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Carlo Gregorio Bellinvia, Tre poesie da “Omissis” (Arcipelago Itaca 2021)

 

Nome

Persona, non ti so aiutare.

Non ho per te un salvagente
né altro vestito
d’emergenza

– non ho mai festeggiato
un matrimonio –

ti scorgo appena
e neppure ti conosco

però ti do un nome qualsiasi,
facciamo così

ti do un nome,

un nome che ti possa aiutare anche
in futuro, nel mondo.

Ma, sai, un nome alla fine

è soltanto un manico
con cui si dovrebbe

poter afferrare al bisogno

il tuo viso, che ora torna nel nulla
tra i ricambi di iddio,

per cui ti do un nome

visto che là i nomi
dei nostri compagni volano

via, sono stati cuciti

male, un disastro
di madri e padri che non hanno

legato bene i nomi
ai corpi dei figli, così

non si fa, così i nomi
salgono e i corpi

affondano, madri e padri

che hanno fatto male il loro
lavoro di datori di nomi.

 

 

VI. orca

L’orca ha quindi trascinato la donna prima sul fondo e poi per tutta
la piscina in una sorta di macabra danza della morte.
Corriere della Sera

Indossa così bene
il bene, nella sua pelle bianca

e nera talmente morale per tutti, dove
il bianco, di più sul nero,

mostra tutto l’equivoco
del sacro. L’orca è un problema.

Soffre l’abuso sulla pinna

divenuta pennello
vivendo in quell’acqua bassa

e breve.

Anche così, poco prima
di scattare, l’orca

rimane poco dietro se stessa,

in linea col sorriso. Quando
poi striscia sul bordo

lo fa completamente truccata: pare
una geisha ad aprire

il suo mondo-kimono, giusto

per intrattenere l’ospite,
nella cerimonia

dei tuffi per i cerchi.

I comportamenti fedeli all’uomo

sono pari all’erba alta
e secca che scherma

i felini nella savana

dalla preda. L’addetto
che imbocca l’orca col becchime

insiste ad alimentare

ambedue le umiliazioni.

 

 

XIX. orsa

L’orsa JJ4 non sarà abbattuta.
Il TAR di Trento: non imputabile.
Imputabile non al comportamento
problematico di un singolo orso
ma a un più ampio problema di gestione
della convivenza con gli esseri umani.

Forse l’agnello,
mentre lo sforma la bocca

dell’orsa, avverte in un attimo
la pecora che più non sarà,

e forse l’orsa
già sente di ritornare
all’identica orsa

di pochi istanti prima,
così simile al peluche,

abituata a sentire nella preda

quel minimo di invasione
e poi di crescita
e di posto preso: difficile

disegnare alla de Saint-Exupéry
quelle mostruosità

semplicissime. L’orsa
torna al bosco,
tra gli zaini dei ghiri

agli alberi e cappelli

svelti di passero. Poi

le infrastrutture
sempre in corso del sangue

ovunque, e il buio
come educazione

e ricarica di vita
irresponsabile.

 

© Carlo Gregorio Bellinvia, Omissis, Arcipelago Itaca 2021

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