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Con il lapis #9: Sonia Caporossi, Taccuino della madre

Con il lapis #9*

Sonia Caporossi, Taccuino della madre
Prefazione di Cinzia Marulli
Edizioni Progetto Cultura 2021

 

*Con il lapis raccoglie brevi annotazioni a margine su volumi di versi e invita alla lettura dell’intera raccolta a partire da un componimento individuato come particolarmente significativo.

 

 

rabbia

quando mia madre si arrabbia
dapprima il suo spirito pacato canta
come una pioggia d’acciaio
le note la trafiggono e sembra goderne di rinnovata lussuria
finché la libertà la coinvolge in lui

ma succede che lo spartito
delle sue frasi dimenticate
decide di cadergli dal leggio della coscienza
e subito emette un “cristo!” stridulo

così di nuovo il mastino che ha in sé
morde la ragione e la dose
giornaliera d’adrenalina che prende
la porta di nuovo a piegare
nella selvaggia overdose
l’acciaio della pioggia che la
trafigge

(p. 11)

 

Per più di una voce – il pensiero corre immediatamente a Hilde Domin –, la morte della madre ha rappresentato l’inizio della poesia. In Taccuino della madre Sonia Caporossi raccoglie ventuno componimenti nei quali, come ben fa notare Cinzia Marulli nella coinvolgente Prefazione, emerge “la parola nuda”. Spogliata, illuminata da una lancinante trasparenza, la poesia si manifesta, scorrendo, articolandosi e depositandosi, come un corpo di fondo, come parola scandita con precisione, come «pioggia d’acciaio» (là dove emerge, ai miei occhi, il richiamo al libro di Ernst Jünger In Stahlgewittern) che tempesta e trafigge, che rinnova il conflitto aspro tra lo «spirito pacato» e il «mastino» che perdura e urla dentro. È una “parola nuda” che ritrova l’irriducibilità dei vizi capitali, riportati qui nel loro trascinante e permanente attacco. Attacco a chi? Taccuino della madre racconta di una donna, la madre «mentre/ su di lei/ l’attrazione sensibile del  male/ per l’incidente del martirio/ di un matrimonio stanco/ di una vita non sua» (identità), con fotogrammi (convalescenza) e sequenze narrative (la fraschetta; primo bagno dopo la malattia); racconta altresì di un’altra donna, della figlia, del suo sollevare il velo sia sul dolore antico – «non anelavo certo al calore della sabbia/ non all’asprezza infetta delle ginocchia sbucciate// desideravo alle spalle soltanto le carezze/ che priva d’interesse mia madre non mi dava» (ricordi d’infanzia) – sia sull’accompagnamento alla soglia che si rinnova come reiterato presente, con «l’accidia/ del sapermi impotente» (come un corpo di fondo). L’attacco dei vizi capitali ha dunque almeno due obiettivi. Ma Taccuino della madre va oltre, si rivolge a ciascuno e sembra dire, nel tornare al fondo dell’esistenza, il dolore, ciò che Iggy Pop e Michel Houellecq ribadiscono nel film documentario Restare vivi: un metodo: “Non abbiate paura: la felicità non esiste”. (Anna Maria Curci)

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