Enzo Bacca, Sibilla. Con saggio introduttivo di Franco di Carlo
Edizioni Esperidi, 2020
Nota di lettura di Annalisa Rodeghiero
È in una veste del tutto insolita che Enzo Bacca si presenta ai suoi lettori con Sibilla, ultimo prezioso volume che raccoglie più di ottanta poesie “per amore” rinunciando, almeno apparentemente, al ruolo di cronipoeta del civile, predominante nelle raccolte precedenti. Eppure, anche stavolta, quella che Bacca ci offre è una cronaca, un diario intimo, ontologico, reale e immaginario dove l’autobiografia non pecca di sentimentalismo grazie all’inventiva fantastico-espressiva cui il poeta attinge, frutto della sua formazione artistica, storica e teatrale. I componimenti, del tutto svincolati da regole fisse, diventano un collage di immagini e un credo negli oggetti e nei luoghi via via nominati. La melodia, frutto del ricorso frequente a splendide assonanze, si frammenta grazie ai continui cambi di registro introdotti volutamente, quasi a rompere la sinuosità del verso e a dimostrare che lo scrivere può essere traduzione di visioni e di impennate improvvise. La poesia, già realistica, lo diventa ancora di più con l’inserimento di fatti che avvengono mentre il poeta scrive; non lo distraggono, né spostano l’attenzione del lettore ma rendono ancora più vero il contesto. Spicca nei versi una decisa capacità figurativa che esula dal setaccio del pensiero e non si esaurisce in mera descrizione nei versi, ma li anima di pennellate dai toni sempre nuovi e decisi: “Una struttura espressiva, spesso espressionistica, quindi, polimorfa e pluristilistica, in cui convivono, in un totale e profondo rapporto simbiotico, gli elementi essenziali e i fondamenti, immanenti e sensoriali, della vita naturale”, come scrive sapientemente Franco Di Carlo nel saggio introduttivo al volume.
Origini, prima delle quattro sezioni tematiche del “diario poetico per amore”, si apre con una citazione di John Donne che lascia subito intravedere qual è la via attraverso la quale necessariamente deve passare il mistero che l’incontro amoroso promette. Per appropriarsi di giorni benedetti e insediarsi nell’anima la via è quella degli occhi, intesi come bagliore di candela o lampo. Luce di nascita, dunque, sopra ogni cosa: «Sono io quel pescatore – cardine – i tuoi occhi/ e sia la sera/ tappeto d’acqua viva». Luce dal caos: «Siamo lì, in quel caos benedetto/ scrivendo con inchiostro di latte/ i nostri giorni benedetti – assolti -. Nati di sera, siamo nati d’estate/ quando correva gennaio l’incipit,/ primavera di primo vagito d’aria». Splendido innesto d’ossimori temporali. Luce intesa anche come stupore interrogativo delle origini: «Da dove sei uscita/ dalla mia costola// Eva generata dal mio ventricolo/ da un raggio emostatico/ dal rintocco dell’ultima campana. Ma forse son io nato dal tuo grembo/ acqua chiara». Da subito, dal primo, predestinato incontro, «la freccia scoccata è dardo di fuoco», tanto che si può arrivare a perdere la dimensione del tempo: «Non so se temere l’alba o il tramonto» e si può pensare d’amare perfino ciò che l’altro era nel passato dell’infanzia, un tempo già presente nel tempo futuro come disegno: «Raccontami del fiore diadema/ che fiocco stringeva treccia alla nuca// Raccontami che c’ero, per essere, domani».
In Rotaie e fughe e voli, seconda sezione, il movimento del viaggiatore diventa comunione con il luogo. Qui si concretizzano il viaggio vero e quello metaforico e “mitologico” della vita in andate e ritorni nei tanti luoghi dell’amore intrisi d’attese edeniche e febbrili: «Il deserto dei Tartari leggevo/ per capire quel posto altrove/ ma non ero Drogo né Penelope. / Ora che l’attesa ha un nome/ il vino ha sempre sapore del pane». La lontananza forzata e il distacco alimentano il reciproco desiderio che è tangibile in ogni poesia: «Mani sudate sui seni, il mio treno di latte/ riparte ogni volta intriso, panno di nazareno/ come telo di Veronica. Sul letto il sudario». La poesia è viaggio e il viaggio diventa poesia ed è l’amore a dettare le parole che si fanno carne come se poesia e vita si intrecciassero. Gli incontri nei tanti luoghi nominati svelano la vera natura di questo amore esclusivo. Per usare due termini cari al classicismo greco, amore è al contempo eros e philia, quindi attrazione irresistibile di corpo e psiche. Non l’amore erotico lasciato a se stesso, quindi, né sola amicizia. La passione – qui – risponde ad un’attrazione ricambiata che non conosce limiti e trasfigura i volti ma la tenerezza commuove ed entrambe trasudano in uguale misura dai versi. E così leggiamo: «Occhi ancora stanchi, ma chère poétesse/ rilassati tra le mie braccia in attesa// stretta tra le mie ciglia di collirio e il foulard di seta,/ che tu sia benedetta ad ogni carezza». Versi dolcissimi che si contendono le pagine con altri decisamente più passionali: «Sei bella Sibilla vestita di nulla. Stringimi tra le cosce il diluvio […] la bocca all’altra bocca miele,/ soffiamo zenit e nadir assieme».
