Ho capito quattro cose
I.
ho capito che sebbene mi sia estromesso
da me stesso, me stesso continua a vivermi.
II.
ho capito che se non posso averti,
divento te.
III.
ho capito che il mattino è l’ampio buco
praticato sulla notte.
IV.
ho capito che se temo di perderti,
ti uccido.
i corpi nel loro ciclo aspettano
di rigenerarsi come alberi d’inverno –
il bambino invece marca sempre la stessa tacca,
alto quanto una siepe, la faccia come la neve.
forse questi rami invernali compiono segni
che qualcuno sa leggere, che angeli riproducono
per aprire oculi del cielo, voltando il pomeriggio.
forse la polpa fa parte del frutto come il seme,
come la cenere, il sole che fa scomparire il lago
nel suo bacino.
Forse i corpi seguono il ciclo
del marmo che è ancora marmo, anche se
non lo è sempre stato.
la mia anima è il mio vedere
e se qualcuno vede intorno a me
e viene visto vedere da me,
è allora che io non sono al buio,
che noi non siamo al buio
e siamo un paesaggio.
allora vedere è non solo avere un’anima,
ma anche non far finire il mondo,
perché dove non finisce lo si dimora.
con il mio vedere e la mia anima –
che sarebbero la stessa cosa –
io mi sento una casa più che un abitante,
ma le case rimangono abbandonate.
io non sono una casa,
io dovrei essere un uomo.
il pensarsi è una pigrizia,
la verità è un posto.
mi sono visto dentro il ghiaccio,
come scomparivano gli alberi autunnali
svaporando sinuosi.
da dentro il ghiaccio la vita è un adesivo.
non a dio o al mio bio-padre,
piuttosto pensare al perché
tu mi hai abbandonato –
dove te ne vai?
so che sei ancora lì,
da qualche parte
MIO ME STESSO.
——————————–so che
ti ha stancato il cervello
e il corpo insoddisfatto
e il destino insoluto.
sei sempre ciò che sei,
incauto impeto occhialuto – ti amo anche se perso.
stupido strabico bambino buffo,
dove te ne vai scalzo?
il fiume taglia le caviglie
e i pini fanno ferite
e il cielo nulla regala –
la scrivania è ancora piena di coincidenze
mandate all’aria –
torna a casa, torniamo a divertirci,
diventiamo ciò che siamo.