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Ripelliniana #2: I continenti cui appartiene la Groenlandia (a c. di C. Turchi)

Uscite quest’anno a poco tempo l’una dall’altra, Fantocci di legno e di suono a cura di Antonio Pane e l’edizione commentata di Lo splendido violino verde a cura di Umberto Brunetti sono opere che arricchiscono la bibliografia di Angelo Maria Ripellino sul duplice fronte della produzione critica e poetica. Entrambi già curatori ripelliniani per l’opera in due volumi Iridescenze. Note e recensioni letterarie (1941-1976) pubblicata lo scorso anno per i tipi Aragno, i due autori propongono oggi nei rispettivi lavori focus differenti anche per la cronologia: uno sulla gioventù del Ripellino studioso e uno sulla poesia della sua maturità.


I continenti cui appartiene la Groenlandia
Recensione di
Angelo Maria Ripellino, Lo splendido violino verde
A cura di Umberto Brunetti
Con due scritti di Corrado Bologna e Alessandro Fo
Artemide 2021

Ci sono opere del nostro passato recente che, seppure rilevanti, per via del loro carattere eccentrico hanno tutt’oggi difficoltà a entrare nella storia della letteratura: soprattutto se questo carattere è determinato da una complessità poliedrica piuttosto che dalla bizzarria, esse consegnano il senso di una unicità stratificata la quale con fatica viene ammessa in quel particolare tipo di panorama, spesso inteso a costo di semplificazioni e riduzioni nel modo più unitario e coerente possibile. L’opera poetica di Angelo Maria Ripellino è una di queste. Si inserisce dunque nella prospettiva di riparare questa mancanza l’esemplare commento di Umberto Brunetti alla raccolta Lo splendido violino verde (Artemide, pp. 301, € 30,00), accompagnato da due scritti di Corrado Bologna e Alessandro Fo: prendendo le parti del poeta nella dialettica tra i ruoli di cui l’autore già esplicitamente soffriva, l’edizione è volta a ristabilire per la figura di Ripellino, attraverso la puntualità dei riferimenti, quella profondità artistica che – pure nel confinamento alla dimensione dello slavista, grave per lui come il peso di una condanna – anche le sole traduzioni dovrebbero far sospettare; sconfessando infine, proprio con lo studio dei suoi versi, quegli autoironici ma di certo non confortanti presagi contenuti negli stessi.
Seppure in vita e dopo l’esordio sia stata edita per editori di primo piano, nonostante oggi sia stata raccolta integralmente con due distinti volumi presso Aragno ed Einaudi e abbia ricevuto con importanti e significativi contributi un «inquadramento critico generale», la poesia di Ripellino – ancor più della sua prosa – non trova infatti un posto «nel canone del nostro secondo Novecento»: ma, sebbene la ricezione della sua sfaccettata opera sia stata frammentaria, la sua poesia è invece singolarmente capace di restituirne l’organicità, come cogliendo all’origine il moto che si incanala poi nelle diverse attività, mentre con la propria originalità spontaneamente entusiasma i suoi claquers. È superando la diffidenza e i pregiudizi borghesi verso le identità non schedabili, vizi del pensiero stigmatizzati in replica al disagio che provocavano già nella silloge La fortezza d’Alvernia e altre poesie e in questa con il botta e risposta in due strofe che comincia con fare inquisitorio «Lei è poeta? Allora non è scrittore. / Ma se è critico come può esser poeta?» (p. 208, vv. 1-2), che lo studioso potrà introdursi nei testi alla scoperta del loro valore letterario, farli allora «ancora sonare […] almeno un rigo».
Così fa Umberto Brunetti, come è comprovato dall’introduzione, in ogni singola scheda e nota del commento. Recuperando dalle «agende multicolori», manoscritte, gli avantesti di «ben quaranta liriche del Violino» in mezzo a «una vastissima mole di note riguardanti letture, saggi in preparazione e numerose divagazioni», egli si porta al centro di una rete intertestuale fittissima. Gli eventi culturali e le occasioni personali, le analisi e i ritagli di giornale, le traduzioni versificate e le letture riportate negli appunti, tra redazioni in prosa, abbozzi oppure singoli testimoni di una idea germinale consegnano in chiaro lo schema di rimandi e cripto-citazioni su cui è fondato l’immaginario condensato nella raccolta. Insieme di coordinate presupposte all’itinerario, gli appunti di Ripellino – uniche tracce superstiti alla prassi distruttrice dell’autore – fungono per Brunetti da puntelli con cui poi spiegare «l’intera carta del mondo» (p. 135 v. 3) che Lo splendido violino verde contiene; ma non sono gli unici strumenti. L’analisi della raccolta – scelta come esemplare di maturità stilistica e tematica – prende in considerazioni le convergenze che presenta con gli altri scritti di Ripellino e con la storia della sua epoca, il sentimento che l’autore aveva nei confronti della cultura di questa; attraverso lo spoglio linguistico e metrico, di figure retoriche e di suono, puntualizza i legami con la tradizione poetica italiana recente e passata, similmente con la letteratura europea tutta, con l’arte musicale, teatrale e figurativa – dunque il suo posizionamento, la poetica che entro differenze e prossimità esprime.
Impossibile, a questo punto, dopo aver letto il commento di Brunetti, non ammettere lo stupore che coglie riguardo alla marginalità della poesia di Ripellino, alla sua assenza nella tradizione del Novecento. Si proverà a ragionare i motivi di tale stupore. Lo splendido violino verde ha una trama simbolista, di un simbolismo assunto come base strutturante generale, come sistema organizzativo attraverso cui altre tendenze si realizzano, prendono forma e senso specifico. Se il debito ascendente fino a Baudelaire è ad esempio patente anche solo nella lirica conclusiva, l’analisi condotta da Brunetti a partire dallo spoglio linguistico, poi con gli accordi di temi e di stile, mostra come l’attuazione delle ascendenze e delle peculiarità avvenga per mezzo degli esiti del Novecento italiano, Montale in primis, considerati a tutto tondo e così attraversati (si veda Introduzione, 9. Ripellino e il Novecento pp. 58-63). «Lo splendido violino verde è l’opera poetica che maggiormente mette in luce anche le numerose affinità tra Ripellino e Montale», ci dice infatti Brunetti, e più volte si incontra la coeva Satura – forse proprio consultando questo interlocutore si potrà intravedere qualche motivo della mancata fortuna della poesia di Ripellino, gli stessi per converso di una sua rivalutazione. Il dialogo, se non certo, date le ricorrenze è almeno più che ipotizzabile; e se un concerto è possibile tra violino e corno inglese, si vedrà nell’assolo del primo lo spettro di una alternativa a quello dell’altro: facendo ricorso ai precedenti Ripellino sembra trovare il modo per acclimatare soluzioni altrimenti estranee a quel modello di lirica, quindi produrre nuove modulazioni, ridarle vitalità proponendo un registro di toni diverso da quello che in Satura già tendeva al tipografico – e nei postumi sarebbe diventato oleografico.
Lo splendido violino verde apre e chiude le sue scene con un sipario, il poeta è sul palco e si esibisce in un varietà che alle noie ricambia con mortaretti, ai nani da giardino oppone crochi e limoni: oggi lo si può leggere come uno Sprechgesang accompagnato e corredato da note che ne approfondiscono la valenza.

© Costantino Turchi

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