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Il demone dell’analogia #4: Sorella

IL DEMONE DELL’ANALOGIA

«Una strana amicizia, i libri hanno una strana amicizia l’uno per l’altro. Se li chiudiamo nella mente di una persona bene educata (un critico è soltanto questo), lì al chiuso, al caldo, serrati, provano un’allegria, una felicità come noi, esseri umani, non abbiamo mai conosciuto. Scoprono di assomigliarsi l’un l’altro. E ognuno di loro lancia frecce, bagliori di gioia verso gli altri libri che sembrano (e sono e non sono) simili. Così la mente che li raccoglie è gremita di lampi, di analogie, di rapporti, di corti circuiti, che finiscono per traboccare. La buona critica letteraria non è altro che questo: la scoperta della gioia dei libri che si assomigliano.»
Mario Praz

SORELLA

A CESENA

Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
ospite della mia sorella sposa,
sposa da sei, da sette mesi appena.

Batte la pioggia il grigio borgo, lava
la faccia della casa senza posa,
schiuma a piè delle gronde come bava.

Tu mi sorridi. Io sono triste. E forse
triste è per te la pioggia cittadina,
il nuovo amore che non ti soccorse,

il sogno che non ti avvizzì, sorella
che guardi me con occhio che s’ostina
a dirmi bella la tua vita, bella,

bella! Oh bambina, o sorellina, o nuora,
o sposa, io vedo tuo marito, sento,
oggi, a chi dici mamma, a una signora;

so che quell’uomo è il suocero dabbene
che dopo il lauto pasto è sonnolento,
il babbo che ti vuole un po’ di bene…

«Mamma!» tu chiami, e le sorridi e vuoi
ch’io sia gentile, che le sorrida,
che le parli dei miei viaggi, poi…

poi quando siamo soli (oh come piove!)
mi dici rauca di non so che sfida
corsa tra voi; e dici, dici dove,

quando, come, perché; ripeti ancora
quando, come, perché; chiedi consiglio
con un sorriso non più tuo, di nuora.

Parli d’una cognata quasi avara
Che viene spesso per casa col figlio
E non sai se temerla o averla cara;

parli del nonno ch’è quasi al tramonto,
il nonno ricco del tuo Dino, e dici:
«Vedrai, vedrai se lo terrò di conto»;

parli della città, delle signore
che già conosci, di giorni felici,
di libertà, d’amor proprio, d’amore.

Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
sono a Cesena e mia sorella è qui,
tutta d’un uomo ch’io conosco appena,

tra nuova gente, nuove cure, nuove
tristezze, e a me parla… così,
senza dolcezza, mentre piove o spiove

«Mamma nostra t’avrà già detto che…
E poi ora si vede, ora si vede, e come!
Sì, sono incinta: troppo presto, ahimé!

Sai che non voglio balia, che ho speranza
d’allattarlo da me? Cerchiamo un nome…
Ho fortuna: è una buona gravidanza…»

Ancora parli, ancora parli, e guardi
le cose intorno. Piove. S’avvicina
l’ombra grigiastra. Suona l’ora. È tardi.

E l’anno scorso eri così bambina!

da Poesie scritte col lapis di Marino Moretti

 

Forse un giorno, sorella, noi potremo
ritirarci sui monti, in una casa
dove passare il resto della vita.
Sarà il padre con noi se anche morto.
Noi lo vedremo muoversi per casa.
E allora capirà tutto il dolore
che traversammo uniti per la mano,
tu, la vita, sorella, senza amore,
io la vita, sorella, senza inganni.

Ed io lavorerò allora all’altro
scopo pel quale vivo, di lasciare
un segno al mondo che son stato anch’io.
E quando l’illusione non mi basti
di vivere nell’arte molte vite,
il tuo dolore farà muto il mio.
Per sentirci ogni giorno più vicini
ricorderemo a volte ciò che fu;
e andremo a ripassar pei luoghi dove
passammo a man di nostro padre piccoli,
perché il nostro alimento è l’amarezza.
E se vuota ci paia l’esistenza
e se il rimpianto di tutt’altra vita
alla gola ci afferri qualche volta,
alla consolatrice unica andremo.
Delle giornate intere noi staremo
con le due mani aperte sopra l’erba,
quasi lieti d’esistere per quello.
E vivremo così in compagnia
dei maggiori fratelli, i fiumi e i boschi,
pacificati con la nostra sorte.

Perché ciò sia, sorella, io faccio patto
che il mio dolore duri quanto me,
anzi di giorno in giorno mi s’accresca.

Questo il sogno che faccio ad occhi aperti.

da Pianissimo di Camillo Sbarbaro

 

PER DANIELA NAZZARO

A te che non leggerai
ma come ti racconto
sulla tua sedia dalle ruote che non girano
sulla tua testa che non, che non sta su
e gli occhi ad indicare il nord e il sud
il sud di quest’amore
che non ha parole
ma raccoglie con la mano
la tua bava che cade
che cade su un bavaglino
dai cinquant’anni.
Dai cinquanta anni di silenzi.

 

PARA DANIELA NAZZARO

A ti que no leeràs
pero còmo te cuento
en tu silla de ruedas que no ruedan
sobre tu cabeza que no, que no està arriba
y los ojos a indicar el norte y el sur
el sur de este amor
que no tienes palabras
sino que recoge con la mano
tu baba que cae
que cae sobre un babero
de cinquenta aňos.
Cinquenta aňos de silencios.

da Amore migrante e l’ultima sigaretta di Antonio Nazzaro

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