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Chiara Catapano, Come parola sospesa: 1 recensione per “11 luoghi” di Ioulita Iliopoulou

Come parola sospesa. Periplo intorno alla poesia di Ioulita Iliopoulou: 1 recensione per 11 luoghi
di Chiara Catapano

11 Luoghi per 1 estate
‘ύψιλον/βιβλία, 2006

Ogni qual volta traduco i versi di Ioulita Iliopoulou, mi pervade un senso di profonda riconoscenza. Mi muovo tra parole che hanno una loro posizione precisa nella costellazione del linguaggio; ma sono, appunto, luci di galassie che appaiono vicine sullo sfondo nero della memoria, per effetto della prospettiva inversa attraverso cui gli artisti bizantini dipingevano le icone. Florenskij la chiamava “porta regale” (oso qui accostarla al Toriι giapponese, la porta sempre aperta nel mondo, che trasfigura il visibile, avvicinando l’invisibile); perché in fondo, il cielo stellato altro non è che la manifestazione più visibile di questo mondo – apparentemente – rovesciato, dove l’illusione della prospettiva si annulla, illuminando la notte del ricordo che vacilla continuamente nell’abisso della dimenticanza. Eppure qualche stella che palpita di luce, ricorda…
Ci ricorda che abbiamo dimenticato, che la nostra natura è il filo sospeso tra perdita e memoria.
Su questo filo Iliopoulou modula i suoi versi, come pentagramma luminoso. E la distanza tra due parole, solo apparentemente piccola, presenta sempre il rischio di perdersi in distanze siderali; il discorso si ricompone sempre, come nell’icona, annullando lo spazio tra visibile e invisibile. O come diceva Elytis, «La distanza del nulla all’impercettibile è molto maggiore di quanto non sia dall’impercettibile al molto».
Bene, ma questo filo invisibile, di che materia è fatto? Come possiamo riconoscerlo se non si manifesta alla vista?
Forse, dobbiamo ammetterlo, in questo periodo di esasperazione d’immagini, abbiamo sopravvalutato un senso, silenziando (nella migliore delle ipotesi, nella peggiore licenziando) gli altri. Così leggiamo in 11 luoghi per 1 estate:

LUNA NUOVA

[…]
Meno e sempre meno luce
Sposta le pietre, le macerie:

Case con solo la loro soglia
Case perdute dentro i sogni
Ma nel mezzo si sentono i passi
Attendendo da secoli – case – nuovi inquilini

[…]

E poi:

COME CULLA

[…]
Sempre più e più silenziosamente
Una melodia invisibile
Che suonavi
[…]

*

Come suono intatto
Reggi una mia lacrima

Chiunque sia colpevole
Non parli

Ora che il luogo
È la musica

E invisibili, ma bambini
Dormono i miei sogni

[…]

Tutti i luoghi di Iliopoulou (luoghi reali, dipinti nei colori delle icone) si creano nel ritmo segreto del sogno, del sonno, il ritmo contrario dei sonnambuli: dei camminatori del sonno. E diventano più reali, perché svaniscono in noi gli interstizi, le concrezioni dell’inutilizzato esistere. Il sogno non distorce, né riproduce la realtà: azzera le distanze tra reale e vero.
La lingua greca conserva l’eco del legame che, migliaia di anni fa, gli esseri umani percepivano al di là dell’occhio – ce lo ricorda Sofocle nel suo Edipo a Colono:

Edipo – […] Ma apro occhi illuminati, io. È ora. Presenza di dio mi sferza. Devo andare in quegli spazi. Non posso più distrarmi. Figlie, qui, dietro i miei passi! Luce nuova, su di me: sono io pilota, come foste voi, a me. Fatevi vicine. No, via quelle mani. Fate che ritrovi io, io solo il mistico rialzo dove io, Edipo, mi coprirò di terra. È qui, fatale punto! Di qui, adesso, venite. Sento una forza. È Ermes, la mia scorta. È lei, la dea profonda! Luce del mio nero! Ricordo, tu m’apparivi, allora! Questa è l’ultima carezza sulla faccia, sulle mani. Vado. È ora. Annegherò nel nulla l’ultimo respiro. A te, che ormai sei famiglia, alla tua terra, alla tua gente che ti segue, dico: dio vi baci, e nella vostra gloria non scordatevi di me sepolto, nel ritmo della gioia.

