«Poche figure riescon così meschine come quella dello scopritore di fonti, quando costui si manifesti sotto specie di spennacchiatore di corone di lauro. Come v’è una dosimetria pei punti di profitto degli scolari, così, secondo certuni, vi sarebbe una dosimetria circa l’attribuzione delle foglie d’alloro ai poeti. L’epifania delle fonti prova che l’invenzione d’un particolare non è originale? Una foglia di lauro di meno. L’epifania delle fonti prova che un passo non è se non la contaminazione di due o più passi d’altri autori? Altra foglia di lauro in meno. E il malcapitato poeta si tenga soddisfatto se può cavarsela con il sacrificio della peneia fronda; ché di solito si guadagnerà, per soprammercato, la taccia di ladro, di rapinatore, di truffatore dell’umanità.»[1]
Così Mario Praz, ne La carne la morte e il diavolo nella letteratura romantica, difende Gabriele D’Annunzio dall’accusa di essere un mero plagiatore, fa dell’ottima critica letteraria e crea un incipit vivace, brillante e ironico, assolutamente degno di figurare nei manuali di stile – e senza niente da invidiare ai grandi della penna che era solito studiare e ammirare. Questo è solo un piccolo esempio di come questo genio poliedrico riuscisse a essere di tutto (e anche di più): studioso di letteratura inglese e comparata, traduttore, esperto d’arte, giornalista e altro, ma tutto coniugando erudizione e leggerezza, di modo che i suoi scritti si possono ancora leggere – in qualche caso a distanza di molti decenni – con lievità e piacevolezza. Indubbiamente un mostro sacro della cultura a cui fu dedicato a Venezia un convegno nel dicembre 2016 sotto l’egida di tre importanti istituzioni culturali: l’Università IUAV, l’Università Ca’ Foscari e l’Ateneo Veneto di Scienze, Lettere e Arti. Il titolo del seminario era Mario Praz: Voce dentro la scena e gli interventi alle giornate di studio sono stati riuniti nel 2019 in un volume edito da Peter Lang, nella collana Victorian & Edwardian Studies, a cura di Elisa Bizzotto, docente di Lingua e Letteratura Inglese dell’IUAV.
Il volume, in lingua inglese, approccia Praz da varie angolature ed ambiti disciplinari, cercando di tratteggiare un ritratto a tutto tondo dell’eminente studioso che è stato un punto di riferimento per intere generazioni di anglisti, comparatisti, critici letterari e critici d’arte. Molti e accurati gli interventi, preceduti da un’introduzione (a cura di Elisa Bizzotto) che non si limita a essere un antipasto del volume ma fornisce le coordinate spazio-temporali e bibliografiche in cui collocare l’autore, fornendo preziose indicazioni sulle sue opere, le loro traduzioni estere e i saggi che lo riguardano, sia monografici che miscellanei.
Il volume è diviso in tre sezioni: letteratura, arti in genere e autobiografia, ma tali distinzioni, dati i continui rimandi nel testo, non sono da intendersi come rigide e predeterminate – oltretutto perché con Praz sarebbe impossibile farlo.
Il primo saggio, intitolato Word and Image: A Comparison between Two Languages, è a firma di Loretta Innocenti, docente di Letteratura Inglese all’Università Ca’ Foscari di Venezia e si propone di indagare la questione, spesso dibattuta e teorizzata da Praz, della relazione fra letteratura e arti figurative e i suoi rapporti e interazioni con Warburg, Curtius, Wellek, Propp e Croce.
Laura Scuriatti, docente di Letteratura Comparata al Bard College di Berlino, in Modernism and the Baroque: two Strange Bedfellows in Mario Praz’s Œuvre si interroga sulla posizione dell’autore nel dibattito su Modernismo e Barocco a partire da alcuni suoi scritti che hanno come argomento il sedicesimo secolo.
Renzo D’Agnillo, docente di Letteratura Inglese all’Università G. D’Annunzio di Chieti, in Mario Praz: Beauty, Terror and the Artificial Man getta luce sul Praz studioso di letteratura gotica a partire da una sua introduzione a Il castello di Otranto, Vathek e Frankestein per le edizioni Penguin nella quale rielabora alcuni temi già affrontati ne La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica.
