Tra Retromania e Future sex, un racconto dal Salone di Torino
*
Libri:
Emily Witt: Future sex, minimum fax 2017, trad. Claudia Durastanti; € 19,00, ebook 10,99
Simon Reynolds, Retromania, minimum fax, 2017, trad. di Michele Piumini; € 20,00, ebook € 11,99
Valerio Mattioli, Superonda, Baldini&Castoldi, 2016; € 16,00, ebook € 7,99
Concita De Gregorio, Cosa pensano le ragazze, Einaudi 2016; € 16,00, ebook € 9,99
*
I trenta sono un anno particolare. Finisce il decennio della prolungata adolescenza e si entra nell’età della responsabilità. Quella degli obiettivi da raggiungere – ai trenta, ci arriviamo con l’acqua alla gola di “qualche cosa“ che doveva essere fatta – quella della stabilità, dei passi importanti.
Se consideriamo i trenta come un’età-cardine universale non solo per l’essere umano, il Salone Del Libro di Torino, la fiera editoriale principale d’Italia, può considerarsi un trentenne soddisfatto.
Ho letto di “Italia che può farcela”, di entusiasmo della sindaca Appendino, di legame piuttosto contorto fra il successo di Torino e una sicura resurrezione dell’edizione due di Tempo di Libri a Milano, ho letto l’invito a unirsi del direttore Lagioia agli “amici della Mondadori”, grandi assenti di quest’anno, ho letto un gran bailamme di retorica giornalistica che sembrava descrivere il cammino sulle acque di un Cristo redivivo – a proposito, sembra che quest’anno ci sia stato un boom di vendite di libri sui santi – più che una manifestazione culturale.
Alla polemica Milano versus Torino, di cui si è già ampiamente dibattuto, non farò ulteriori cenni: preferisco parlare di quello che ho visto.
Gli incontri, fra conferenze, workshop e reading, sono stati 1200: alcuni blindati da file che attraversavano padiglioni interi, spesso coincidenti con i nomi di richiamo per il grande pubblico (una in particolare, mi ha impressionato, quella che portava all’incontro con Giancarlo Carofiglio); altri più in sordina, in certi casi delle vere e proprie gemme nascoste.
Il mio racconto sarà quello di due incontri, dai titoli – presi dai libri proposti – curiosamente complementari, Retromania e Future sex: da una parte il feticismo per il passato, dall’altra, il futuro delle relazioni, del sesso, della coppia.
Simon Reynolds è considerato uno dei critici musicali viventi più influenti: aria mite, occhiali nerd, a lui si deve l’invenzione del termine “post-rock”, l’analisi di fenomeni musicali recenti come il post punk e un masterpiece sulla rave culture (Energy Flash, che lessi d’un fiato un anno fa), ma soprattutto a lui dobbiamo l’aver applicato stilemi filosofico – sociologici all’analisi musicale – come la teoria critica della Scuola di Francoforte – che considera l’influenza di sesso, razza, condizione economico e socio – culturale sulla produzione e l’ascolto della musica.
Alle 17.30 di venerdì 19, Simon Reynolds ha incontrato Valerio Mattioli – giornalista musicale per varie testate, tra cui Vice e Prismo e autore di Superonda – storia segreta della musica italiana – e Luca Valtorta, giornalista di Robinson, l’inserto culturale di Repubblica – per parlare di Retromania, il suo saggio più famoso, uscito nel 2011.
Retromania parla di una tendenza costituita da uno sguardo costantemente rivolto al passato che sembra investire i fenomeni musicali (e non solo) contemporanei: ma la μανία ha radici greche che rimandano al furore e all’ossessione patologica, quindi la connotazione del termine è quanto mai ambivalente. Se il concetto di mania si può applicare a un’infinità di campi (scorrendo le ultime notizie indicizzate da Google leggiamo di “mania per le figurine Panini”, “mania per le sopracciglia tatuate”, “mania della bici elettrica” eccetera) il suo significato sembra percorrere una sorta di parabola discendente: da passione e sinonimo di coolness diventa fissazione, dipendenza da un qualcosa di incontrollabile.
L’ossessione per il passato, continua Reynolds, gli ha ispirato un gioco di parole fra “ology” e “to haunt” (“infestare”) ispirato a sua volta all’Hauntology degli Spettri di Marx di Derrida, con cui teorizzava la sopravvivenza della teoria marxista dopo la morte di Marx.
Il passato musicale secondo Reynolds quindi è una specie di spettro che si aggira per gli studi di registrazione, influenzando la nuova musica perché essa nasca già “vecchia”, nostalgica.
Superonda di Valerio Mattioli racconta la scena musicale italiana OLTRE il bel canto sanremese: dal 1964 al 1976 musicisti come Area, Piero Umiliani, Franco Battiato ascoltato e canticchiato nei bar eppure raffinato musicista sperimentale e Ennio Morricone, musicista da Oscar e star della film music, svilupparono un linguaggio musicale totalmente originale, capace di proiettare la musica italiana all’estero.
