Franco Costantini
Inediti
Nota di Fabrizio Bajec
Tra le poesie più recenti che mi è dato di leggere, di questo giovane poeta italiano, ve n’è una i cui ultimi versi dicono: «perché lasciare un’isola non è mai facile/ e ritornare ancora meno;/ a precipizio i fondali la proteggono, il mare/ non ama i progetti e le iniziative;/ il primo sbarco è sempre un dono».
L’isola greca dei componimenti che riportiamo più in basso – mai nominata esplicitamente – ha il ruolo di una seconda patria per il poeta, o forse invece di una dimora dove nessuno ci chiede di rimanere o fare progetti per il futuro. Percorrendo i testi di questo che è senz’altro tra i più dotati autori di versi dell’ultima generazione, ogni investimento, impegno, o legame si sfarina ancora prima di prender forma. C’è una bizzarra fatalità in atto, che potrebbe essere quella della mitologia risorta e decostruita subito dopo, bizzarra perché è comunque frutto della più consueta operazione postmoderna, eppure non è meramente ironica (distante) bensì malinconica. L’io poetico è messo fuori gioco, evacuato da un diario in cui sono stati cancellati gli odiosi pronomi io e tu, e dove rimangono solo i fatti quotidiani, ineluttabili, nudi, colti da una magica precarietà, anch’essa antica e ottusa (le descrizioni di Ritsos). Questo diario di bordo risponde a un’esigenza di distanza. Personalmente mi sovvengono alcune poesie di viaggio in oriente di W. Cliff, estranee alle letture di Costantini e inusualmente fuori da qualunque metrica. Tutta la distanza, dicevo, che occorre all’autore per finirla con ciò che lo lega al continente e di cui non è precisata la natura. Meglio aspettare i frutti della pesca o quelli della terra, onorare indirettamente la raccolta primaverile e non parlare con i passanti, solo ascoltarli. Costantini, dopo aver superato presto il manierismo della prima silloge pubblicata quest’anno, sceglie di non sproloquiare. Sembra solo vivere quel che accade sull’isola, narrarlo senza commenti. Le forze della natura, del giorno e della notte, si occupano già di dare al lettore le circostanze dei minimi accadimenti (discese, salite a dorso d’asino, immersioni, approdi marittimi). Molti prima di lui hanno giocato seriamente con il patrimonio culturale ellenico (Seferis su tutti), con la satira e l’understatement del più tardo Titos Patrikios. Costantini non teme di praticare quella strada (decisamente scoscesa), ma lo fa nominando sentimenti anche più profondi, come l’amore, senza sminuirlo, e con una purezza di sguardo, inaspettata per qualcuno che si ritira. Perché è proprio come se, nonostante la giovinezza, questo poeta avesse quasi deciso di ritrarsi, di non partecipare al grande spettacolo. Assistiamo invece al monotono passaggio delle ore, davanti all’imperturbabile sfondo mediterraneo, con una narrazione secca e personaggi che deambulano o rimangono statici (e statuari). Per sottrazione, intuiamo che qualcosa di grave o di troppo pesante è accaduto altrove, in qualche patria che non è più patria. Di qui l’interesse di questa voce riservata, che non svela il proprio mistero. (F.B.)
L’asino bianco
Ho rivisto il vecchio
che scende dal sentiero sull’asino bianco
la sigaretta tra i denti
e la barba scura.
Ci salutiamo,
non è cortesia ma riconoscersi.
Ha la faccia di Peleo
e un figlio lontano,
dopo il mare,
smemorato a volte ma simile a lui.
L’asino è dolce e fedele
e custodisce i loro giorni
in un’anfora dorata
ma non tiene il conto,
li inanella alla rinfusa
come in un amore ancora verde.
L’inverno triste corteggia monti
e gole, costeggia l’isola e ci guarda
come una murena.
Tra il vecchio e l’asino
un filo di perline colorate, parole
chiare, che il sole smalta
da capo ogni giorno.
Le domeniche ci assediano.
Synkomidis
I giorni si assomigliano
ma c’è un inganno
e la notte è un gioco
a carte scoperte.
Sull’isola crescono solo
erbe aromatiche, origano,
salvia, timo e artemisia, pianta
apocalittica; a novembre
ci sono le olive e uomini e donne
lavorano tutti i giorni,
anche i più taciturni, anche i più
ben vestiti.
Ma di lavoro non si parla mai: solo
di ricordi e desideri.
Arriverà la Pasqua
febbricitante
e come una grata
si passerà attraverso, ripuliti.
Tra le reti per terra
si sta seduti
e si parla e si fuma
durante la pausa, sotto
agli olivi e in mezzo alle capre
che non ci capiscono ma a volte
ci amano e l’amore tra gli uomini
occupa tutti gli spazi
e resta taciuto.
Palinodia
Non è vera questa parola
non sei salita sulle navi dalle belle chiglie,
non sei mai giunta alla rocca di Troia;
un’immagine tua lo ha fatto,
placida come sogno, ermetico
amuleto, e non mangiava mai
e non parlava ed ondulava d’oro
tenue e di barbaglio.
L’ho vista ancora ieri
smarrita sulla spiaggia
contemplarsi il braccio.
Ma è dunque per una nube
che abbiamo sofferto tanto?
Idea
La luna è bassa sulla
baia, e rossa.
Il vento sa di origano
e di menta, svuota la valle
e spazza gli angoli.
C’è qualcosa
dietro la montagna bianca:
un terremoto, ma non si sente nulla, solo
l’urlo lontano
di un asino solo.
Una fata vestita di giallo
con la faccia da libellula
visiterà domani l’orto,
come ogni mattino;
la sua benedizione
accompagna i pomodori.
Il coltello sulla tavola
brilla con luce di pugnale,
poi l’ombra lo nasconde.
Chissà poi se è vero
che il tempo finirà.
Perseo
Visse felice a Serifo
i suoi primi anni,
e pagò cara
una spacconata,
prima che inacidisse l’uva.
Accumulò molti oggetti straordinari,
affermò la potenza del sole e
di chi domina,
lavorò, come tutti,
per compiere i destini di altri.
L’arco della sua vita
fu il punto cieco di una
rivoluzione,
l’incomprensione del ciclo.
Per dormire
nelle angosciose notti,
gli bastava trovare un angolo buio,
avvicinare all’orecchio
una conchiglia.
Franco Costantini è nato a Genova nel 1990. Ha studiato lettere e attualmente insegna italiano e si occupa di poesia medievale. Dopo aver vissuto a Siviglia, Bologna, Salonicco e Strasburgo, si è stabilito a Parigi dove risiede e lavora da sei anni. Alcuni suoi testi sono apparsi su riviste francesi e italiane. Scorporare è la sua prima raccolta poetica, edita da Transeuropa nel 2021.