I brownies: i biscotti al cioccolato, gli spiritelli domestici e la Cenerentola bruna dell’inventore di Peter Pan
di Michele Stanco
In ambito gastronomico, i brownies sono dolcetti al cioccolato, una via di mezzo tra torta e biscotti (si tratta, cioè, di biscotti ricavati da una grande torta scuretta o ‘brownie’, piuttosto compatta, tagliata in piccole fette quadrate). In ambito antropologico, i brownies sono spiritelli domestici, una sorta di spiriti tutelari, tipici del folclore scozzese, spesso benefici, occasionalmente anche permalosi e un po’ dispettosi. Di dimensioni variabili, ma per lo più estremamente ridotte, gli spiritelli prendono il nome dal colore bruno della loro pelle (Marc Alexander, The Sutton Companion to British Folklore, Myths & Legends, Sutton 2002) e forse anche dall’oscurità della notte, perché ai brownies piace mettersi all’opera quando gli umani dormono.
Non è certo se ci sia una qualche relazione tra i biscotti e gli spiritelli. Anzi, sembra che l’unica cosa che li accomuni sia il mero dato cromatico. A noi, però, piace immaginare che i biscotti e gli spiriti siano legati anche da una qualche altra associazione, magari di tipo metonimico. Forse quei biscotti al cioccolato fondente, che la mattina troviamo sul tavolo della nostra cucina, ci sono stati lasciati in dono dagli spiritelli. Quegli stessi spiritelli bruni che si sono anche premurati di spazzarci la casa da cima a fondo, mentre noi dormivamo beati. Meglio tenerceli buoni, o addio pulizie domestiche e addio biscotti al cioccolato!
Questi spiritelli bruni del folclore scozzese dovevano essere cari a James Matthew Barrie che era, appunto, scozzese (e, chissà, forse anche goloso di biscotti al cioccolato). Nel suo romanzo, The Little White Bird (L’uccellino bianco, 1902), compare, infatti, una fata di nome Brownie. Una fata così piccola da stare nel palmo della mano di una bambina di quattro anni.
Per chi non lo sapesse, Barrie è l’inventore di Peter Pan. E L’uccellino bianco è il primo romanzo in cui compare, un po’ a margine, quell’eterno ragazzo di Peter, un po’ uccello, un po’ capra, un po’ bambino che, da quando è nato, non ha mai smesso di farci sognare.
Ora, la fatina Brownie del romanzo è vagamente collegata a quello stesso universo di fate del quale fa parte, appunto, Peter Pan. E, come Peter, anche Brownie entra ed esce dalle pagine del romanzo in punta di piedi. Piedi ballerini, i suoi, perché quando la incontriamo si appresta a partecipare a una Grande Festa di Ballo (le fate, si sa, sono un po’ danzerelle).
Come in ogni Ballo che si rispetti, anche in questo Ballo di Fate abbiamo un Principe, o quasi: il Duca delle Margherite di Natale. Un Duca ricchissimo, ma affetto da una malattia apparentemente incurabile. Il suo è un cuore in inverno, e nessuna damigella riesce a farlo battere. Ogni volta che una fanciulla gli si avvicina, il suo medico personale gli si accosta per auscultarne il cuore. Ma, niente: il cuore rimane invariabilmente freddo.
Poi, va da sé, accade il miracolo. Non appena la fatina Brownie si avvicina al Duca per ballare con lui, il suo cuore comincia ad ardere. Ad ardere in maniera così intensa da bruciare le dita del dottore: «”Oh, mio Dio! Oh, perbacco!” urla il dottore, “Vostra grazia è innamorato”.»
Una piccola fata bruna riesce, dunque, là dove non erano riuscite le damigelle più blasonate.Come osserva Giovanna Mochi nel suo bel commento a L’uccellino bianco di James Matthew Barrie (traduzione di Carla Vannucchini, con postfazione di Beatrice Masini, Marsilio 2020), nel capitolo in questione, il 17, ci troviamo di fronte a una sorta di riscrittura della fiaba di Cenerentola. Abbiamo una Festa da Ballo, un (quasi) Principe e una Fanciulla umile che ne conquista il cuore, forse proprio grazie alla semplicità dei suoi modi. Barrie non ci dice espressamente che la fatina Brownie è di carnagione scura, eppure il suo nome e la sua associazione con gli spiritelli brownies ce lo lasciano intendere. Ma – come osserva ancora Giovanna Mochi – ci sono anche altri indizi. La tata della bambina Mamie che aiuta la piccola fata a presentarsi al ballo è una ayah, ovvero una tata indiana. E la bambina, nell’attraversare i Giardini di Kensington, tratta gli alberi e le piante stranieri in cui s’imbatte con la stessa cortesia con cui tratta gli alberi inglesi. Nessuna differenza, com’è giusto che sia. Va anche ricordato, per poter meglio inquadrare la scena del Ballo, che tra fine Ottocento e i primi del Novecento la capitale inglese e, dunque, i Giardini di Kensington erano popolati da una discreta presenza di stranieri provenienti dalle colonie.
Se mettiamo insieme tutti questi piccoli indizi possiamo ipotizzare che, con la sua storia della fatina Brownie, la tata indiana e gli alberelli stranieri, Barrie intendesse mostrarci, con leggerezza di sguardo infantile e con rara apertura mentale, una Londra che di giorno in giorno diventava sempre più multietnica e più multiculturale.
La storia di Brownie è racchiusa in un unico capitolo, così come lei, la Fatina Bruna, è racchiusa nel piccolo palmo della mano di una bambina. È una storia enigmatica, quella di Brownie e del suo ballo, così com’è enigmatico il personaggio di Peter Pan che, a sua volta, appare a metà del racconto per poi scomparire di nuovo. Cosa volesse dirci esattamente Barrie con la sua Fata Bruna e il suo Gran Ballo non possiamo saperlo. Possiamo però affermare che, sotto le vesti di una fiaba per bambini e uccellini, c’è un po’ di Londra, un po’ di Scozia, un po’ d’India, un po’ di Altrove. Insomma, un po’ di Home e un po’ di Empire. Un po’ di spazi immaginari e un po’ di spazi reali. Sapientemente mescolati, come la farina, lo zucchero, le uova, il cioccolato e le nocciole di un golosissimo brownie.