Senza neve eppure la neve è la terza sezione della raccolta, il capitolo più breve ma il più intenso. Bacca con profonda sensibilità ci accompagna nel regno sovrano dei silenzi di bianche distese d’anima. Esiliata e ritrovata. Regno in cui si placano gli affanni, le fughe e imperano quiete e verità. Qui sembra farsi possibile il sogno: «Quando sottile linea delle labbra/ diventa gondola e si fa voce muta/ sulla bocca s’allatta il silenzio, nostro./ Quel guardarti pieno nei silenzi d’esilio/ – come Sacharov e Yelena indivisibili -/ intonando albe e ritorni e spazi […] Il silenzio di neve è nostro,/ quanta neve questa notte d’agosto». Un silenzio necessario che crea lo spazio alla parola che è parola di poeti innamorati, dunque sovra–naturale, d’infernale ossimorica bellezza per la sua forza incomparabile e allo stesso tempo per la devastante intensità. Qui si è disposti a mettersi in gioco interamente, a darselo e dirselo l’amore anche a parole: «salìvami dalla bocca – ti Amo -/ tante volte – a fuoco lento a brace inferno -/ tanto forte da stordire il bosco i fauni la flora,/ grido a piramide sciolto dalla radice al cielo./ Sul ramo addormèntati ai boccioli/ come velo d’allodole nel bacio trattienimi». Dire ti amo tante volte e sentirselo ripetere altrettante volte per necessità, è gesto voluto e l’amore diventa perno attorno cui muovono la vita e la parola. «Io so solo che ti amo e l’avamposto di fuga/ è un posto al sole benedetto dalla pioggia». Qui c’è il desiderio di dirlo, c’è la capacità di dirlo. “Io – ti – amo” scriveva Roland Barthes nel suo saggio Frammenti di un discorso amoroso, «è senza sfumature […] Esso sopprime le spiegazioni, gli accomodamenti, le graduazioni, gli scrupoli» e Novalis «L’amore è muto. Solo la poesia lo fa parlare».* Ecco lo svelamento, è la poesia la sorgente, la poesia vissuta insieme che naturalmente fluisce nei versi diventando lascito, testamento di qualcosa che è stato – è – e sarà: «Un sorso di liquore sulla torta, le tue labbra./ amami, core miu, nella corteccia dell’abete,/ sarò ariete alla porta del non ritorno».
Onde e note è l’ultima sezione di Sibilla, dove il canto d’amore fluisce insieme al canto del mare tanto caro al poeta – il mare calmo del suo Salento – e al suono monocorde di note soffiate e pizzicate in casse strumentali risonanti dentro le vertebre nel concatenarsi d’emozioni. Così il suono dell’ukulele che richiama atmosfere esotiche diventa sogno condiviso ed è parte di tutta una simbologia tesa, ancora una volta, a spiegare l’amore: «quando l’afrore dolce del seme sarà notte/ e note d’ukulele pascoleranno gravide/ quando canto d’upupa avrà terso l’aria/ e l’arco di Diana tenderà l’ultimo dardo// allora profonda l’estasi traboccherà nel sonno/ dissolvendo la soglia del nuovo paradiso». Ma anche una chitarra «graffiata con veemenza» nell’osteria del vicolo si confonderà alla «nenia tarda/ che porterà lontano nello stridore/ oltre la porta con oblò da stiva», si mescolerà con la melodia delle onde in un susseguirsi d’originalità creativa dove la metafora diventa strumento prezioso del dire – grazie all’efficacia delle immagini – fulcro potente su cui poggia la poesia di Bacca: «Amala quella piena che l’azzurro invade/ controcorrente, pieno/ umido sole tra i ferri». Il mare come misura della distanza dal sogno, universo parallelo da navigare sperando nell’approdo desiderato, che forse, altro non è se non il riuscire a sentirsi finalmente e interamente a casa. Itaca lasciata ma ancora dentro, quella “casa” che era già in noi e aspettava soltanto d’essere raggiunta. Forse questo intendeva, ancora una volta Novalis, nella sua risposta alla domanda «Dove stiamo dunque andando?»**
A ben vedere infatti, tra virtuosismi compositivi ottenuti dall’uso sapiente anche di anafore, sinestesie e ossimori pieni di senso, nel ripetersi del ruolo degli opposti, necessari al mantenimento degli equilibri che regolano l’universo, con l’ultimo componimento si chiude il cerchio tratteggiato già nella poesia che fa da incipit al volume:
Addormèntati nelle parole vergate
ma chère poétesse
mentre flussi di versi
colmano il desco d’ebano.
