu, provando a interpretare lo spirito del tempo, e di quello di Tutino –, Pieve Santo Stefano – per seguire da vicino l’assegnazione del premio assegnato a un diario ogni anno, dall’Archivio: ideato e fondato da Saverio per «far fruttare in vario modo la ricchezza che in esso viene depositata» –.
Nell’arco di quei quindici anni circa, a partire dalla strage di piazza Fontana del dodici dicembre del sessantanove, passando per quella della stazione di Gioia Tauro, all’Italicus, e la stazione di Bologna – quest’ultima, in particolare, rievocata dall’autrice con i ricordi della madre che ci passava sempre davanti –, con oltre centocinquanta morti e più di seicento feriti: un filo nero sembra legare i principali avvenimenti che attraversano la Storia italiana, gli stessi vissuti dai protagonisti di questo libro. I responsabili sono stati cercati e, a volte, trovati nei gruppi dell’estrema destra, facendo scattare una rete di protezioni e depistaggi manovrata dai livelli più alti della società e delle sue istituzioni – come scrive il giornalista Gianni Barbacetto nel suo Il grande vecchio (Bur, 2009): «Quasi tutte sono ancora oggi senza colpevoli, esecutori, mandanti. Coperture e depistaggi istituzionali sono scattati anche per altri episodi: colpi di Stato tentati o minacciati, piani eversivi, attentati ai treni e ad altri impianti, azioni del terrorismi nero. Uguale sorte hanno avuto le indagini, rallentate e depistate, su alcune organizzazioni segrete: dalla Loggia P2 alla rete Stay Behind in Italia (Gladio)» –.
Tutte figure o immagini che ritornano nel testo di Marongiu, come il profilo che si staglia sullo sfondo dei delitti e delle stragi più inspiegabili, del Grande Vecchio, sorta di leggenda «acquattata sotto gli strati di verità di quell’epoca impazzita, un’entità o forse un uomo», nell’estremo tentativo di scandagliare un tempo frastagliato: «sono sommersa dalla mia epoca», come ammette candidamente l’autrice.
Torna alla mente un episodio raccontato nel testo, come quello relativo all’operazione dei cosiddetti Manifesti Cinesi. Protagonisti: Mario Tedeschi, direttore del «Borghese» ed ex membro del battaglione delle X Mas, assieme a Federico Umberto D’Amato e al regista occulto, Stefano Delle Chiaie. Siamo nella prima metà degli anni Sessanta, dalla notte all’alba appaiono manifesti che richiamano alle armi. Tutti riportano le insegne e i simboli del Partito Comunista Marxista–Leninista Italiano, come a voler collegare i movimenti italiani della sinistra extraparlamentare all’Unione Sovietica, più che alla Cina maoista. Ogni manifesto si scoprirà essere inventato. Così come i simboli, le grafiche, le parole e tutto il resto: tutto quanto è stato scritto e preparato da Tedeschi, per intorbidare le acque tra i gruppi di ultradestra e ultrasinistra. Gli stessi uomini qui coinvolti si ritroveranno agenti attivi nelle battaglie dei primi Settanta, gli anni della diffusione della loggia massonica deviata Propaganda Due, guidata dal Maestro Venerabile Licio Gelli. E anche allora la strategia in atto sembrava condurre a un unico obbiettivo: il colpo di Stato, il rovesciamento dell’ordine, in un momento in cui, il Paese, era ancora ferito per le stragi rosse. Siamo all’alba, infatti, del tentato e fallito golpe Borghese, organizzato dal nobile e militare Junio Valerio, nome di spicco dell’estrema destra italiana.
L’avvicendarsi di storie, avventure ed episodi salienti, segue un ritmo serrato, che non lascia il tempo per riprendersi, perché un nuovo stravolgimento è dietro l’angolo: come il tentato coinvolgimento di Saverio Tutino nel sequestro di Aldo Moro il sedici marzo del settantotto. Quando i soliti gruppi, aiutati da una certa stampa favorevole, sembrava fossero riusciti a indirizzare le indagini sui presunti rapporti di Saverio con alcuni brigatisti. Memorabile rimane il racconto di una presunta seduta spiritica, come quella organizzata a Zappolino, un piccolo comune in provincia di Bologna, in presenza di personalità come Romano Prodi, per evocare la possibilità di rintracciare il luogo in cui sarebbe nascosto il presidente della Democrazia Cristiana. Vengono fuori tre posti diversi, ma solo uno potrebbe rimandare al luogo effettivo in cui orientare le ricerche: Gradoli, ma non vicino a Viterbo, in via Gradoli a Roma. È lì che buttano giù la porta, spalancando un’apertura su un appartamento segreto, nascosto da una porta chiusa, dove vengono ritrovate «pistole, parrucche, cartucce, targhe false, palette della polizia», ma niente: il posto preciso non è ancora quello.
Accompagnati da una scrittura essenziale, che segue un ritmo interiore percepibile da un attento orecchio musicale, Marongiu orchestra la sua polifonia di voci dei sommersi e dei salvati che, come fantasmi che non la lasciano, si alternano nel palcoscenico della Storia: quando diventa impossibile distinguere l’io individuale da quello collettivo. Come scrive Walter Siti ne Il realismo è l’impossibile, «si giunge a un confine del realismo, o meglio a riconoscere un’orma realistica in quelle scritture non mimetiche […] che hanno però come obiettivo ultimo quello di illustrare qualche strato profondo della realtà», così anche qui ci muoviamo in un terreno labile, che sembra cedere da un momento all’altro per poi riavvolgere il lettore con il suo manto di realismo estremo, nella transizione tra universi paralleli che, come rette dispiegate nel medesimo piano, scorrono senza toccarsi mai, ma, al contempo, si attraversano continuamente come diagonali tracciate nello stesso asse.
La riappropriazione del conflitto di quegli anni trasforma la lotta armata, l’impegno politico, l’avvicendarsi di governi e regimi vecchi e nuovi, in un tema potente, e la parola rimane àncorata solidamente a una identità forte e riconoscibile, come l’Io dell’autrice che si confonde con quello dei suoi intervistati, alternati da un montaggio sapiente attinto dal linguaggio del cinema e del documentario.
La parte della memoria è uno di quei libri in cui, per riprendere alcuni passi salienti del libro La letteratura circostante di Gianluigi Simonetti, «la storia collettiva tende a diventare un riflesso di quella privata», quando ogni evento del mondo sembra coincidere con lo smottamento psichico di chi lo racconta. L’equilibrio tra autobiografia e narrazione delle gesta di Saverio Tutino e dei suoi collaboratori, non appare mai sbilanciato verso una scrittura autoriferita, ma predilige quella storica, collettiva; in modo da rendere più immediato il processo di identificazione da parte del lettore con i protagonisti di quell’epoca, sfumando, a volte, i contorni della cornice di realismo impossibile in cui sembra dissolversi: alla ricerca di una scrittura che abbracci un afflato di più ampio respiro, ma che, per ora, sembra accontentarsi di trasformare la mitologia pubblica di un personaggio molto influente per la storia recente come Tutino, nel riflesso speculare rimandato indietro dall’esigenza della scrittrice di dare una forma concreta alla sua vocazione estetica e poetica.            

 

Di Omar Suboh       

   

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un’icona per effettuare l’accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s…

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: