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Anna Elisa De Gregorio, L’ombra e il davanzale (rec. di Marina Giovannelli)

Anna Elisa De Gregorio, L’ombra e il davanzale
Seri editore, 2019
Il passo leggero di Anna Elisa

 

DIE NULL

Capitiamo ogni giorno dentro il nulla:
conciliante sospensione
nell’attimo in cui il sonno ci sorprende
e ultima boccata di vuoto al risveglio
prima di arrendersi ai pensieri.
Ma sempre dentro il vuoto
lo spillo di un’ape si aggira:
è quella punta di risentimento
quando si affaccia l’ombra della morte
al davanzale mentre stiamo vivendo.

Nei versi del più recente libro di Anna Elisa De Gregorio, L’ombra e il davanzale, Seri editore, riconosciamo qualcosa che fa parte del comune sentire: l’ambivalenza che contrassegna spesso giornate e notti, tra serenità cercata e assalti del pensiero, che non è mai del tutto privo di inciampi.
La leggerezza, solo apparente, delle poesie, ottenuta anche attraverso una sapiente attenzione formale, nasconde qualcosa di preciso: il tremore che si prova rispetto a un ‘ignoto’, peraltro fin troppo noto, che ci affatichiamo a tenere lontano. Il tono è lieve, persino un po’ scherzoso, a volte, ma quell’ombra tra sonno e veglia, quello ‘spillo’, quella ‘spina’ che si fanno sentire e inquietano, segnalano lo stato di allarme.
Eppure, per quella grazia che arride ai poeti, prevale la dimensione della fiducia nel domani, (abito nella possibilità – scriveva Emily Dickinson), anche se saranno minime le consolazioni – si accettano persino travestimenti delle “moleste voci” che agitano le notti – né del resto si vorrebbero fatti eclatanti, emozioni troppo sconvolgenti: “Confesso dal canto mio non sono in vena / di rivoluzioni”. Col tempo il passo rallenta e, come il vecchio Strand citato con affetto, vicino alla fine e “quasi invisibile”, ci si sente un po’ a rischio, anche noi sul punto di perdere consistenza.
Un altro aspetto che caratterizza questa raccolta di Anna Elisa De Gregorio, ulteriore segnale di raggiunto equilibrio fra pensare e sentire, è la consapevolezza d’una appartenenza ad una dimensione più ampia di quella riconducibile alla diretta esperienza. Questo potrebbe indurre sgomento ma anche, al contrario, dare un senso più profondo alle nostre esistenze. Sulle tracce di Primo Levi, Anna Elisa segue la via che implica maggiore responsabilità, sia nell’interrogarsi sulle ragioni ultime, sia nel compiere le inevitabili scelte di vita:

STARDUST

Abbiamo bocca e cuore pieni di stelle provenienti da lontanissime galassie: l’intrecciata ragnatela di ogni vita terrestre è materia intergalattica ormai accaduta, proveniente da centinaia di migliaia di anni luce. Siamo stazioni d’inquinata polvere terrena e ricordi di stelle già state, siamo quasi universo, quasi eternità. E dentro quel “quasi”, fra il nulla e l’infinito, s’affollano i rovelli: che spessore stellare hanno le voci di dolore e di gioia, le attese, le percezioni insignificanti o di smisurata bellezza di ogni essere in vita o già passato? Da quale buco d’indifferenza cosmica sono costantemente inghiottite, in che diversa sostanza o in che identica polvere trasformate? Consiste in questo vuoto che ci circonda il male organico che ci macchia tutti, il nostro mai rassegnato domandare?”

La seconda sezione della raccolta accoglie una serie di haiku, commentata graficamente dalle immagini appropriate, intelligenti ed essenziali di Francesco Pirro. Personalmente devo confessare d’essere sempre stata sospettosa verso questo genere di poesia, il cui ‘meccanismo’ metrico trascina spesso con sé osservazioni banali, non folgorazioni. Gli haiku di Anna Elisa invece hanno un impianto diverso e, pur rispettosi del ‘numero’, si sganciano sul piano dei contenuti e se ne infischiano della tradizione. Immettono originalità e libertà, con un pizzico di delicata autoironia.

A notte un haiku
chiama dal davanzale
un lumicino.

Monica scende
dalla foto in giardino
va in altalena.

Un aquilone
salverà tutti i buoni:
Batman in volo.

Addormentato
haiku sul rosmarino
cade sul foglio.

Tutto a suo tempo
un haiku come il vino
deve posare.

La treccia d’aglio
– capelli di befana –
pende in cucina.

Sul delta del Po
fenicotteri a stormi
migranti accolti.

© Marina Giovannelli


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