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Lettera all’autore #6: Annamaria Ferramosca, Andare per salti

 

ANDARE-PER-SALTI

Cara Annamaria,

nel rileggere il tuo Andare per salti a distanza di mesi dalla presentazione napoletana dell’autunno scorso, mi soffermo con maggiore attenzione sul senso del verbo del titolo, ‘andare’ e mi sembra che tu riprenda la dimensione originaria dell’atto poetico a partire dalla sua origine arcaica, il poetare, il raccontare, il dire è un andare, esso si rifà al peregrinare degli aedi nella Grecia arcaica di corte in corte per raccontare storie di uomini, di guerre, di viaggi, in cambio di ospitalità per poi riprendere la marcia, almeno così ci piace immaginarli. Quindi l’andare rende in maniera archetipica l’unità originaria tra passo, voce, racconto e memoria che è alla base della nostra civiltà e del modo in cui si è autorappresentata. L’andare è ciò che ci lega alla terra, al suolo, al nostro specifico stare al mondo e al tempo stesso ci permette di slanciarci verso l’alto, quindi allargare con la vista l’orizzonte della nostra percezione. L’andare rimanda subito al camminare, al respirare, al parlare e la poesia non è altro che il più intimo respiro che tenta di dire il nostro rapporto col mondo, con il destino che muove le vite dei mortali. Quando camminiamo, magari su strade non abituali, su percorsi non conosciuti e sentieri, corriamo il rischio di perderci, di non sapere dove andare o corriamo il rischio di non saper tornare. In poesia accade lo stesso, e non so se sia una metafora del camminare o viceversa o entrambe metafore essenziali della nostra esistenza, che è un andare enigmatico. La poesia è inoltrarsi in un sentiero sconosciuto, quello dell’invenzione con mezzi che già abbiamo a disposizione (rime, versi..), che però di volta in volta devono essere reinventati, modificati, aggiustati, riparati come delle scarpe a cui siamo affezionati e che non vogliamo buttare e che ogni volta risuoliamo. In fondo la poesia dà il meglio di sé quando abbandona le vie già battute e ne perlustra altre reinventando i suoi strumenti, quando crea un sentiero.
Mi sembra che la tua cifra poetica si inserisca in questa dimensione e vi apporti un contributo originale e perciò spiazzante rispetto alle attese del lettore. Perché il tuo andamento poetico è un andamento, che, come il titolo del libro enuncia radicalmente, procede non in maniera costante e lineare, ma per salti, per balzi e sussulti. In una prima accezione, il tuo andare per salti potrebbe far riferimento ad un’attenzione rapsodica dei tuoi versi alle varie sfaccettature del mondo e della vita, ma a me sembra che ci sia un senso più profondo, che investe prime di tutto il nucleo ispirativo della tua versificazione, che si dispone sulla pagina come frammento che emerge dallo sfondo bianco e che in maniera, al tempo stesso, fluida e precisa, come nella grande tradizione novecentesca, di cui al tempo stesso sei erede, ma che volutamente tradisci per procedere oltre. È presente un fluire da tempo andante musicale, che impedisce all’orecchio di soffermarsi sul singolo elemento ma che restituisce il suono e il senso delle parole e dei versi in maniera complessiva. Ma vi è anche una dimensione di senso profondo e di visione del mondo, il tuo andare per salti è un “fare i conti” con il mondo in maniera radicale, giungere con un balzo sulla cosa da dire e offrirla alla parola poetica, la portata di quest’atteggiamento la si evince soprattutto nella seconda e terza sezione del libro – Per tumulti; Per spazi inaccessibili – dove il confronto con la vita si fa più serrato e riesce a fare i conti sia con il contemporaneo, sia con la storia, sia con la dimensione mitica attraverso la storia, in particolare gli intensissimi testi sulla Shoah, nella sua dimensione epocale, ma anche, soprattutto nella prima sezione, nella sua dimensione familiare e individuale (così mi lascio vivere/ un vivere semplice che almeno/ un po’ faccia coesione/ un rimpicciolirmi come/ seme tra i semi.), il passaggio da una generazione all’altra, la dedica a tua nipote in esergo ne è il segno tangibile. L’insieme di tutte queste suggestioni rivelano un sostrato etico profondo, una tensione morale che non arretra dinanzi nemmeno agli spazi inaccessibili del dolore e del male.
In questa prospettiva la tua poesia si presenta come un andare che diventa un deviare, e la poesia è proprio questo deviare dal vedere ordinario, è un deviare che sposta il punto di vista ordinario e volge lo sguardo in altra direzione, lungo magari un sentiero più nascosto e più impervio ma che, in quanto non già battuto, ci fa vedere le cose, quegli stessi sentieri ordinari della nostra vita quotidiana, in un’altra luce, magari con lo smalto originario del primo giorno della creazione, per dirla con Boris Pasternak. Solo correndo il rischio di errare e di perdersi si può approdare da qualche parte, fosse anche solo l’andare stesso. L’uomo non è, ek-siste, cioè è sempre oltre di sé, ricordando, sperando, temendo, e non c’è modo migliore per esprimere il senso dell’inquietudine umana dell’andare, dell’errare, della possibilità inquietante dell’errore nel fare dell’uomo, ma anche quella salvifica, di ritrovarsi, di ritrovare la strada verso casa. La poesia è il filo di Arianna, le molliche di Pollicino che ci guidano nel labirinto dell’esistenza mostrando in controluce, in negativo, la via non presa, il bivio dove si decide la vita di ognuno. Essa è un tenue segno che ci guida lungo il percorso, creandolo di volta in volta, che ci può condurre a casa o farci perdere definitivamente. La tua poesia (tu aguzzino tu vittima/ vera o consenziente (lo sai solo tu)// resta la poesia?) mi sembra non far altro che parlare in maniera essenziale, a tratti leggera, a tratti vorticosa – penso alla poesia Taràn (tu non lo sai ma questa tua danza turbine/ ha parole paradossali d’invito ‘nturcinate)– a tratti sofferta della condizione umana e della sua intima e rischiosa libertà fino a giungere ai bordi da cui si contempla l’infinita distesa del Nulla costitutivo di ogni cosa (come all’origine nudi/ finalmente originali miseramente/ splendidi del nulla).
Ti saluto con stima e amicizia.

Francesco Filia

Annamaria Ferramosca, Andare per salti, Introduzione di Caterina Davinio, Arcipelago Itaca, 2017

2 risposte a “Lettera all’autore #6: Annamaria Ferramosca, Andare per salti”

  1. Ho appena letto questa lettera di Francesco Filia sul mio Andare per salti. Resto muta di fronte al prodigio di sintonia e di profondità che un vero grandissimo critico è capace di trasmettere, che va ben oltre la mia scrittura, rendendo onore al fare poesia di tutti. Un grazie immenso a te, Francesco, per aver illuminato e direi ricreato di un di più di umano i miei testi.
    E grazie anche ad Anna Maria Curci con Poetarum Silva per aver dilata to questa insolita intensa corrispondenza.

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