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#PoEstateSilva #5: Angela Caccia, da Piccoli forse

 

dal ramo del giorno che – inavvertito –
si fa alto, il tuo sguardo viene a poggiarsi
sulle mie palpebre di sale fino

dietro, pupille agitate – lunghi
corridoi dove ti chiamo, dove
ti cerco e non ho voce udibile –

nascosto e vicino, un tuo fiato
mi dice del bene (allora io dormo,
torna placido l’involto sonno)

*

ha rami già curvi il salice dove inizia
a pesare la notte, e noi si camminava
allo zenit – senza ombre – lo spazio
ad issare un sole su ogni fiotto di pioggia

ad ovest la strada rimane pari ma
si allunga l’ombra, ora tasto il terreno
per non pestare i silenzi importanti
(ho imparato ad ascoltarne l’arrivo)

il cammino ha fianchi stancati, ti guardo
e non ha asola il demone del tempo
nei tuoi occhi (ringrazio Dio per lo sciame
di lucciole che ancora ci confonde)

ognuno a suo modo ha trattenuto in sé
la leggenda di una sfumata primavera

*

a te che a sera rientravi e d’inverno
avevi addosso l’odore del vento, tu
il gigante io lo scricciolo, e m’abbracciavi

e colmavi di pane la madia della mia fame
(non vi furono altre braccia che mi resero
mai così densamente regina)

*

torni a cadermi in seno, bimbo
di ieri nell’universo mamma che il tempo
non intacca e deterge, regola a ricomporre
le carte sparigliate delle insondabili vivenze

ha piccoli passi questa sera di abissi
e non so se – come una volta – riuscirò a lasciare
la serenità della fiaba dietro le tue palpebre
perché ondeggino al sonno sereno di una volta

*

di noi verso la marina –
un vecchio sulla panca
il castello aragonese
che ci aspettava da sempre

con noi verso la marina –
la nostra ombra un cucciolo
acciambellato sulla strada, sagoma
sola cucita ad ago sottile

per noi verso la marina –
sui nostri corpi tornava a camminare
l’ombra, lenta si sdoppiava e
s’allungava in avanti, restando

unita ad altezza di cuore

© Angela Caccia, da Piccoli forse, Milano, Lietocolle, 2017.