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Francesco Lorusso, Maceria

Francesco Lorusso, Maceria
Prefazione di Giacomo Leronni
Arcipelago itaca 2020

I quarantasei componimenti che compongono Maceria, scritti in un breve arco di tempo che si colloca in epoca anteriore alle raccolte di Francesco Lorusso che ho avuto modo di leggere e recensire (tra queste, L’ufficio del personale, La Vita Felice 2014 e Il secchio e lo specchio, Manni 2018), costituiscono un insieme nel quale sono riconoscibili tratti comuni e caratterizzanti, che vanno oltre le varietà di metri nei quali si dispiega il verso. La visione di un paesaggio, nel quale l’intervento umano, intervento non di rado di spogliazione e di deprivazione, prevale sull’elemento naturale, si accompagna a un ricorso sistematico – e funzionale alla resa di un paesaggio abbacinato e denudato – all’allitterazione, come mostrano esemplarmente i versi del componimento n. 7, con un alternarsi di allitterazioni in v, in t, in s, in p e in r:

Tutto il tratto si volta di scatto
tra le volute dei volantini lividi
mentre passa immesso nel suo ciclo
retto sul periodo sempre lineare

I testi cercano addirittura, così sembra, l’attrito, la punta spigolosa, la superficie ruvida, scabrosa. La sensazione opposta – la superficie liscia – è associata alla desolazione dell’asfalto. Opposizioni cercate con cognizione degli strumenti, dunque; nello stesso tempo, in componimenti come il n. 5, tra i miei preferiti, la luce dello sguardo sul sé-nel-mondo si fa strada, un prodigio che è, sempre, il prodigio della parola-poesia:

Le strade aperte sul petto delle camicie
ti ritrovano senza rughe sempre ramingo
in questo gioco di carezze e dolori

sono le case che si addossano fra loro
presso un incrocio intermittente
che solitario si precetta e perde

La «maceria» assume allora il ruolo che le rocce avevano nei “paesaggi artificiali” dell’arte dei giardini in Giappone. Messo a parte, edotto sulla “dottrina segreta delle rocce”, l’autore le dispone per indicare o, ancor più precisamente, illuminare il corso del pensiero pur in un’esistenza riconosciuta come sconnessa. La seconda quartina del testo n.40 ne è un esempio:

Sulla farina fine dei muri
l’ansia si concede il tragitto
e indaga un piano inutile
contro i minuti del mattino.

Pietra che si dispone – a resistere -, pietra che si oppone alla disgregazione e che, anche quando è frantumata, resta, testimone ed elemento di ri-costruzione.

© Anna Maria Curci

Una replica a “Francesco Lorusso, Maceria”

  1. Ringrazio Anna Maria Curci,
    per l’interesse che continua a mostrare, con le sue attente letture, ai miei lavori.
    E mi complimento per la sua capacità di puntare direttamente al verso e porre in evidenza il vero dire del libro: Pietra che si dispone – a resistere -, pietra che si oppone alla disgregazione e che anche quando è frantumata, resta, testimone ed elemento di ri-costruzione. Ottima sintesi.

    Un saluto a tutta la redazione di Poetarum Silva e a tutti i suoi Lettori.
    Francesco Lorusso

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