In una poesia – in ogni poesia – si scopre sempre un verso capace di imprimersi nella mente del lettore con particolare singolarità e immediatezza. Pur amando una poesia nella sua totalità, il lettore troverà un verso cui si legherà la sua coscienza e che lo accompagnerà nella memoria; il verso sarà soggettivato e anche quando la percezione della poesia cambierà nel tempo, la memoria del verso ne resterà quasi immutata (o almeno si spera). Pertanto nel nostro contenitore mentale conserviamo tanti versi, estrapolati da poesie lette in precedenza, riportati, con un meccanismo proustiano, alla superficie attraverso un gesto, un profumo, un sapore, contribuendo in tal senso a far emergere il momento epifanico per eccellenza. Perché ispirarsi alle bustine di zucchero? Nei bar è ormai abitudine zuccherare un caffè con le bustine monodose che riportano spesso una citazione. Per un puro atto spontaneo, non si va a pescare la bustina con la citazione che faccia al proprio caso, è innaturale; si preferisce allora fare affidamento all’azzardo per scoprire la ‘frase del giorno’ a noi riservata. Alla stessa maniera, quando alcuni versi risalgono in un balenio alla nostra coscienza, non li prendiamo preventivamente dal cassettino della memoria. Sono loro a riaffiorare, da un punto remoto, nella loro imprevista e spontanea vividezza. (D.Z.)
L’aspirazione poetica di Emily Brontë, che tende a riunire insieme il divino e il terrestre, di fondere vita spirituale e divorante passione, tensione mistica e distacco dal mondo, legare l’altrove – un altrove per la poetessa «dotato di consistenza e sostanza sue proprie» (Silvio Raffo) – e il qui, rivela nella sua poetica non una contraddizione, bensì un’urgenza umana oltre che letteraria. Si tratta, trasferendo le diadi sul piano poetico, di improntare la parola alla rappresentabilità dell’infinito sotto la guida dell’immaginazione, vero nutrimento della sua scrittura (Ginevra Bompiani). Immaginazione che non tende alla comunicazione puramente esterna poiché «Emily Brontë non credeva al dialogo. Il suo amore fu per la Natura, Dio e gli animali. Per loro spiega la sua parola poetica, – segreta, cantante, univoca. La sua poesia è privata. Difficile a chi legge ritrovarvi se stesso o la propria esperienza; più segreta di un canto mistico che coinvolge ogni esperienza mistica, di una confessione che condivide tutte le colpe, non è stata scritta per nessuno» (Ginevra Bompiani). Pertanto la scrittura per la vita della scrittura – rivelatrice di segnali potenti di un sentire visionario e soprannaturale che vuole cristallizzarsi in essa – in cui l’autrice di Cime tempestose concentrò le sue forze; attitudine che fa intravedere una gelosia verso quello che scriveva e può benissimo spiegare l’iniziale ritrosia alla proposta di Charlotte di pubblicare un libro che riunisse le poesie delle sorelle (il volume, si sa, uscì sotto pseudonimi, ognuno con l’iniziale del nome di ciascuna sorella). Emily, abitata come le sorelle da un «genio forastico, schivo, violento» (Mario Praz), che mal si adattava alle convenzioni, preferì l’autoreclusione nella canonica di Haworth. Nella brughiera il suo spirito errante «percorre l’immenso, l’infinito», spirito infiammato da un desiderio di sangue e anima, vita e morte, luce e oscurità. Possiamo vedere in Emily Brontë, sempre nella definizione di Mario Praz, «un’anima ardente di mistica panteistica e d’indomabile stoica» e l’impeto della parola poetica, sebbene in clima vittoriano, registra, alla maniera dei Preraffaeliti, lo sfogo di una vita passionale che lo stesso clima vittoriano tendeva a non considerare, addirittura reprimere. Silenziosa e refrattaria a una vita sociale, nascondeva un fervore tutto suo, proteso a un’ascesa che non annullasse l’una o l’altra sfera (il divino e il terrestre, per l’appunto), ma potesse fonderle, nella stessa definizione di come gli anfratti più occulti costituiscono di lei nel complesso un’autentica e predominante inclinazione. Un talento, la propensione a mettere le ali alla scrittura, che richiama soprattutto, per dirlo con le parole della sorella Charlotte, tratte da una lettera, «such a strong wish for wings», un desiderio talmente forte di ali.
Bibliografia in bustina
E. Brontë, Poesie (a cura di G. Bompiani), Torino, Einaudi, 1971.
S. Raffo, Emily Brontë. La musa tempestosa, articolo apparso su Poesia di Crocetti, anno XXVI, giugno 2013 n° 283.
M. Praz, La letteratura inglese dai Romantici al Novecento (II vol.), Milano, Rizzoli, 1975, (1999).
Charlotte, Emily, Anne Brontë, Un così forte desiderio di ali. Lettere 1829-1855 (a cura di F. Gollini, prefazione di E. Chiavetta), Ferrara, Tufani, 1997.
Una replica a “Bustine di zucchero #43: Emily Brontë”
Articolo di elevato spessore che ben compendia le caratteristiche fondamentali ed essenziali della personalità di Emily, definita nella sua interezza e con riferimenti critici perfettamente intersecantisi nel testo.
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