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Chiamami col mio nome: ancora, per 50 volte, per 50 volti.

Chiamami col mio nome, antologia poetica di donne –  Vol.II è ‘il libro delle micce’ come lo definisce Anna Toscano, secondo volume da lei stessa curato per La vita felice e che custodisce il seme di 50 poetesse, rintracciabili, attraverso queste pagine, in una sola poesia.
50 + 50 = Un lampo, un guizzo, una virgola: poetesse e poesia, non serve altro per instillare in chi legge la scoperta o il riconoscimento.
Sono diventate cento.
Le chiama col loro nome Anna Toscano, le ha trovate fra le trame della vita e delle sue letture, e qualcuno ora potrebbe dire: ‘Bene, e tutte le altre?’.
Le altre, che sono la maggior parte, sono ancora là fuori, ma non è un principio escludente, non esiste antologia esaustiva, non esiste un’arca sulla quale chiamarle tutte (e per fortuna vorrei aggiungere).
La cura di Anna Toscano è qui un omaggio alle voci più variegate, voci che non ci sono più, voci che non hanno conosciuto ristampa, voci vive che sanno farsi sentire attraverso l’inchiostro.
Sembra nata per essere letta la sera, questa piccola antologia, o alla fine d’un giorno fiacco, quando si ha l’impressione d’essere pallidi o di non saper più arrossire. Basta aprire una pagina, figlia del caso, e incontrare così un componimento nuovo, un messaggio, un arcano da svelare a se stessi.
Verso dopo verso ci si accorge che la poesia non deve essere decodificazione fine a se stessa, né curiosità morbosa verso la biografia intima e privata di chi quei versi li ha generati: qui non c’è nulla di tutto questo, solo nomi e riflessioni autentiche, svincolate da qualsivoglia catalogazione. Quando è autentica, sa anche essere la più sadica delle arti.
Anna Toscano le sceglie le poetesse, le racconta, accosta loro un termine guida e poi si fa da parte.
Ed eccole, allora, comparire una dopo l’altra: da Alessandra Carnaroli, a Audre Lorde, da Carmen Gallo, a Elisa Ruotolo, da Ilse Aichinger, a Mina Loy solo per citarne alcune.
‘E le altre?’
Le altre sono all’interno di questa antologia densa di temi, sospiri, esalazioni che sanno d’amore, morte, rimpianto e che sono quadri, oppure specchi, a seconda delle percezioni.
A voi, accendere le micce.
Io, nell’aprire pagina, in una di quelle sere pallide o senza più rossori, ho trovato lei, l’immensa, Margaret Atwood.

Mangiano fuori

Al ristorante discutiamo
su chi di noi due pagherà il tuo funerale

sebbene la reale questione sia
se io ti renderò sì o no immortale.

Al momento solo io
lo posso fare e così

alzo la forchetta magica
sul piatto di riso fritto al manzo

e l’affondo nel tuo cuore
c’è uno scoppio lieve , uno sfrigolio

e dalla testa spaccata
tu sorgi radioso;

il soffitto si squarcia
una voce canta Love is Many

Splendoured Thing
tu pendi sulla città sospeso

in calzamaglia blu e mantello rosso,
gli occhi che ti scintillano all’unisono.

Gli altri commensali ti rimirano
chi con stupore, chi solo con noia:

non sanno decidere se sei un’arma nuova
o solo un nuovo spot pubblicitario.

Quanto a me vado avanti a mangiare;
mi piaceva di più com’eri,
ma eri sempre ambizioso.


Di Giulia Bocchio

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