Qual è dunque il legame tra musica italiana sperimentale e la retromania?
Sembrerebbe ci sia una forte connessione fra le due, perché, spiega Mattioli, “in Italia sperimentazione e canzonetta pop convivono – ed è questa contaminazione che ha permesso l’evoluzione del pop”.
Inoltre, un fenomeno peculiare della musica italiana è che “ la musica alta, sperimentale, come quella di Battiato, si è diffusa a livello popolare ”, continua Mattioli.
Il tutto, in Italia, rimanda ovviamente alla tradizione, dal bel canto alla canzone popolare, il che ne fa uno dei paesi più “retromaniaci” in assoluto.
L’ultima domanda dell’incontro la rivolge Luca Valtorta: la retromania ha un risvolto socio-politico?
Si può parlare di retropolitica ma la passione per la musica retrò non è associabile a un certo modo di fare politica. È un termine facile da usare, ed è facile l’idea di rivolgersi a un passato che è sempre migliore del presente″, sostiene Reynolds, mentre Mattioli aggiunge e chiosa: “la retromania aveva una forte connotazione politica negli anni ’60-’70, quando i movimenti politici producevano musica nuova, mentre negli anni Duemila il Capitalist Realism del critico Mark Fisher è strettamente collegato alla retromania: la musica si guarda indietro facendo finta di andare avanti, perché spinta dalla forza propulsiva del consumismo capitalista.
E se c’è chi ha una perenne nostalgia del passato, Emily Witt, giornalista e scrittrice americana, si chiede in Future Sex che futuro abbiano il sesso e relazioni così come ci sono stati insegnati – dalla famiglia, dai media, persino dalla cultura femminista più radicale.
Perché le relazioni contemporanee sono un gran casino e non potrebbe spiegarcelo meglio, in un saggio interessante, approfondito e ben scritto, Witt in dialogo al Salone con Concita de Gregorio, autrice di un’ inchiesta sul pensiero relazionale femminile italiano, Cosa pensano le ragazze.
Witt si è ritrovata a 30 anni con una storia d’amore importante appena conclusa a scoprire un mondo di libertà sessuale che non era più solo frutto di un’attitudine personale ma era coadiuvata da una quantità di stimoli esterni, culturali e tecnologici mai visti prima, come le dating app, il porno femminista e le sedute di yoga con orgasmo finale.
La prima domanda da porsi, per Witt, è stata: sono una trentenne single per fatti personali o perché il mondo relazionale intorno a me è cambiato?
In questo senso si snoda anche la ricerca di De Gregorio, che in due anni ha raccolto interviste a donne dai sei ai novantasei anni sull’amore e sul sesso, in un Paese in cui è ancora rivoluzionario farlo, soprattutto attraverso i media nazionali. Le interviste più interessanti sono state pubblicate per Einaudi sotto il titolo omonimo all’inchiesta, Cosa pensano le ragazze.
De Gregorio esordisce paragonando l’Italia a un corpo al cui centro c’è il Vaticano: sull’educazione di ogni donna italiana pesa, quasi sempre, consciamente o inconsciamente, il retaggio cattolico, che si trasmette in un rapporto madre – figlia dove il concetto di insegnamento della morale è molto forte.
Il primo dato delle interviste che ho notato è che in tutte le ragazze a parlare, molto forte, c’è il confronto con la figura materna.
Witt interviene sottolineando che cultura italiana e cultura americana seppur apparentemente distanti hanno in comune il moralismo – declinato negli USA come puritanesimo – che influenza la percezione del desiderio femminile.
Alla domanda di De Gregorio su come il desiderio si inserisca nel suo libro, Witt risponde: “per me il desiderio significa porsi la questione dell’attrazione sessuale a prescindere da quanto un uomo sia giusto per noi, questo semplifica molto la vita rispetto alle sovrastrutture.”
Interessante la parte del libro dedicata al porno e alla sua influenza sulla sessualità femminile, da cui nasce il punto di discussione più stimolante fra le due scrittrici: le centinaia di siti porno accessibili a tutti favoriscono un’immagine del sesso come sopraffazione, dominio e campo di battaglia, generando nelle donne un’ansia da prestazione. A questi concetti chiari e lineari però si affianca la domanda che percorre tutto Future sex: l’esperienza del sesso vario può essere sostitutiva di un’esperienza di costruzione famigliare?
La risposta definitiva, forse per paura di apparire troppo tradizionali, le due scrittrici non la danno, ma è chiaro che lo spettro della relazione stabile, magari con prole al seguito, si aggiri per la sala, fra le montature vintage degli occhiali del pubblico e la geo-localizzazione di Tinder attivata su Torino.
© Chiara Tripaldi
Una replica a “Tra Retromania e Future sex, un racconto dal Salone di Torino”
Molto interessante Chiara! Sul “porno” trovo sempre interessante il saggio di Michela Marzano dl 2012 per Mondadori.
"Mi piace""Mi piace"