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Mentre ti dico, nasco: ‘Ombelicale’, l’ultimo lavoro di Andrés Neuman (di Annachiara Atzei)

La genitorialità è un fatto che non può prescindere dall’amore. Il legame tra un padre e un figlio,
sebbene differente da quello che unisce il piccolo alla mamma durante la gravidanza – assicurato da un nodoso attorcigliamento di vasi – è tangibile pur se nascosto allo sguardo perché passa attraverso l’affetto e le emozioni. È questo l’argomento centrale di Ombelicale, l’ultimo lavoro di Andrés Neuman appena edito per Einaudi.

Lo stesso autore che ha scavato nelle memorie dei propri familiari nel romanzo Una volta l’Argentina, dove la storia era personale e politica, e che in Anatomia sensibile si è mostrato attento al tema dell’identità invitando il lettore a guardarsi senza pregiudizio, stupisce con questo diario in versi in cui si ripensa in una veste per lui incognita.
La congiunzione emotiva col bambino che sta per arrivare – dapprima desiderata, attesa e immaginata, poi costruita pian piano nella quotidianità – è talmente forte che consente a chi la racconta di riscoprirsi o, in una parola, di nascere a sua volta.
“Mentre ti dico, nasco”: è proprio così che si apre un testo coinvolgente e intimo, con una viscerale dichiarazione d’amore e con la descrizione di una simultanea venuta al mondo: quella di un bambino e quella di un adulto che affronta la paternità come fosse un viaggio in un tempo molteplice – che è contemporaneamente il passato di fuggiasco dal paese d’origine, un presente ricco di aspettative in un’altra comunità, e un futuro verso il quale, nonostante tutto, è in grado di guardare con fiducia. Il luogo di questa narrazione è il grembo di una donna e il letto d’ospedale, è la casa e la camera, è la notte, i giochi e le fontane. Ambienti reali, che tutti abbiamo in mente, dove la vita si rinnova e si evolve e in cui si riprogettano le dinamiche di una famiglia che si allarga.
Quella di Neuman è una soggettività in continuo divenire, ancor più davanti a questo evento.
Lo scrittore si ritrova nella rivoluzionaria dimensione di un rapporto paterno nel quale si cimenta con l’inesperienza propria delle prime volte alla quale si accompagnano curiosità e paure, sfide e prese di coscienza. “Guardandoti mi sembra di capirmi”, dice, e in questa affermazione sono raccolte le ragioni di una magmatica ricerca interiore che tenta di essere finalmente appagata in questa prima paternità.
Conoscersi è cullare, toccare, è lo scambio di sguardi e saliva, è l’invenzione di un alfabeto rudimentale che è il punto di inizio del discorso tra due individui che cresceranno insieme.
Ancora oggi ci concediamo l’errore di credere che cura, dolcezza, accudimento e comprensione siano prerogative femminili. Neuman è testimone del contrario e in queste pagine appare vicino e pronto all’ascolto, prodigo di insegnamenti, ma anche conscio della propria inadeguatezza e timoroso di poter sbagliare. Abbiamo bisogno di storie come questa, che reinventano la genitorialità e nelle quali la narrazione sposta il tiro ed esce dagli stereotipi. Penso, ad esempio, nel cinema, alla intensità del ruolo interpretato da Viggo Mortensen in Captain Fantastic, papà protettivo e premuroso, che non impone mai il suo pensiero ai figli rimasti orfani della madre, o anche alla relazione che in Interstellar – film di Nolan del 2014 – unisce un padre e una figlia, le cui vicende, seppure si svolgano in momenti asincroni e spazi sovrapposti (come il regista britannico ci ha abituati), non vanificano la comunicazione e l’attaccamento che c’è tra i protagonisti il quale, a scapito del resto, non si spezza.
In queste prose poetiche, Neuman conferma le sue qualità di narratore non comune e si cimenta con una storia privata che è unica e di ciascuno allo stesso tempo, anche di chi genitore non è. Non solo l’oggetto del testo riesce a coinvolgerci e rendere anche noi protagonisti, ma è soprattutto il modo di parlare al lettore che ci fa sentire parte di quella connessione: senza temere di mostrare la propria fragilità, Neuman non descrive semplicemente una nuova esistenza, ma un codice inedito, formato di gesti, di corpi, di suoni e di parole delicate: il seme di un dialogo del cuore che renderà quella corrispondenza sempre più profonda.
“Spero mi insegnerai a piangere le cose che non ho mai pianto” – scrive Neuman – dimostrando di non aver paura di esprimere i propri sentimenti e di essere una persona capace anche di tenerezza. Una tenerezza che è umana e che non è altro che una recuperata libertà.

 

Di Annachiara Atzei 

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