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Su ‘Il segreto del talento’, di Valeria Parrella

Valeria Parrella è una delle scrittrici italiane contemporanee di maggior talento e ha scritto un testo teatrale proprio sul talento, o per meglio dire sul talento e sulla sua scomparsa, sulla perdita del talento degli artisti e quindi sul loro sopravvivere in quanto tali, in quanto artisti – con o senza talento. La pièce, un atto unico intitolato Il segreto del talento, è in scena in questi giorni al Teatro San Ferdinando di Napoli ed è appena stata edita da Marsilio in un volumetto. Si tratta di un testo – una commedia per musica, questo il sottotitolo – sul mistero del creare e quindi dell’essere e restare creatori, artisti, malgrado il supposto appannarsi del talento e la noia, malgrado l’indifferenza del pubblico e l’insuccesso o anche il troppo successo di chi scrive o recita o danza o fa in altri modi arte. I personaggi, oltre agli strumenti musicali, sono La Dernier e Melina, due attrici. La Dernier aspira al vero e sacro talento, il cui segreto è custodito materialmente dal Maestro, mentre Melina è stufa di tutto (“M’aggio scucciata”) e vorrebbe avere le tasche piene di petardi per lanciarli su critici e giornalisti e drammaturghi e vigili e poliziotti e così via – Melina è una delle tante donne arrabbiate e forti di Valeria Parrella. Melina ha conosciuto il successo, La Dernier no. Le due discutono del talento e del destino degli artisti che sono in qualche modo succubi della loro ispirazione, ossia per l’appunto del talento.
Il segreto del talento è al tempo stesso una pièce dialettica e una danza fisica e linguistica e musicale fra le due protagoniste. I corpi sono voci, parole, sfoghi, echi di strumenti; a un certo punto Parrella scrive persino – e per la prima volta, lei che ha una scrittura molto poetica – in versi, seppure giocosamente, attraverso La Dernier. Il talento è un dio e un demone che deve accadere e che talora prende forse la forma del destino, cioè della vita stessa degli artisti. Quanto al pubblico, è un “guaio”, urla la furente Melina. La Dernier ribatte che senza pubblico (come senza lettori?) il talento – come l’artista – va sprecato.
Valeria Parrella scriveva, a proposito di Ciao maschio, un’altra sua pièce andata in scena nel 2009: “La realtà è che ci sono cose, storie, argomenti che a me riesce facile scrivere come novelle. Ma a volte affiorano pezzi più profondi, più vaghi e quindi meno strutturati e strutturabili in trame certe, che non so dove collocare. […] Ancora, questo scritto risponde a una codardia: l’incapacità di essere io a dire, io a parlare. Così lo fa un’attrice per me, sul palco, un’amica, e il lettore di queste poche pagine lo sa: che un’altra donna, un’altra persona parlano al mio posto.” Ne Il segreto del talento le amiche, le voci e i corpi che parlano in vece di Parrella, sono quindi due: Teresa Saponangelo e Elisabetta Valgoi. E gli strumenti, la coppia di violini e la viola e il cello, sono a un tempo il moto del mondo e il controcanto della scena alle attrici in rivolta – o depresse, o stanche, o comunque smarrite. Il segreto del talento è una messa in atto non tanto del talento quanto del mistero che al talento e agli artisti soggiace. In Melina c’è la tentazione del silenzio, del diniego al pubblico.
In La Dernier c’è invece la disperata necessità di essere accettati e riconosciuti in quanto artisti, in quanto creatori – o forse bisognerebbe dire in quanto “artiste”, in quanto “creatrici”, perché non è un caso che il Maestro sia un maschio.
Il teatro di Valeria Parrella è misterioso e poetico e regge bene sia sulla pagina che in scena. La prima volta che ho visto recitare una sua pièce, o per essere esatti un brano di una sua pièce, è stato nel 2007, in una libreria che oggi purtroppo non esiste più, nella Galleria Alberto Sordi di
Roma; si trattava de Il verdetto, una rivisitazione del mito di Clitemnestra, e l’attrice era Cristina Donadio – ricordo che Clitemnestra fissava e ipnotizzava il pubblico con un linguaggio antico, alto, davvero da tragedia greca, con gli occhi come in trance, irosi e cupi e ribelli quanto le sue parole. Poi vidi Antigone, a Parigi, al Théâtre National de Chaillot, una grande opera sull’accanimento terapeutico e l’eutanasia, sulla legislazione e il potere e la pietà dell’essere umani. I suoi altri testi teatrali, compreso Il segreto del talento, finora li ho soltanto letti – ma anche a leggerli ci si incanta e ci si stordisce (“Io sono il genere che ha fiducia, che si lascia
incantare e stordire” dice il memorabile corifeo di Ciao maschio). Resta da chiedersi quanto quest’ultima pièce risponda a una reale sofferenza dell’autrice, ovvero se Valeria Parrella abbia sofferto di crisi di ispirazione o se sia stata tentata dal ritiro delle scene, dal silenzio creativo; dopotutto alcuni toni di Melina le assomigliano molto. Però la stessa Parrella scrive, sulla soglia del libro: “Il talento, se c’è, non si appanna mai. Ma gli artisti non lo vedono più.” Quindi l’essenziale è saper vedere, saper sentire.
Il resto, posto che ci sia, va lasciato alle ombre – e al mistero dell’arte.

Di Edoardo Pisani

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