La seconda sezione, dedicata alle arti, si apre con Evil Eye: Mario Praz and the Superillustrated Text di Jonah Siegel, docente di Inglese e Co-Direttore del British Studies Center della Rutgers University. In questo scritto, corredato di molte illustrazioni, si ipotizza, da parte dell’eminente anglista, la creazione di un peculiare tipo di libro in cui si ha come un’iperfetazione dell’immagine a discapito del testo – e questo sembra riecheggiare, secondo Siegel, la compulsiva mania collezionistica di Praz stesso.
Praz and the Camera Obscura of Memory, a firma di Angelo Maggi, docente di Storia dell’Architettura e di Storia della Rappresentazione fotografica presso la IUAV di Venezia indaga un aspetto apparentemente marginale della critica dell’autore, vale a dire il suo interesse per la fotografia, che è stata oggetto di alcuni studi nei quali egli paragonava la fotografia alla traduzione, nel senso che entrambe potrebbero mancare di obiettività nella rappresentazione del punto di partenza.
Il contributo seguente, Praz’s Reception of Paolo Veronese: An Intercultural Dialogue di Sofia Magnaguagno, dottoranda di ricerca in Storia dell’Arte alla Ca’ Foscari di Venezia è incentrato sull’ammirazione e la conoscenza di Paolo Veronese e il parallelo tra questi e l’opera di Shakespeare.
Lene Østermark-Johansen, docente di Arte e Letteratura Inglesi all’Università di Copenaghen, col suo Framing Likeness and Otherness: Mario Praz and Wax Portraiture ci introduce nel mondo di una delle tante collezioni del grande studioso che ancora arricchiscono le sale di Palazzo Primoli a Roma: quella di sculture di cera. Lungi da l’essere una eccentrica mania, esse incarnavano per lui, con le loro spesso grottesche rappresentazioni, il piacere estetico non meno di altre opere universalmente riconosciute come belle.
La terza sezione, Forms of Auto-Biography, si apre con un saggio di Guido Zucconi, docente di Storia dell’Architettura alla IUAV di Venezia, dal titolo Unromantic Praz: Anti-Stereotyped Portraits of Cities and Places. In tale scritto si analizza la peculiare capacità di introspezione descrittiva che lo metteva in grado di tratteggiare lo spirito dei luoghi alla stessa stregua di come avrebbe potuto fare se avesse invece descritto persone in carne ed ossa.
Stefano Evangelista, docente d’inglese ad Oxford e insegnante al Trinity College analizza, a partire dalla loro corrispondenza, il rapporto profondo e di reciproca stima tra Praz e Vernon Lee in A ‘Life inside my own Life’: the Correspondence between Mario Praz and Vernon Lee.
Elisa Bizzotto, docente di letteratura inglese alla IUAV di Venezia conclude il volume con un saggio dal titolo Marius the Epicurean, Walter the Medusean: Praz’s Paterian (Self-) Fashioning. In tale scritto si analizza il ruolo che ebbe la figura di Pater nel fornire al giovane Praz un modello di studioso e di critico che non l’avrebbe mai più abbandonato nel corso della sua pluridecennale carriera.
Correda il volume un’ampia bibliografia di testi di e su Mario Praz (e il suo tempo) di sicuro interesse per chi volesse approcciarne lo studio.
Un libro completo, che si propone – riuscendoci – di colmare la mancanza di studi su questo grande intellettuale che non ebbe, sia in vita che in morte, la fortuna critica che avrebbe meritato e che ci si potrebbe aspettare. Un’altra pregevole pubblicazione della collana Victorian and Edwardian Studies, diretta da Francesco Marroni, in cui confluiscono alcune delle più recenti e innovative ricerche accademiche su un periodo di fondamentale importanza nella storia e nella letteratura d’oltremanica.
© Paola Deplano
[1] Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Sansoni, Firenze 1976, p. 329.