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Infinite quest: dialogo con Valerio Magrelli (una rubrica a cura di Giulia Bocchio)

Domanda e risposta: due entità complementari, eppure l’una genera l’altra, in un interscambio potenzialmente infinito, mai esausto, mai uguale a se stesso. La sintesi dell’incontro, il binomio preferito della conoscenza. E della curiosità.
“Intervista” è solo il nome che ne racchiude l’atto e l’intenzione ma, in questa rubrica, protagonista sarà il dialogo – l’incontro – lo scambio. 
Esseri umani che hanno una visione e che si sono imbattuti nel proprio labirinto personale. Perdersi significa anche attraversarlo. E magari raccontarlo.

Creatività, arte, progetti, riflessioni, esperienze e uno sguardo rivolto al futuro, in quell’orizzonte  magnetico che è la parola.

Giulia Bocchio

 

I classici letti dopo i trent’anni e la poesia come “parola frenata”: dall’ossessione Baudelaire a un futuro indefinito, all’interno del quale i nostri connotati cambiano, un po’ come nell’ultimo film di Cronenberg. Dialogare con Valerio Magrelli significa attraversare senza fiatone le pagine dell’Eneide, per essere subito ri-catapultati su un treno diretto all’università leggendo tutto Sanguineti tra una fermata e l’altra.

Perché la letteratura è fatta così, scandisce la vita (e non solo quella degli scrittori).
Mi ricordo certi anni e certe scelte anche grazie a certi titoli.

 


Giulia Bocchio: Vorrei cominciare con un aneddoto personale. Ultimo anno di liceo, la professoressa di letteratura francese per la prima volta decide di affrontare un’ampia analisi dell’opera di Baudelaire. La sua è una scelta extra registro perché gli anni passati, e per le altri classi in generale, aveva sempre scelto Verlaine. È un dettaglio che ha fortemente influenzato la mia vita, perché nasce da lì la mia ossessione per Baudelaire. Fu una folgorazione, non avevo mai letto niente di più intenso e lacerante. Ho cominciato a cercare online materiali, video, traduzioni ed è in quel periodo che ho scoperto su YouTube il Caffè Letterario: lì un certo Valerio Magrelli raccontava il poeta maledetto. È così che ho incontrato anche la sua, di poesia.
Ci penso spesso a questo aspetto: la forza trainante che certe opere poetiche hanno, la capacità di attraversare i secoli e la nostra stessa sensibilità, sino a influenzare le scelte che facciamo…

Valerio Magrelli: Proprio ieri, per caso, risistemando la biblioteca, mi sono ritrovato fra le mani un libro di Viktor Šklovskij, in lui c’è una riflessione splendida, racconta della poesia come di una parola frenata, rispetto alla narrativa, come se il verso avesse in sé qualcosa di rallentato e capace, in questa frizione, di esprimere e sprigionare calore, forza. È questo il motivo per cui certe poesie restano incise in noi, meglio di una pagina di romanzo. Una verticalità assoluta. E poi c’è la formazione: la mia è stata molto particolare, mi sono laureato in Storia della Filosofia, non ho mai fatto un esame di letteratura italiana, ho letto sin dall’inizio autori stranieri studiando due lingue che a scuola non si insegnavano, ovvero il francese e il tedesco. Ho iniziato a leggere i classici italiani solo dopo, intorno ai trent’anni, ma ad un certo punto ho deciso di leggere integralmente l’Eneide e c’è in quest’opera un passaggio molto forte, indimenticabile, quando i troiani decidono di accogliere il cavallo all’interno delle loro mura, creando una breccia. Ne facevo un uso veritativo, oracolare, come si usano i Ching, applicandolo alla mia stessa vita. Succede specificamente per questo tratto caratteristico della poesia, molto simile alla preghiera quasi…

G.B: I classici, con la loro forza, specie se letti in giovane età, hanno davvero la capacità di modellare il pensiero, ispirare un’attitudine. Nel mio caso hanno influenzato anche lo stile stesso della scrittura. Per poi abbandonare anche questo aspetto, perché leggere i viventi, autori e autrici che scrivono oggi e che raccontano il mondo nel quale siamo immersi, è altrettanto fondamentale, concedono un punto di vista creativo che si trasforma in continuazione, in base al tempo e allo spazio, è la storia stessa di tutta la letteratura in fondo…

V.M. Durante i lunghi viaggi in treno che facevo, diretto all’università, per insegnare, ho letto moltissimo, tutto il Tasso, tutto l’Ariosto e parallelamente anche i classici moderni, dunque tutto Fortini, tutto Betocchi, Sanguineti, solo per citarne alcuni. Si tratta di letture massicce, frontali, ma che rappresentano una conoscenza indispensabile, illuminante. Amo moltissimo la narrativa, con una frequentazione quotidiana di romanzi di ogni genere, questo anche grazie a mia figlia, che lavora in un settore molto interessante e che si occupa di tutti quei contatti fra letteratura e cinema. Grazie a lei ho scoperto moltissime autrici che considero già dei classici, come Marilynne Robinson o Rachel Cusk. Sono tantissime le scrittrici di talento, per fortuna non c’è tempo per smettere…

G.B.: La lettura ha un carattere formativo costante, rileggere un libro non è mai un’esperienza identica a se stessa, perché tutto è cambiamento: anche se quelle pagine sono le stesse di sempre, non lo sono mai davvero, si trasformano con noi. Il rapporto simbiotico fra scrittura e lettura conserva qualcosa di ancestrale, racconta molto della nostra finitudine: scrivere è un tentativo per non morire, per resistere, per restare, nonostante la morte…

V.M.: Indubbiamente. Ricordo una bellissima pagina di Maurice Blanchot, lui dice “si scrive sempre per gli altri”, il vecchio mito del poeta maledetto che scrive per se stesso non esiste per questo autore, scrivere vuol dire aprirsi agli altri per definizione, è un gesto tanto privato quanto fatto per la condivisione.

