Laura Freudenthaler, Anne e i fantasmi.
Traduzione di Paola Del Zoppo
Voland 2021
Il titolo originale scelto da Laura Freudenthaler per Anne e i fantasmi è Geistergeschichte, ovvero “Storia di fantasmi”. È un titolo che introduce immediatamente chi legge nell’universo ‘parallelo’ di storie spettrali e di spettri (fantasmi, visioni, immagini moltiplicate, ripetute e rovesciate in un gioco di specchi) di storie. Si tratta di un ampio universo letterario, nel quale le percezioni e le rappresentazioni si caricano di significati profondi e colpiscono con più di una scarica elettrica, ma esso è, altresì, un universo dilatato dalla cultura cinematografica, elemento, questo, presente in più di una ‘sequenza’ di questo romanzo e, in particolare, nella pila di fogli tenuti insieme da una rilegatura di metallo a spirale, sulla cui copertina si legge “La donna senza nome” e, scritto con caratteri più piccoli, “Sceneggiatura”.
Indizi, illuminazioni, svelamenti improvvisi e progressivi sono distribuiti tra le pagine dei brevi capitoli che compongono il romanzo. Le frasi che Laura Freudenthaler sceglie per costruire la sua storia sono anch’esse brevi e hanno come soggetto prevalentemente Anne, una donna francese che vive da tanti anni a Vienna, che ha scelto di prendersi un anno sabbatico per potersi dedicare alla stesura di un manuale per lo studio del pianoforte (Anne insegna in una scuola di musica, dove dà lezioni di piano). In alternativa, il soggetto delle frasi è Thomas, il marito di Anne, la distanza con il quale sembra risalire a qualcosa di più esteso e insondabile della crisi di una coppia di mezza età. Appare inoltre, come soggetto delle frasi, una misteriosa ed evanescente «ragazza», che non viene chiamata per nome e sulla cui identità – e differenziazione da altri soggetti, quando ancora non si tratti di contrapposizione – non ci si sofferma oltre, o, per essere più precisi, con la cui identità si gioca una partita non priva di rischi anche per chi, come Anne, si propone di apprendere qualcosa circa gusti, abitudini e ‘pretese’ attraverso gli scontrini fiscali accumulati nelle tasche di Thomas, tasche che Anne controlla con una minuziosità anch’essa inquietante.
La corda dell’indefinito, della vaghezza viene tesa quasi in maniera spasmodica e questo avviene innanzitutto con strumenti linguistici; c’è da notare che, accanto ai verbi che indicano movimento, sia per gli oggetti che sembrano stranamente cambiare di collocazione durante le assenze di Anne dalla casa, sia per gli itinerari di quest’ultima tra le vie della città, prevalgono i verbi che abbracciano la sfera visiva. L’oggetto sovrano del vedere, come ben fa notare Paola Del Zoppo, autrice della traduzione e di un ricco saggio, è la casa, “La casa degli specchi”, come recita il titolo del contributo posto a conclusione del volume.
Accanto agli strumenti linguistici, sono presenti annotazioni ‘metalinguistiche’ che aprono ulteriori interessanti piste esplorative. Non è solo Anne ad avere un’altra lingua materna rispetto a quella del paese in cui vive, ma anche Thomas, suo marito austriaco, non è ‘a casa’ nel tedesco. La sua lingua materna è difatti il dialetto, con cadenze, coloriture e soprattutto locuzioni diverse. Dove si colloca, allora, la vera casa, quella rappresentata dall’idioma, per Anne, per Thomas, per la “ragazza”? Come mai i ricordi della casa della madre di Anne in Francia sono di stanze ingombre di oggetti, in un insieme senz’altro poco accogliente? Come mai i suoni dall’infanzia di Anne sono un bisbiglio al di là della parete? Dove si colloca, tra immaginario, affetti e ‘reale’ dimora, la casa sul lago? Leggere Anne e i suoi fantasmi è non solo un viaggio di scoperta di una scrittura che ha senz’altro tratti in comune con la prosa di altre narratrici austriache (con la scrittura di Ingeborg Bachmann – il racconto Tre sentieri per il lago e il romanzo Malina –, di Ilse Aichinger – oltre a Meine Sprache und ich, “La mia lingua e io”, suggerisco la lettura di Spiegelgeschichte, “Racconto allo specchio” nella traduzione di Floriana Colabattista – e Marlen Haushofer – La parete –, Elfriede Jelinek – Le amanti e La pianista – certamente molto di più che con la scrittura di Veza Canetti, Maxie Wander e Ruth Klüger), ma è un viaggio di raccolta di domande, molte delle quali sono lasciate ‘aperte’, così come aperte, e fertili regioni per indagini future, restano le questioni relative ai richiami a due scrittori austriaci, a Bernhard, di cui il marito di Anne porta il nome, Thomas, in particolare per aspetti concernenti la distinzione e la coesistenza di varietà linguistiche, e Arthur Schnitzler, che in Doppio sogno colloca l’inizio del sogno di Albertine proprio nella villa sul lago Wörthersee, lo stesso lago che nel racconto di Ingeborg Bachmann si carica di molteplici valenze.
© Anna Maria Curci
Anne si chiude la porta di casa alle spalle, appoggia la borsa sullo sgabello, guarda il telefono e lo rimette nello scomparto laterale. Si è abituata alla percezione del guizzo con la coda dell’occhio, a volte però si spaventa comunque, se appende il cappotto e qualcosa svanisce varcando la porta del soggiorno. O quando si gira e le sembra che la porta della stanza di Thomas, poco prima ancora aperta, venga chiusa in fretta. La porta della stanza di Thomas, però, è chiusa da tempo. In cucina, mentre lava le poche stoviglie che ancora vengono usate, percepisce uno scricchiolio. Chiude l’acqua, tiene il piatto nelle mani bagnate, poi si guarda alle spalle. Non sa in che posizione fossero poco fa le sedie attorno al tavolo. Senza volerlo, in soggiorno posa lo sguardo sull’ultimo scaffale, dove tiene le scatole con le fotografie. Una scatola sporge dalla base del mobile. Anne si avvicina e la spinge indietro con il piede, o forse no. Capita sempre più spesso che lasci le cose come stanno. Perlopiù non è in grado di dire con precisione come stessero prima. (p. 69)