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Infinite quest: alieni, tecnologia e galline con Silvia Righetti (una rubrica a cura di Giulia Bocchio)

Domanda e risposta: due entità complementari, eppure l’una genera l’altra, in un interscambio potenzialmente infinito, mai esausto, mai uguale a se stesso. La sintesi dell’incontro, il binomio preferito della conoscenza. E della curiosità.
“Intervista” è solo il nome che ne racchiude l’atto e l’intenzione ma, in questa rubrica, protagonista sarà il dialogo – l’incontro – lo scambio. 
Esseri umani che hanno una visione e che si sono imbattuti nel proprio labirinto personale. Perdersi significa anche attraversarlo. E magari raccontarlo.

Creatività, arte, progetti, riflessioni, esperienze e uno sguardo rivolto al futuro, in quell’orizzonte  magnetico che è la parola.

Giulia Bocchio

Le superfici lucide di una casa completamente tecnologica non lasciano scampo: potresti scivolare in una solitudine molto strana, un po’ grottesca, ossessiva e poi un bel giorno iniziare a pensare che l’essere umano non è l’unico essere possibile nell’universo, e non solo quello osservabile.
Magari, in questo preciso istante, a 3 milioni di anni luce da noi (= a una distanza di 28382192331358.70 km) qualcosa di cui non abbiamo esperienza diretta sta accadendo. Il fatto di esserne estranei non significa necessariamente che non stia succedendo.
E se il problema fossero proprio i nostri sensi? Troppo limitati, troppo poco sviluppati per percepire entità che non è detto siano per forza visibili o corporee.
Silvia Righetti, giovanissima fumettista e illustratrice che ha esordito con un graphic novel che ruota proprio intorno a queste argomentazioni, Cervello di gallina (Coconino Press), ha pensato a un tramite originale e provocatorio: una gallina. Lei sì che – forse – possiede le facoltà necessarie.


Giulia Bocchio: Silvia, bentrovata, Cervello di gallina è il tuo graphic novel d’esordio. Prima di addentrarci nella vicenda che tu disegni, quel che subito salta all’occhio, è la strana ambientazione nella quale i personaggi si muovono, una casa iper tech, ma non certo rassicurante o accogliente…
Se da un lato la tecnologia è in grado di ridisegnare il nostro rapporto con il tempo e con lo spazio, la solitudine è sempre in agguato, ed eccoci connessi e isolati, immersi in rapporti umani sempre un po’ strani e mediati da uno schermo… Qual è il denominatore comune di questi elementi nel tuo immaginario? E il personaggio di Lino è una metafora in questo senso?

Silvia Righetti: La tecnologia che vediamo nella storia, per come l’ho pensata, funge da specchio a quella che è la condizione interiore dei personaggi. Tutto ciò che viene messo in scena è parte della narrazione e in questo caso la tecnologia l’ho percepita come uno strumento per enfatizzare un’incomunicabilità che già c’era fra i protagonisti e coloro che li circondano (di persona e non). È stato sicuramente divertente immaginare un mondo ancora più “domotico” di quello attuale, ma paradossalmente le mie ispirazioni si basano su un concetto di design poco attuale, più legato agli anni ’60 -’70, come per esempio Villa Spies o Palais Bulles.
Il personaggio di Lino ricorda un po’ quelle persone che si costruivano i bunker in preparazione ad un potenziale disastro atomico, ma traslato in prospettiva di un’invasione aliena. Lui è l’altro lato della medaglia rispetto ad Enzo, che aspetta gli alieni mentre Lino li teme. Entrambi condividono lo stesso ardore e impegno per perseguire i propri interessi.

 

 

G.B.: Veniamo al tema “alieni”; Enzo, il fratello di Rebecca, ritorna all’improvviso in compagnia di una gallina molto particolare: l’animale sembra essere infatti in grado di stabilire un contatto con entità extra terrestri. Ma non ci sono prove a riguardo, solo ostinazione. Quest’ultimo aspetto è interessante perché l’uomo è da sempre alla costante ricerca di qualcosa o qualcuno là fuori, nello spazio… Dall’antichissima osservazione delle stelle, alle esplorazioni spaziali: sembra un tratto ancestrale. Ad oggi non sappiamo se – e quali – forme di vita abitino un potenziale pianeta a noi sconosciuto, ma è come se questa curiosità inesausta, anche in assenza di veri e propri segnali, basti a se stessa per generare studi e suggestioni. Nonché arte…

S.R.: Io non sono per nulla scettica all’idea che ci siano altre forme di vita senzienti nell’universo, non ci credo così speciali, a noi esseri umani, da essere gli unici.
Allo stesso tempo siamo cresciuti con un immaginario particolare quando si parla di altre forme di vita nello spazio e gli alieni sono spesso raffigurati come esseri ostili e più avanzati tecnologicamente di noi. Non mi sembrava molto interessante da parte mia continuare su questo filone, anche perché non avrei avuto molto di nuovo da dire. Mi piaceva però l’idea di giocare sui sentimenti umani riguardo questo tema ed esplorarli un po’ da vicino. La gallina è quel tipo di elemento grottesco che mi piace inserire nelle mie storie. In questo caso mi piaceva che uno dei misteri più attesi dell’umanità fosse nelle mani dell’animale canonicamente definito “più stupido” del mondo.
Credo che l’essere umano abbia bisogno di misteri da risolvere, ma più in generale di storie. Rendono la vita un po’ più appassionante.

G.B.: E poi c’è il futuro: che ne sarà di noi fra mille anni, nel 3023? Sapresti disegnare ciò che non vedrai?

S.R.: È una domanda difficile, in questi ultimi anni mi sento un po’ pessimista sul futuro dell’umanità. Se ci sarà ancora l’uomo su questo pianeta tante cose saranno cambiate. Il mio modo di immaginare elementi che non esistono è rimescolare quelli di cui ho in qualche modo esperienza, ma se ci sarà qualcosa di mai visto non credo che riuscirei a disegnarlo. Però è una bella ginnastica mentale, rispetto molto chi riesce a inventare cose totalmente nuove.

Infinite quest by Giulia Bocchio

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