Wilde contro Wilde: due opere a confronto.
Il fantasma di Canterville vs. Il ritratto di Dorian Gray
Il fantasma di Canterville è un racconto per bambini. Ma non solo. È un racconto umoristico. Ma non solo. È un racconto dell’orrore. Ma non solo. È una critica della società inglese. Ma non solo. È una critica della società americana. Ma non solo. Mi fermo qui, ma potrei continuare.
Il fantasma di Canterville è il capolavoro di Oscar Wilde. Questo sì, è vero. A questo punto sento i miei venticinque lettori di manzoniana memoria insorgere da dietro lo schermo del PC: “Ma come, il capolavoro di Oscar Wilde non era Il ritratto di Dorian Gray?”
A questo punto, è necessaria una precisazione. Chi scrive si autodefinisce un “bastian contrario della lettura”. Infatti non ho mai – e lo dico con una sorta di vergogna e di pudore – non ho mai riscontrato che l’opera che fosse universalmente riconosciuta come “la migliore” di un autore fosse poi “la migliore” per me. Per tutti, un esempio di questa mia imbarazzante caratteristica: I Malavoglia di Verga. Cominciato venti volte, mai finito. Anzi, dalla decima volta in poi, cominciato come si comincia una cura con un farmaco molesto, benché necessario. Poi ho gettato la spugna e ho scoperto con sollievo che la Terra continua ugualmente a girare intorno al Sole. Discorso totalmente diverso, anzi diametralmente opposto, per la novella Libertà, in cui Verga narra con spietata e puntuale lucidità i fatti di Bronte, dove i garibaldini, invece di portare la tanto sospirata libertà, soffocarono nel sangue la rivolta contro i notabili del luogo. Libertà, racconto da me venti volte letto, sempre finito, sempre apprezzato, sempre invidiato, per la coerenza, la compattezza, lo stile, il coraggio della denuncia. Grande Verga – mi dicevo – potessi scrivere come te. Chapeau.
Quindi, messe le carte in tavola in merito alle probabili motivazioni che mi spingono a preferire Sir Simon a Dorian Gray – ripeto, forse è una mia fisima – mi piace dirne il perché. Forse non riuscirò a convincere tutti i miei venticinque lettori, ma almeno un paio sì, spero. Così, giusto per non sentire troppo il peso della solitudine da bastian contrario.
Innanzitutto, Il ritratto di Dorian Gray, rispetto a Il fantasma di Canterville, è meno originale. Per sua stessa ammissione, Wilde si rifà al celebre À rebours di Huysmans.[1] Del resto, Wilde ha dovuto, sin dagli inizi della sua carriera letteraria, difendersi dalle accuse di plagio, specialmente quando si è espresso attraverso la poesia.[2] Per carità, non c’è niente di male nel rifarsi alla letteratura precedente. Il buon saggio Mario Praz scriveva ne La carne la morte e il diavolo nella letteratura romantica:
Poche figure riescon così meschine come quella dello scopritore di fonti, quando costui si manifesti sotto specie di spennacchiatore di corone di lauro. Come v’è una dosimetria pei punti di profitto degli scolari, così, secondo certuni, vi sarebbe una dosimetria circa l’attribuzione delle foglie d’alloro ai poeti. L’epifania delle fonti prova che l’invenzione d’un particolare non è originale? Una foglia di lauro in meno. L’epifania delle fonti prova che un passo non è se non la contaminazione di due o più passi d’altri autori? Altra foglia di lauro in meno. E il malcapitato poeta si ritenga soddisfatto se può cavarsela col sacrificio della peneia fronda; ché di solito si guadagnerà, per soprammercato, la taccia di ladro, di rapinatore, di truffatore dell’umanità.
Ma, in sede di giudizio estetico, distinguere tra ispirazione immediata, o di primo grado, cioè sorta da una personale contemplazione dell’universo, e ispirazione mediata, o di secondo grado, cioè sorta da una personale contemplazione d’una contemplazione altrui; fare, in altre parole, una distinzione basata sul genere dei motivi d’ispirazione, equivale a voler introdurre in quel giudizio un fatto estraneo, dal momento che sia il motivo naturale che il motivo letterario non sono rimasti fatti bruti, identici a se stessi, nella nuova visione dell’artista.[3]
Non c’è niente di male – dicevamo – ad ispirarsi ad altri autori, ma resta il fatto che Il fantasma di Canterville batte Il ritratto di Dorian Gray sul fronte dell’originalità dell’ispirazione, in quanto mentre il secondo è, senza alcuna ombra di dubbio, un romanzo che si inserisce nella vasta corrente del Decadentismo europeo, nel primo l’intrecciarsi dei temi e dei motivi sottintende una pluralità di intenti e di generi letterari che coesistono senza che l’uno prevalga sull’altro: storia di fantasmi, critica sociale, racconto per l’infanzia, racconto umoristico…Wilde fa coesistere tutto con ammirevole capacità di funambolo regalando al suo lettore un’opera al contempo leggera e profonda. Ciò è possibile anche grazie alla lingua del racconto, che presenta delle caratteristiche diverse da quella del romanzo. Alex R. Falzon, nell’introduzione agli Aforismi di Wilde, osserva come nel dublinese, che nel De Profundis si era autodefinito “signore del linguaggio”,[4] usi a seconda dell’opera che intende scrivere due stili parzialmente differenti, il “floreale” e lo “scintillante”. Dice Falzon:
In entrambi gli aspetti della sua scrittura, tanto in quello ‘floreale’ quanto in quello ‘scintillante’, Wilde dimostra la stessa maestria tecnica e la stessa padronanza della lingua, benché nel secondo stile si riscontri una maggiore raffinatezza, un assottigliarsi del segno che viene interamente posto al servizio del senso; nel Wilde ‘floreale’, invece, è il senso a rimetterci poiché viene adombrato da una cortina di termini puramente decorativi.[5]
Se si osserva Il ritratto di Dorian Gray si resta spesso impressionati dai rutilanti termini preziosi e raffinati coi quali l’autore confeziona il romanzo, al punto che tale stile ‘floreale’ sembra mettere il senso in secondo piano. Ne Il fantasma di Canterville, invece, il linguaggio è ironico, intelligente, ‘scintillante” ma, nello stesso tempo, semplice e diretto, in quanto devono arrivare ben chiari al lettore – bambino o adulto non importa – determinati messaggi che l’autore intende trasmettere attraverso quest’opera apparentemente leggera e divertente.
Altro punto di forza del racconto, rispetto al romanzo, è il finale. Dorian che accoltella il proprio ritratto, invecchiando e morendo istantaneamente è, nell’economia dell’opera, una conclusione abbastanza prevedibile e tutto sommato anche “moralistica”: colui che ha osato sfidare le leggi della religione e del vivere civile riceve un’adeguata punizione per i suoi peccati. Il finale del Fantasma di Canterville, al contrario, ha un significato più sfuggente, più sottile. Certo, c’è l’happy end del matrimonio fra Virginia e il suo innamorato, ma come interpretare il fatto che ciò che è avvenuto quando era sola col fantasma non si possa raccontare a nessuno, neanche a un marito, tantomeno a dei figli? Cosa vuole realmente comunicare l’ambiguo explicit “Virginia arrossì”?[6]
© Paola Deplano
[1] In una lettera del 15 aprile 1892 a E.W. Pratt Oscar Wilde scriveva: «Il libro in Dorian Gray è uno dei molti libri che non ho scritto, ma fu suggerito in parte da A Rebours di Huysmans, che potrà procurarsi da qualunque libraio francese. Si tratta di una variazione fantastica dell’iperrealistico studio di Huysmans circa il temperamento artistico nella nostra inartistica età» (M. D’Amico, Vita di Oscar Wilde attraverso le lettere, Einaudi, Torino 1977, pag. 149). In un’altra lettera, del 12 febbraio 1894, questa volta indirizzata a Ralph Payne, si legge: «Il libro che avvelenò, o rese perfetto, Dorian Gray, non esiste: è soltanto una mia fantasia» (Ivi, pag. 169).
[2] Cfr. R. Ellmann, Oscar Wilde. Una biografia, Rizzoli, Milano 1991, pp. 180-182, e C. Fusero, Introduzione a O. Wilde, Tutta la poesia, Dall’Oglio, Milano 1962, pp. 13-14.
[3] M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Sansoni, Firenze 1976, p. 329.
[4] O. Wilde, De profundis, in M. D’Amico (a cura di), Vita di Oscar Wilde attraverso le lettere, Torino, Einaudi, 1977, p. 271.
[5] A. R. Falzon, Oscar Wilde: signore del linguaggio, in O. Wilde, Aforismi, Milano, Mondadori, 1990, p. 10.
[6] Originale inglese: “Virginia blushed” (The Canterville Ghost, in The Complete Works of Oscar Fingal O’ Flahertie Wills Wilde, Collins, London and Glasgow 1990, p. 214).