C’è una nota che desidero aggiungere, fondamentale a mio avviso, per comprendere meglio questi passaggi. Forse non risulta immediato neppure a chi conosce il greco; bisogna andare alla radice.
La radice di “vedere/apparire” e “suono/voce”, in greco, è la stessa: φν/fn. Due consonanti viaggiando nei secoli, sono giunte e ancora sono in viaggio, filo invisibile di cui parlavamo, filo vibrante di suono e luce.
Leggiamo ancora nei versi di Iliopoulou:

Suoni che lo scuotono il buio
Da ogni dove
Bucano la notte che resuscita angelo ciano
Il lupo del cielo che urlava e giungeva tempesta

[…]

E ancora:

Il vento s’offusca
E apre lento il petalo
Nella notte – la sorte

Una sillaba dopo l’altra gli scranni
Mutando
Fino in cima al teatro vuoto
Sulla luna
Svanendo una scala d’edera
Le urla convulse di antichi amori
Dentro il sordo – ove mi sorreggi – batticuore
Sssst… Ascolta…

E ancora:

Colori improvvisi s’approfondano
E umidi come gli occhi
Sempre s’avvicinano…

Un filo incandescente che tira
Falco di carta dei suoni
Ascolta – il tuono

E s’inquieta
Il lago senz’onde
Il lungolento dondolio di una barca

Le cime dell’alta palma
La tua carezza che ha viaggiato
Da lontano.

Il libro si compone di 11 capitoli. In ognuno pare che Iliopoulou abbia raccolto dalla terra, dalla luce, dalle acque che delimitano i vari paesaggi incontrati realmente e nella sua anima, i semi delle loro qualità, per renderli parola. Ogni poeta, si sa, modella nel segno/suono/parola il proprio universo poetico; ogni poesia è un mondo nato dalle qualità di questi semi, a seconda di come il poeta li sente nascere, nel nero abisso del concepimento. Li sente, senza sapere, in fondo, quale fattezza avrà quell’universo. Un raggio di sole segue, percepito nella desta incoscienza.
Ho scelto come titolo per questa introduzione alla raccolta un verso che a mio avviso bene riassume questo processo nella poesia di Iliopoulou: «Come parola sospesa», dalla poesia Florhof,

Stanze galleggianti
Per i viaggiatori che partono
Misurando al contrario il ritorno
Sulle labbra, sulle dita, sulle labbra
Il vertice della notte segnando
Con sempre più, più corto il respiro
Aumenti l’amore
– Come parola sospesa –
Dentro al corpo
E in ogni lingua diventi
Laceramento
Un candido sorso – la lacrima.

Come parola sospesa: è questa la grandezza con cui misurare, mi si conceda il paradosso, il peso specifico della poetica di Iliopoulou. Tra due parole s’aprono spazi infiniti, ogni parola sta, come galleggiando nella sostanza della creazione; è da capogiro (come i calcoli degli astronomi nella misurazione delle distanze tra due corpi celesti) il lungo viaggio che lega l’una alla parola seguente. Così la mappa della poesia è, in piccola scala, la mappa stessa di un universo di cui il poeta è testimone: il verso pare si sfaccia, si disperda quand’ecco, una segreta legge che pare miracolo, ricompone un equilibrio di quanti e materia sottile. L’invisibile diviene parola: parola sospesa.

Neve azzurra dell’estate
Quando inaspettatamente pronunciasti il mio nome
E da allora seguo
Della mappa le linee sottili
Sulla pelle
Che s’estendono tanto
Quanto s’allontana
Il luogo di cui mai a me facesti voto
[…] D’esistenza!

Il viaggio poetico di questo libro s’apre con l’Italia (Via Appia, Recanati, Matera), per recarci in Svizzera e a Creta. Ancora, sull’isola di Chios, dove il lentisco cresce e le case sono merletti antichi.
La musica è presente sia come sezione a sé (l’ultimo capitolo, l’ultimo luogo, s’intitola semplicemente Musica), sia come nota costante, segno di rimando interno, battito segreto ma presente. La musica chiude la raccolta, approdo metafisico eppure il più reale tra tutti quelli attraversati (vissuti, mi vien da dire): musica delle armonie celesti, in cui si riassorbe il viaggio che sempre ricomincia.

Torno ora a ciò che dichiarai all’inizio: ogni volta che traduco Iliopoulou, ciò che provo è riconoscenza. Riconoscenza per riuscire, tra i rumori delle immagini e del traffico, tra i rumori dell’illusione, a toccare la corda immobile dell’Infinito cui di diritto apparteniamo (come ci ricorda Elytis).
Il senso della bellezza, se un senso possiamo darle, in fin dei conti, è questo: sentire casa dentro la vibrazione di una parola, di una sillaba, di una consonante suonata nella luce.

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