CAMILLERI Il mio modo di raccontare obbedisce al mio ritmo personale, cioè obbedisce a certe leggi, a certe pause, a certe accelerazioni e ralenti che io sento dentro di me. Quando devo esprimere una situazione o un’idea in un dialogo di un romanzo che sto scrivendo a me più di tutto interessa questo, poi c’ è il modo in cui lo metto sulla carta. Se, nel contesto generale, quella pagina ha un certo ritmo che mi serve per fare da controcanto al ritmo precedente o a quello che ho in mente di scrivere subito dopo, vuol dire che quella pagina io devo pensarla con un certo ritmo, che non è solo il ritmo della pagina in sé, ma è collegato a tutto come se fosse una sinfonia. È collegato a quello che c’è immediatamente prima e immediatamente dopo.
È questo alternarsi di ritmi all’interno di un romanzo che fa quello che chiamo il respiro di un romanzo, che è preciso identico a quello che avviene in teatro. Se si piglia un esempio massimo, come può essere l’Amleto, e lo si studia solo dal punto di vista del succedersi delle scene, della durata delle scene e della quantità dei personaggi che ci sono all’interno di ogni scena, si scopre che quello dà il ritmo generale a tutto l’Amleto, è un continuo alternarsi e un progredire in crescendo, un respiro che parte lento e si fa sempre più affannoso. Ci possono essere pagine di sosta, un ritorno a un ritmo precedente, ma deve essere voluto, studiato, perché ogni pagina ha uno spartito che deve obbedire a un insieme, a un ritmo più grande.
Mi capita spesso di pensare a un romanzo come se fosse una partitura, e la domanda che mi ripeto è: «Che respiro deve avere questa vicenda?». Il mio Un filo di fumo è tutto pensato in questo modo, inizia con un ritmo affannoso, finisce con un maestoso e la processione. Gli autori di teatro di solito danno fuori testo le indicazioni che suggeriscono l’andamento dell’opera.
DE MAURO Tante volte mi sono chiesto come si poteva tradurre adeguatamente in un’altra lingua quell’impasto composito di lingua e dialetto, quel particolare andamento ritmico che hanno i tuoi libri…
CAMILLERI Degli equivalenti si trovano sempre, in qualche modo. Per esempio, il traduttore tedesco del Re di Girgenti, che lui ha tradotto egregiamente, si è rifatto come linguaggio a un narratore come Jean Paul e la sua intelligenza è stata quella di trovare l’equivalente letterario già noto in Germania, e poi attraverso di adattamento di quel linguaggio, trasportarlo nel mio. Quindi non ha fatto un’opera di traduzione letterale.
Nel caso del francese, il mio traduttore Serge Quadruppani, per trasporre dei termini desueti, ma comprensibili nei miei testi, adopera un francese ecumenico, per esempio l’equivalente del verbo tambasiare se l’è andato a trovare in Normandia. Ecco, lui adotta la tecnica mosaico; insomma, ognuno s’arrangia come può. Serge diceva che sarebbe stato facile farlo in marsigliese, allora tu dici, ma perché in marsigliese se è ambientato a Vigata? Quasi tutti i traduttori hanno scartato questo tipo di possibilità di traduzione ricorrendo a parlate del Sud dei vari paesi.
Andrea Camilleri, Tullio De Mauro, La lingua batte dove il dente duole © 2013, Gius. Laterza & Figli. Edizione di riferimento: © 2017, Edizione speciale per il Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A, Su licenza Gius. Laterza & Figli SpA, pp. 94-96