Con questi amorevoli versi iniziava Sibilla per chiudersi poi, con altrettanta dolcezza nell’ultima lirica:
Non è trascorsa ancora giovinezza, dentro
questa corolla dai petali infrangibili
e quel mondo delle favole che non finisce mai.
Nelle parole vergate, Sibilla
con me addormèntati.
Addormentarsi nelle parole vergate tra le braccia amate è forse l’aspirazione massima del poeta che magnificamente ha saputo tradurre nell’opera la passione amorosa, dolce e potente, che appartiene all’uomo.
© Annalisa Rodeghiero
QUELL’USIGNOLO
Sarà un giorno che al risveglio
cinguetteremo – diadema di sguardi –
occhi d’acqua ebbri e socchiuse note
labbra strette nel canto d’usignolo.
Baci rendono pienezza a parole non dette,
assolo diamante nel coro a due foglie.
Cantami diva ancora nel sogno,
sull’olmo d’autunno resta vivo il ramo.
Allo specchio s’illumina la mano
a coprire il mondo.
GITANI
Quando la voce tornerà a Dio
nel veloce transito degli uragani
quelle parole sussurrate
non saranno bruciate una ad una
tra i ceppi del peccato,
abbandonate al vento dei gitani.
Ogni frammento di sillaba abrasa
servirà l’altare d’Abramo nello squarcio d’estate.
Inciso sulla nuda pietra il dono degli amanti.
Il mare è un paese lontano
dalle onde di vetro e di neve
e questo suono d’assenza che rompe dentro.
Noi mai così vicini, così gitani.
Cerchio infuocato salverà dai lupi in attesa.
DENTRO SATURNO
Quando in mezzo alle nebbie
tra i vapori della cucina
nel grigio dei gas di scarico
oltre il fumo di sigaretta
attraverso spasmi emicranici
addosso alle paturnie depressive
dentro la consuetudine claustrofobica
– spunta la tua parola Amore –
scolpita incisa sillabata virgolettata
marchiata a fuoco dipinta a sangue
o semplicemente sussurrata
aureola luminosa tra i versi
allora sì che il mondo
esplode in bollicine d’aria pulita.
Saturno splende nei suoi cerchi.
INCONTRO VERRAI
Ed io, coi narcisi raccolti, di campo,
accanto alla torbiera.
Incontro verrai al vagone delle ricordanze
ed io nel pianto – rotto –
al collo porgerò ghirlande incise
una ad una di gemme
col filo spinato della lontananza.
Cucito il ritorno
e questo esilio forzato
sarà benedetto il giorno agli occhi e al cuore.
Nella catena degli invisibili sentieri–
squarcio a nuovo sole. Estinto l’assedio,
ponte levatoio lambirà il fossato.
Siamo vivi tra scorze d’agrumi e lividi,
l’incenso dei lacrimatoi vuoti.
Fuma ancora questo cavallo ferrato
recisi i rovi della transumanza,
fuma e vola tra i corridoi di cartone.
Domanderò all’anima –
perché così spoglio il roseto,
dimmi se maggio avrà consumato gli orti.
Incontro verrai Sibilla col vestito corto di ieri
– a fiori affrescati d’alba –
Enzo Bacca è nato a Squinzano (Lecce) nel 1964. Appassionato cultore di Belle Arti, Letteratura e Storia, illustratore, attore e regista teatrale, autore di testi teatrali tra i quali: il Signore di Montpellier, dramma storico-religioso in tre atti e Il Maestro, la sua croce, dramma sacro; ha collaborato con l’autore salentino Antonio Luigi Carluccio nella stesura dei saggi storici: L’eredità di Maria Manca (2010); Fra Giuseppe Ghezzi – passi di santità a Squinzano (2016). Per la poesia ha pubblicato ventidue volumi tra i quali: Pensieri giovanili (1993), Profondo blu (2010), Orizzonti estremi (2013), Oltre la siepe (2014) L’orto di Jamàl (2015), Poèsikron – Lamenti, grida e altri canti – (2016), Romantide proibito (2017); Schiuma rossa (2017); Affreschi dal ‘68 – a cinquant’anni dal sogno (2018). Sibilla (2020). Collabora col mensile “La fonte” con vignette satiriche e componimenti poetici di natura socio-politica.
*«Die Liebe ist stumm. Nur die Poesie kann für sie sprechen» (Novalis, Heinrich von Ofterdingen, Erster Teil: Die Erwartung. Achtes Kapitel).
** «”Wo gehn wir denn hin?” – “Immer nach Haus”» (Novalis, Heinrich von Ofterdingen, Zweiter Teil: Die Erfüllung).
2 risposte a “Enzo Bacca, Sibilla (nota di Annalisa Rodeghiero)”
Le faccio i miei complimenti per la sua intensa poesia, signor Bacca. Veramente notevole.
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Grazie di cuore, gentilissima!
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