Christy Lefteri, L’apicultore di Aleppo
(trad. it. Laura Prandino)
Piemme, 2019
Nota di Patrizia Grassetto
L’apicultore di Aleppo è un romanzo quanto mai attuale per il tema in cui si immerge: quello dei profughi dalle terre di guerra spesso viste come lontane, talvolta ignorate. L’autrice britannica Christy Lefteri ha vissuto in prima persona questo dramma (è figlia di rifugiati greco-ciprioti) e, da vicino, essendo lei stata per molto tempo volontaria in campi profughi, ha potuto raccogliere dolore, sfoghi e confidenze, quasi come una scrittrice-antropologa che trae spunto da fatti reali vissuti per costruire una storia. Il taglio con cui ha affrontato la trama è d’interesse: nella narrazione si è soffermata sul viaggio lungo, sfiancante e infinito che i profughi sono costretti a fare per raggiungere l’occidente, senza tuttavia esasperarne i contorni; la vicenda assume nel romanzo un tono non prettamente drammatico, anzi: dà una luce di speranza, ed è molto approfondito, sentito, l’aspetto umano e psicologico che Lefteri affronta.
Il raccordo tra un capitolo e l’altro si sviluppa in una sospensione, in cui i periodi iniziano e terminano in capitoli differenti, come i titoli degli stessi, quasi in un flusso narrativo che continua.
La storia è ambientata in Siria prima dell’inizio della guerra che, ancora oggi, sembra non terminare. Afra e Nuri, marito e moglie, vivono ad Aleppo col piccolo Sami; una famiglia come tante della città di Aleppo, se non fosse che Nuri sceglierà una strada propria e sarà introdotto all’apicultura dal cugino Mustafa. È quella una pratica da comprendere e amare, un mondo che affascina e insegna: «Le api formano una società ideale, un piccolo paradiso nel caos. Le operaie coprivano grandi distanze per procurarsi cibo. Era mio dovere proteggere le api» e ancora «comunicano fra loro con una danza. Mi ci sono voluti anni per comprenderle quando ci sono riuscito il mondo attorno a me non ha più avuto lo stesso aspetto né lo stesso suono». Allo scoppio della guerra tutto cambia: le arnie di Mustafa vengono distrutte, Sami ucciso da una bomba e le vite di ciascuno mutano per sempre. Andarsene da Aleppo è la missione. A questo punto comincerà la straziante avventura: un viaggio della speranza dalla Siria verso Istanbul, Leros, Atene e Londra. Ci sono i trafficanti e la traversata in gommone, con tutti i pericoli che comporta. I fantasmi che occupano la mente, la paura di morire; ci sono le ONG, i campi, le storie di profughi e i racconti reciproci di vite dolorose che si riconoscono l’una con l’altra prima della decisione di partire, e poi durante il percorso. La falsificazione dei passaporti e le nuove identità sono solo alcune delle tappe di un’esistenza da reinventare per Afra e Nuri perché «Quando entrambi riusciranno a vedere, a sentire la presenza l’uno dell’altra, e il loro amore reciproco, potranno intraprendere davvero il viaggio verso la sopravvivenza e la rinascita». L’autrice descrive le fasi di questo transito vitale e arricchisce il racconto a volte ritornando ai passati ricordi, a volte portando avanti la narrazione; i piani temporali sono dunque i fili della trama. Nonostante le difficoltà – più intuite che dette – che i personaggi si trovano a fronteggiare, tutto è permeato da delicatezza: una levità che si posa lieve sulle parole. L’arrivo in Inghilterra per la coppia è la possibilità di riunirsi al cugino che aveva già ripreso il suo lavoro di apicultore, come se la vita delle api, quel lavoro prodigioso, fosse un simbolo della vita di ciascuno di loro, un filo rosso. Già da tempo è stata portata all’attenzione internazionale l’importanza delle api che stanno comparendo, poco a poco, in natura; ognuno dovrebbe preoccuparsi per la loro sopravvivenza. Questo messaggio traspare dalla lettura del romanzo, un messaggio etico e nuovo: un vero insegnamento. «Le api sono un simbolo di vulnerabilità, di vita e speranza»: quella di Afra e Nuri e Mustafa. Lefteri ha la capacità di fare emergere con acume i sentimenti delle persone: la sua è un’umanità della parola..
© Patrizia Grassetto