PoEstate Silva #14: Valentina Calista, Carne sacra, Alter Ensemble poesia, 2015
*
Il merlo, nell’attimo spezzato
dal silenzio tra un aereo e un altro
aereo, canta. Solo è il suo stare
sull’antenna del tetto senza nome.
Anche noi senza nome?
Servirebbe
(un nome)
per ripristinare
la vita.
*
Lanterne, le mani
cercano nel buio di oggi.
Laviamoci le mani per rimanere
un poco puri, senza fango nelle linee.
Linee, indicatrici di vita,
– di morte chissà, quella non si legge mai –
ci guardano dal basso sapendo tutto, già.
Non è una zingara che legge austera.
Sono io a regalarmi un’ora di occasione.
*
Del deserto non conoscere le dune,
non aver passato la mano sull’orizzonte
di ieri, è morire senza la vita
aver respirato dagli angoli polverosi.
Ritorna la tua voce cantare, fioca
nel mio orecchio la Canzone del servo
pastore, quando il buio si desta
e abbraccia le notti che fanno tremare.
Ricordo il pagliaio, la tristezza e
il fiume, le piume di mio padre falco e
il vento lasciato scorrere nelle distanze.
Il tuo vago perimetro di madre nell’ombra
è pagliaio della mia memoria notturna.
La tua assenza ha penetrato i giorni
fino alla luce.
*
Non vuole terminare la notte
discesa dalle lontane grida di Sion.
Una mano piccola indica la luna.
Un lunghissimo graffio di cemento
abbraccia tutti i corpi di questa terra.
Occidente senza mezza Luna, muori.
Occidente senza questi corpi, tu muori.
Non volevo chiedere una tregua
ai miei occhi che vedevano nel buio.
Cosa capita laggiù?
*
Mi esalta l’odore
del Filadelfo, fiore d’angelo
abbracciato al mio sguardo
attraverso i vetri opachi
sporchi di tutte le piogge.
Pensavo fossi qui, dietro me
ad abbracciare i giorni
dal più remoto angolo della casa.
Era solo il tuo odore nella tua ombra sola.
Ho acceso una candela: l’olio
essenziale esalta i nostri odori.
In che cassetto conservi la promessa?
In quale armadio il giuramento?
*
© Valentina Calista
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