G.B.: A proposito di finitudine, quello che si ravvisa oggi in una certa letteratura è la forte presenza del corpo, di quella parte limacciosa di noi da abbracciare e comprendere. Dunque più pelle e meno lirismo. Il che è molto interessante ed evocativo. Complesso anche. Ma in tutto questo come sta l’editoria? Per noi autrici e autori giovani è spesso difficile incontrare l’editore giusto, anche perché le uscite sono vorticose, veloci, tutto deve essere consumato in fretta…

V.M.: Io ho esordito esattamente nell’80, quasi mezzo secolo fa, ed ebbi la fortuna di essere pubblicato da Feltrinelli. Le collane all’epoca erano sistematicamente aperte alla ricerca, ma anche oggi ci sono ottimi esempi, mi viene in mente la raccolta di Alessandra Carnaroli, 50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti, pubblicata da Einaudi. Il problema è che rispetto al passato ci si arriva al doppio dell’età che avevo io all’epoca. La tendenza dell’editoria a orientarsi esclusivamente verso la vendita fine a se stessa, a cui si aggiungono le pubblicazioni degli influencer, infiacchisce il tutto. Molto dipende dalla presenza del direttore di collana, che orienta le scelte, ma oggi è più difficile, questo bisogna riconoscerlo. Spesso le persone non hanno idea dell’itinerario editoriale di chi scrive versi, pubblicare non è un atto immediato, dietro ci sono anni di gavetta, di studio, letture, è un percorso lungo, nel mio caso durato cinque anni prima di approdare alla pubblicazione vera e propria…

G.B.:Bisogna riconoscere che internet, insieme alla viralità dei social media, ha digitalizzato un certo spazio editoriale e amplificato la visibilità stessa di chi magari non ha mai pubblicato in senso classico, se non attraverso i propri canali digital. Dai blog alle riviste online, la possibilità di espressione ed esplorazione è vasta e molto interessante. Si tratta di strumenti nuovi, fra potenzialità e controversie…

V.M: Sì è così, i social sono strumenti e come tutti gli strumenti possono essere utilizzati bene oppure male, per qualcuno può diventare un canale alternativo, personalmente non sono per le demonizzazioni a priori. Purché non diventi un gorgo o una forma di dipendenza passare il proprio tempo su Instagram. Preferisco la dipendenza dai libri, anzi le tre cose che faccio con più piacere a livello intellettuale sono leggere romanzi, vedere film e serie tv. Hanno un effetto epidermico per me. Proprio ieri sera ho visto Il giardino delle vergini suicide, di Sofia Coppola, un’opera davvero notevole, tratta dal romanzo di Jeffrey Kent Eugenides. Questa è la differenza che c’è fra vedere la televisione e vedere film: è una serata che mi ricorderò anche fra dieci anni.

G.B.: Dal momento che è un appassionato di cinema le consiglio l’ultimo film di Cronenberg, Crimes of the future.Personalmente l’ho trovato straordinario: siamo in un futuro senza data all’interno del quale gli esseri umani sperimentano e subiscono cambiamenti biologici ed organici che innescano processi percettivi strani. E c’è un erotismo di fondo molto conturbante…

V.M: Cronenberg è un regista che apprezzo molto, lo guaderò sicuramente.

G.B.: A proposito di futuro: che succederà fra mille anni?

V.M: Il nostro destino si biforcherà: bisognerà capire se l’uomo rimarrà organicamente quello che è (ed è bellissimo aver citato proprio Cronenberg), o si modificherà con l’introduzione, a livello del cervello, di microchip, protesi o strumenti tecnologici del genere. Ipotizziamo la messa in vendita di una memoria illimitata per l’essere umano e non per il computer. Si tratterà naturalmente di un prodotto elitario, che solo in pochi potranno permettersi ed ecco quindi la divisione dell’umanità, da una parte super uomini, dall’altra semplicemente uomini. Spero non avvenga, ma se dovesse realizzarsi rappresenterebbe un orrore per l’umanità e per la società stessa. Una mutazione organica su base di censo sarebbe una nuova schiavitù, su base clinica e tech. Se invece l’essere umano rimarrà tale spero nell’aumento dei classici. Se da una parte Adorno affermava che “Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto barbarico” anni dopo Mark Strand darà una risposta molto significativa a riguardo, ovvero “Se non si può scrivere poesia dopo Auschwitz, allora non si potrà neanche più fare colazione”. Sono due funzioni dell’uomo ed è una metafora molto efficace. Se l’uomo del futuro non sarà più quello della colazione e della poesia, allora ci troveremo di fronte alla storia di una nuova creatura.

 

Infinite quest by Giulia Bocchio

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